di Paolo Schmidlin
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 45 | estate 2021
Il Fado è un canto struggente come il destino, dalle origini remote e avvolte nel mistero. È lo spirito stesso del Portoghese: ritmato dalle onde dell’oceano, intriso di “saudade”, la nostalgia del luogo che si abbandona ancora prima di partire. Il Fado è la maledizione di un destino che allontana da ciò che si ama, perdendo anche se stessi. È la saudade che si fa grido e lamento.
Amalia Rodrigues, la sua più grande interprete, disse: “Il Fado è una ferita che canta”.
Quando la Regina di questo canto antico e l’ultima leggenda della musica popolare, usciva da quel sipario scuro come la notte e si palesava nella semioscurità del palco, vestita di nero come le sue chiome – unici tocchi di luce le mani e il bellissimo viso con le labbra rosse come una pugnalata – era un’apparizione al contempo funebre e ardente. Sembra l’incarnazione di un personaggio della tragedia classica… Medea, Cassandra, Antigone. La sua figura è senza tempo, le sue canzoni sono un crogiuolo di sentimenti forti: rabbia, speranza, malinconia, allegria, ardore. Il Fado potrebbe essere ben descritto con un testo di José Régio, che compose per lei Fado Português: “È nato un giorno in cui il vento non soffiava, il cielo prolungava l’orizzonte del mare e, sul ponte di un veliero, un marinaio triste cantava”.
Amalia Rodrigues, la più famosa e riverita cantante portoghese, aveva origini modestissime; era nata nel 1920 in una famiglia povera e molto numerosa di Lisbona ed era stata cresciuta dai nonni poiché la madre, personaggio eccentrico e un po’ zingaresco, era sempre lontana. Amalia ricorda quella madre assente come una donna stravagante, dalle belle gambe e dalla vita sottilissima, che stirava solo il davanti e i polsi delle camicie del marito perché “sono le parti che si vedono”, che lavava ogni cosa – anche le scarpe – cucinava sporcando tutte le bacinelle della cucina per fare una semplice zuppa di cavoli. Alla piccola però la povertà non sembra pesare: per lei è normale non avere giocattoli, scaldare le coperte la sera intorno a un braciere e, durante i temporali, mettere le pentole sotto i fori del tetto per raccogliere la pioggia che cade anche sui letti.
È una bambina riflessiva, dal temperamento triste e con una coscienza precoce della morte che le fa apparire la vita assurda: “Quando andavo a vedere spettacoli allegri, come le corride, guardavo quella gente che applaudiva contenta, nella piazza inondata dal sole, e pensavo che di lì a qualche anno non ci sarebbe stato più nessuno, che sarebbero tutti morti…”. Una bambina giudiziosa che si attira facilmente la simpatia delle persone: a dodici anni già elargisce consigli e mette pace tra le vicine. Costretta prestissimo a lavorare, dapprima vende frutta con la madre, poi finisce al molo, a scaricare carbone dove, ambiente di uomini, essendo una ragazzina già ben sviluppata, subisce avances e complimenti pesanti, che la turbano.
È bella Amalia: non alta, ma con un naso perfetto e nobile, zigomi forti, capelli corvini e due occhi profondi che cangiano dal marrone al verdastro. Scopre presto la piacevolezza del canto, che la aiuta ad affrontare un quotidiano pesante e fatto di fatica e privazioni. Canta, canta sempre… e la sua voce ha un timbro unico, che conquista. Capita che le persone del quartiere le offrano qualche monetina per poterla ascoltare. La prima volta che si esibisce davanti a un vero pubblico è a quindici anni, portata da uno zio a una festa ad Alcântara dove si fa prendere dalla timidezza e la voce le esce a fatica. È solo nel 1938, a un concorso di fado, che si rilassa e viene talmente applaudita che le altre concorrenti minacciano di ritirarsi se lei fosse rimasta. Si fa da parte, non è ambiziosa e non lo sarà mai; canta perché il canto le riempie l’anima. È già soddisfatta di aver avuto conferma della sua bravura; oltretutto su quel palcoscenico ha conosciuto Francisco da Cruz, un suonatore di chitarra portoghese col quale avrà una breve tormentosa relazione.

Amalia canta in modo appassionato ed è consapevole che è quello il suo destino. Però i familiari la osteggiano perché per loro il mondo della musica è sinonimo di degrado e perdizione; solo l’eccentrica zia Idalina la spalleggia e la conduce di nascosto a un’audizione in una delle più note case di fado di Lisbona, il Retiro da Severa. Nella sua esibizione dona tutta se stessa e viene scelta immediatamente… ma l’impresario, Jorge Soriano, è costretto a recarsi di persona a parlare con i genitori per convincerli. Spiega loro che stanno compromettendo il suo futuro e che è più facile fare soldi cantando che vendendo frutta. Davanti alle insistenze di un signore così ben vestito, anche la madre cede e la ragazza è messa sotto contratto. Le devono comprare tutto, persino le scarpe, perché lei non ha nulla, neppure un abito decente con cui presentarsi in scena.
Inizia la sua inarrestabile ascesa e nel giro di poco tutti accorrono per sentirla cantare, non solo da Lisbona ma da tutto il Portogallo. Vogliono ascoltare quella fadista dalla voce potente e dolorosa, che tocca il cuore. Il suo impresario adotta la strategia di tenerla lontana dalle radio e dalle sale d’incisione perché pensa che, se la gente possiede un suo disco, smetterà di andare ai suoi concerti. Questo la renderà ancor più preziosa agli occhi del pubblico.
Amalia comincia a guadagnare molto e i migliori cantautori portoghesi fanno a gara nello scrivere per lei. In questo periodo euforico si sposa anche, con un giovane operaio; ma sarà una scelta infelice perché il matrimonio durerà appena tre anni.
