I CAMPI DEL LUTTO | L’ultima estate | un romanzo di André Aciman

di Leone Maria Anselmi

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 45 | estate 2021

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L’acclamato autore di Chiamami con il tuo nome torna ad ambientare un suo libro in Italia e, con rinnovata passione, torna a parlare d’amore. Un amore perduto e ritrovato. Incompiuto e impossibile come tutti i grandi amori. In questo suo sesto romanzo, sospeso tra realtà tangibile e realtà quantistica, Aciman dispiega un «sogno di una notte di mezza estate» all’interno del quale «si aprono spazi, si rimediano errori, si sbrogliano destini, e si può porre rimedio a tutto.» I luoghi, al contempo reali e mitici, baciati da un’estate da cartolina, sono quelli della Costiera amalfitana. Da un lato un esclusivo hotel affacciato sul mare, dall’altro i Lugentes Campi di virgiliana memoria.

Mark, Basil, Emma, Claire, Angelica, Paul, Oscar e Margot, giovani turisti americani in vacanza in Italia, sono costretti a soggiornare per qualche giorno in un bellissimo hotel fronte mare perché lo yacht sul quale viaggiavano aveva subito un guasto ai motori. Qui il gruppo, quanto mai scanzonato e in vena di divertimento, non tarda a distinguersi dal resto della clientela, composta perlopiù da persone anziane e riservate. Tra una cena e l’altra l’attenzione del gruppo si lascia catturare dall’aura di mistero emanata da un curioso signore, ben vestito, sulla sessantina, intento a consumare i pasti da solo. Dopo qualche giorno sarà il misterioso ospite ad avvicinarsi al loro tavolo. Raúl, questo è il suo nome, è originario del Perù ma, avendo studiato in Inghilterra, Francia e Stati Uniti parla «con un impeccabile inglese oxfordiano che conservava però nella pronuncia un lievissimo accento ispanico».

Nello stupore generale, Raúl si conquista subito la fiducia e la simpatia della giovane brigata guarendo con un veloce massaggio il braccio dolorante di Mark. Alle virtù di guaritore seguono presto anche quelle di indovino. «So molte cose su tutti voi.» Di ciascun presente il misterioso peruviano dimostra di conoscere informazioni molto private e persino ricordi lontanissimi. Mentre tutti lo ascoltano incantati e sbigottiti, riempiendolo di domande, Margot lo guarda con sospetto. La ragazza ha fiutato qualcosa, forse un inganno. Quando Raúl insinua che il suo vero nome non era Margot ma Maria, la giovane nega categoricamente, mettendosi sulle difensive. Qualcosa però, dentro di lei, comincia a smuoversi. Qualcosa che non sa spiegare. I giorni passano. Conversazione dopo conversazione Raúl diventa l’elemento accentratore del gruppo. Quando prende la parola tutti stanno ad ascoltarlo. Anche Margot vince pian piano le sue resistenze. Non c’è nulla di violento o morbosamente invasivo in Raúl. Il suo plateale fascino arcano era ben mitigato da un modo di porsi misurato, elegante e gentile.

L’uomo racconta di non essere un turista di passaggio, ma di conoscere quei luoghi fin da bambino. Luoghi impregnati dal mito, come il lago d’Averno, un lago vulcanico situato nel comune di Pozzuoli, tra Lucrino e l’area archeologica di Cuma, creduto dall’antica tradizione greco-romana un accesso all’oltretomba. Luoghi come i Lugentes Campi, «i campi del lutto, dove le anime dal cuore infranto raccontano le loro desolate storie d’amore ai passanti che hanno la premura di fermarsi ad ascoltare», luoghi del pianto «dove tutti gli amori incompiuti vengono parcheggiati e aspettano, aspettano, aspettano…» Raúl, in passato, li ha dovuti attraversare questi campi del lutto, e sa che «non ci si riprende mai. Chiunque sia stato a ferirci, lascia un segno che ci accompagnerà per sempre (…) Non è capitato anche a voi, almeno una volta nella vita, che il vostro cuore sia stato dato alle fiamme, trafitto da un dardo o violentato?»

Cosa spinge quest’uomo a intavolare certi discorsi con un gruppo di giovani americani in vacanza? Si sta rivolgendo a tutti o a uno in particolare? Raúl prosegue poi parlando dei tanti io con i quali l’essere umano si ritrova misteriosamente a convivere, «una costellazione di io» sparsi per il mondo, infiniti «io-ombra» che talvolta albergano in altre persone. «Ecco perché a volte ci capita di riconoscere al volo qualcuno: perché in realtà siamo noi stessi nel corpo di un altro (…) Ciò che conta, amici miei, è stabilire un contatto. Trovare connessioni. La cosa più difficile sulla terra (…) La maggior parte di noi vive la propria vita aspettando il giusto allineamento. Perché questo è la vita: una sala d’attesa.»

Quello che Raúl sta cercando di spiegare – sperando che Margot, solo Margot, colga – è che nulla è mero caso, soprattutto l’amore. L’amore che, in ogni spazio e in ogni tempo, continuamente si ripropone. Tenterà di spiegarglielo nel corso di una lunga passeggiata, loro due da soli. Vinta l’iniziale resistenza, la giovane accetterà di lasciarsi guidare lungo uno straniante percorso a ritroso costellato di dolorosi e meravigliosi déjà vu. Assaggerà frutti e varcherà ambienti tanto sconosciuti quanto familiari. Chi è Margot? Chi è Maria?

Tornerà alla luce – la luce mitica della Costiera amalfitana – qualcosa di appartenente a quarant’anni prima. A una vita fa. L’ultima estate (Guanda, 2021) è un canto all’amore che si ritrova «infinite volte», ogni volta che «il fato riallineerà i nostri calendari».

Leone Maria Anselmi


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