di Maria Dente Attanasio
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 44 | primavera 2021
Da anni sociologi e opinionisti d’ogni risma esprimono pareri riguardo alla crisi relazionale tra uomo e donna, che si traduce in crisi di coppia e di famiglia. L’emancipazione della donna e il conseguimento (almeno sul piano teorico) della parità uomo-donna, insieme al mutamento degli stili di vita, sono alcuni tra i fattori chiamati in causa. Ad essere in crisi, quindi, è una certa impostazione dei rapporti e dei ruoli uomo-donna che risulta ormai incompatibile con il moderno assetto sociale. Di conseguenza, anche il modello di famiglia cosiddetto “tradizionale”, che su quell’impostazione si reggeva, è finito travolto da questa crisi. Non tutti ne vogliono prendere atto. Esistono ancora molte aspiranti principesse in attesa del principe azzurro (che le riscatti da qualcosa, che le accudisca, che le protegga, che le mantenga, che le coccoli e le governi al tempo stesso), e molti aspiranti Pater familias in attesa del piccolo e inviolabile dominio domestico in cui poter esercitare il proprio ruolo di padri e padroni.
Sembra essere tra i frutti di questa evoluzione anche la conquista di una certa “femminilità” da parte della donna, tanto che sempre più spesso si sente dire “Posso rinunciare a tutto, ma non alla mia femminilità”. Resta però da chiarire cosa si intenda per femminilità. Stando alle argomentazioni ricorrenti, sembra che questa non vada al di là del belletto e delle gambe a nudo anche se si gela dal freddo. Peccato poi che tutta la scalata evolutiva sembri arrestarsi quando si giunge alla fatidica ora X dell’orologio biologico: è lì che arretrano o passano in secondo piano tutte le aspirazioni professionali, le velleità artistiche e i progetti di autonomia personale; lì bisogna accelerare i tempi, individuare la preda (ossia il buon partito) e passare subito a una strategia d’attacco. Va da sé che la preda è in questo caso l’uomo, ma perché il gioco funzioni e vada a buon fine è bene lasciargli credere di essere lui il predatore, assicurandosi anche di procurargli il gusto della “conquista”. Molti uomini ci sono arrivati a smascherare il giochetto, e infatti scappano. Le oblate alla maternità hanno un gran da fare al giorno d’oggi.
Rientrano sicuramente tra quelli che se la danno a gambe Alessandro Zaltron e Marco Cavalli, autori di About sex (Mondadori, 2020), un libro che tenta di dare una risposta alla domanda: Se l’espressione “fare l’amore” è ormai enigmatica, che cosa significherà nel terzo millennio “fare sesso”? Da qui prende l’avvio tutto «uno scanzonato, serissimo zig-zag tra i miti e i riti, le frasi fatte e i conti in sospeso» perché non si può tentare di dare una risposta a un quesito di carattere sessuale senza considerare tutte le questioni e le variabili del discorso che vi entrano in gioco. Così, tra un aneddoto, un racconto autobiografico e discettazioni varie, Cavalli e Zaltron si passano la parola, e saltando da un luogo comune all’altro cercano di toccare tutto il bello e il brutto del sex che sta racchiuso in quell’about: «rapporti di coppia, giochi delle parti, malattie cosiddette veneree, delitti assurdamente definiti passionali, chirurgia chissà perché estetica. E ancora: pornografia, sentimentalismo, giovanilismo, impotenza, dipendenza da social network – drammi assurdi e autentiche commedie…».
Il libro parte dalla domanda “Quand’è che ci si stanca del sesso?” a cui i due autori danno subito un’articolata risposta che fa da ideale prologo e sintesi perfetta a tutto il discorso: «Il sesso stanca dopo che se n’è fatta esperienza sia bella che brutta e ci si è scontrati con la sessualità altrui, cioè con i miraggi, i pallini, le nevrosi, i malesseri, le inappetenze, le voracità a senso unico, le gentilezze impazienti, i finti orgasmi finalmente più veri del vero, le aspettative di salto sociale grazie alle molle del letto, l’incessante bisogno di mettere etichetta e prezzo ai sentimenti di mutua, dubbia appartenenza codificandola in conferme e giuramenti che dell’attrazione erotica sono il precipizio verso la noia più mortifera e, infine, dopo essersi scontrati con i capricci del prossimo, dispotici, accentratori, intollerabili, testardi, crudeli, bambineschi, vampireschi nonché sacrosanti. Proprio come i nostri.». Il resto del volume altro non è che lo sviluppo, punto per punto, di questa carrellata di asserzioni. Tra l’esilarante e il disturbante ne esce fuori un quadro alquanto desolante di quella che è la dinamica dei rapporti tra uomini e donne, e in breve il libro risulta come un’opera di decostruzione dell’intera impalcatura su cui si regge lo status quo dell’universo relazionale eterosessuale, una critica cinica e disfattista che non salva praticamente nulla.
Bersaglio principale dei due “uccel di bosco” Cavalli e Zaltron appaiono sicuramente le donne, o perlomeno quelle che loro hanno conosciuto (o credono di aver conosciuto). Va bene criticare la fissità dei ruoli e una certa orpellosa e stomachevole femminilità, o difendere la propria volontà di non “impegnarsi”, ma il delegittimare a priori chi, oltre una semplice scopata, nutra l’aspettativa di creare un progetto di vita in due, tradisce un probabile senso di irrisolutezza e inadeguatezza. Oggi, grazie ai Gender Studies e al movimento queer, esiste un ampio ventaglio di possibilità e fluidità sul fronte delle identità, degli orientamenti e delle relazioni. Un’ipotesi che sembra sfuggire ai due autori, almeno a giudicare dal pochissimo spazio riservato all’omosessualità nel loro libro, dove tra l’altro hanno preso a modello solo la checca. About sex, tra il serio e il faceto, tra il cinico e il disincantato, avvince, diverte e, non ultimo, offre interessanti spunti di riflessione.
Maria Dente Attanasio
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 44 | primavera 2021
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