La prima uscita internazionale della cantante sarà per una tournée in Brasile, di là da quell’oceano spaventoso che tanta soggezione incute nel popolo portoghese. A venticinque anni Amalia già si esibisce al famosissimo Casinò di Copacabana, con la naturalezza con cui cantava al porto di Lisbona da ragazzina: “sente” il fado e lo racconta attraverso la sua voce, perché “il fado non si canta, accade”. Il suo successo è immenso: si ferma lì per quattro mesi e registra un 78 giri, il primo degli oltre centosettanta dischi della sua carriera. Al suo ritorno girerà anche un film, Capas negras, il primo di molti altri che girerà negli anni a venire. È istintiva, ha un talento innato e recita con la stessa facilità con cui canta.
Sosterrà sempre la sua scelta da autodidatta: “Le tecniche invecchiano, solo la naturalezza non invecchia…”. Sul palcoscenico, nonostante la sua timidezza e il carattere introverso, è padrona della scena e sa anche andare a braccio… senza mai sbagliare. Il pubblico la segue rapito. A dispetto delle origini umili ha un’eleganza innata e un’allure come poche altre: “In famiglia ho avuto un’educazione severa…è quella che non mi permette di mettere una mano su un fianco e assumere certi atteggiamenti da fadista”.
Comincia a viaggiare molto, e raggiunge la notorietà internazionale. In Spagna è adorata; in Francia canta nel tempio della musica – l’Olympia – e persino Aznavour scrive per lei; in Italia – paese dove Amalia lavorerà moltissimo – alcuni suoi pezzi diventano celebri anche cantati da altri interpreti, come ad esempio É ou não é, cantato da Milva con un testo meno profondo e un titolo diverso: La filanda.
Anche negli Stati Uniti, a Hollywood, la accolgono a braccia aperte, come una stella.
Conoscerà – e in alcuni casi, come con Edith Piaf e Danny Kaye, stringerà anche rapporti di amicizia – tutti i nomi eccelsi dello spettacolo e della cultura: Hedda Hopper, Anthony Queen, Carmen Miranda, Tyrone Power, Alberto Sordi (che ricorderà come un taccagno “pretendeva che facessi un film con lui gratis”)…
Tuttavia, a quarant’anni – ormai sposata con César Seabra, l’uomo che la accompagnerà per tutta la vita – si sente demotivata, non ha più obiettivi da perseguire, ha già raggiunto le mete più importanti (in Portogallo è considerata una vera eroina, l’ambasciatrice del paese): avverte un’inquietudine interiore, ha il tarlo di essere superata, antiquata… Vorrebbe rinnovarsi, è stanca del “fado degli infelici” e le piacerebbe mettere in musica i versi dei poeti portoghesi; ha in mente un fado nuovo, ma non trova un compositore adatto al progetto e medita di ritirarsi dalle scene. È il destino che, durante una vacanza, le fa incontrare un giovane pianista cosmopolita, Alain Oulman, suo grande ammiratore. Lui insiste per farle ascolatare un pezzo scritto per lei sui versi di Luìs De Macedo e per la cantante é un vero e proprio colpo di fulmine artistico: ha trovato quello che stava cercando.
Con questo ragazzo concretizzerà il suo desidero di realizzare un “fado moderno”, uscendo dai vecchi canoni e osando nuove armonie. Una svolta importantissima, che non le risparmierà dure critiche; ma Amalia non indietreggia e, da vera rivoluzionaria, scandalizza tutti cantando i versi del più classico tra i poeti portoghesi, il cinquecentesco Luis De Camoes, riuscendo infine a conquistare tutti.
Nel 1974 la “rivoluzione dei garofani” pone fine alla lunga dittatura di Salazar e la diva più importante del paese, pur essendo da sempre apolitica, viene ingiustamente tacciata di essere stata la portavoce del regime, è emarginata e le viene precluso di fare concerti. Molto amareggiata, parte per una lunghissima e trionfale tournée all’estero che la terrà lontana per un decennio.
Quando a New York nel 1984 le diagnosticano un cancro alla gola Amalia – colpita proprio in quella parte del suo corpo che più rappresenta la sua essenza, la voce – decide di suicidarsi: una scelta in sintonia col suo carattere fiero e determinato. Inaspettatamente giungerà una nuova passione a salvarla: qualcuno le regala un video di Fred Astaire e lei rimane conquistata da quei balletti, da quell’impeccabile eleganza. Comincia a cercare tutti i suoi film, li guarda in continuazione e tanta lievità scaccia da lei ogni pensiero di morte. È una passione salvifica, perché, un film dopo l’altro, il tempo passa, viene operata, guarisce…
Torna in Portogallo solo quando un nuovo governo finalmente la riabilita. Accolta da un pubblico che non l’ha mai dimenticata si esibisce ancora a lungo, fino a quando, una mattina del 1999, viene trovata morta in bagno dopo una brutta caduta. Da qualche giorno era stanca, aveva disdetto alcuni impegni… Il Portogallo le regala un addio immenso; per due giorni e due notti, in un’infinita processione, il suo popolo sfila nella Basilica di Estrela, stracolma di fiori. È un commiato appassionato e struggente: Amalia riceve gli omaggi adagiata nella bara aperta, drappeggiata in uno scialle nero e nella morte appare riservata e composta com’era stata in vita. Si mostra ancora bellissima, con quel naso di rara perfezione e il trucco che nasconde sapientemente il grande livido sulla sinistra del viso. È la sua ultima apparizione… poi la Regina di quel canto oscuro, si dissolve tra quelle ombre che sembrano averla da sempre accompagnata.
Paolo Schmidlin
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 45 | estate 2021
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