di Cecily P. Flinn
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 44 | primavera 2021
Cosa sta avvenendo nell’Artico? Il ricercatore polare Peter Wadhams torna a metterci in guardia e lo fa con parole forti. Il suo accorato appello mira a sensibilizzare quelle coscienze ormai intorpidite che si rifiutano di guardare in faccia la realtà. Il cambiamento climatico non è più un’opinione o una teoria, ma un dato di fatto. I suoi effetti sono sotto i nostri occhi. Homo sapiens ha innescato un processo che, per molti versi, appare ormai irreversibile. Tentare di salvare il salvabile è l’unica strategia sensata che si possa adottare.
In questa nuova edizione del saggio Addio ai ghiacci (uscito per la prima volta nel 2017) Peter Wadhams riporta i dati più aggiornati sul climate change, con numeri che non lasciano spazio all’immaginazione. Il ricercatore ha dedicato gli ultimi quarant’anni allo studio dei fenomeni fisici che si verificano nel ghiaccio marino artico determinandone la crescita, il declino e il movimento; nel corso del tempo, attraverso indagini comparate, carotaggi e minuziose misurazioni sonar, ha potuto constatare un progressivo e inesorabile assottigliamento della calotta polare. Tra il 1976 e il 1999 lo spessore medio del ghiaccio ha subito una riduzione del 43%. «Nel settembre 2012 il ghiaccio marino ricopriva solo 3,4 milioni di chilometri quadrati di superficie dell’Oceano Artico, meno della metà degli 8 milioni di chilometri quadrati occupati negli anni settanta del secolo scorso.» Il ghiaccio pluriennale si sta sciogliendo a ritmi mai registrati prima. L’innalzamento del livello dei mari, com’è noto, non sarà la sola conseguenza a breve termine. Mutamenti così repentini agiscono su larga scala sull’intero ecosistema stravolgendo equilibri consolidatisi in milioni di anni. Lo scioglimento del permafrost, ci avverte Wadhams, può inoltre innescare la fuoriuscita di enormi quantità di metano intrappolate nei fondali, gas dormienti dall’ultima era glaciale; l’emissione di questi gas nell’atmosfera porterebbe a «un ulteriore, immediato impulso al riscaldamento globale.»
Già nel 2008, attraverso migliaia di scatti in time-lapse, il fotografo americano James Balog aveva documentato il ritiro di enormi ghiacciai in Islanda, Groenlandia, Alaska e Montana, fornendo così prove oggettive del disastro ambientale in atto. Più eloquenti dei grafici forniti da glaciologi e climatologi, queste immagini drammaticamente suggestive hanno avuto il merito di riaccendere l’attenzione generale sulla salute del pianeta. Da allora, nel concreto, poco o nulla è stato fatto. La pandemia tutt’ora in corso ci sta insegnando a caro prezzo cosa comporti per l’umanità l’aver scelto la via d’una globalizzazione cieca e scellerata. Ma è solo l’inizio. Catastrofi su scala planetaria ben più gravi ci attendono dietro l’angolo. L’antropocene è l’era che ha ridisegnato gli equilibri della Terra, compromettendone irrimediabilmente il destino. «Nell’antropocene – scrive il fisico Hans Joachim Schellnhuber – l’umanità stessa è diventata una forza geologica.» Al termine Antropocene (coniato nel 2000 dal meteorologo e ingegnere olandese Paul Crutzen) Peter Wadhams suggerisce un forse più appropriato Era Deglaciale (Deglacial Epoch).
Le politiche negazioniste sostengono da anni che lo scioglimento dei ghiacciai dipenda da fattori squisitamente naturali, quando invece è scientificamente provato che la principale causa siano le emissioni di CO2. Il movimento negazionista – segretamente finanziato dagli intoccabili dell’industria petrolifera e dalle potenti multinazionali – raccoglie purtroppo molti consensi e, astutamente, continua ad agire su più fronti per frenare l’attuazione di un piano condiviso di riformulazione dell’economia globale. Anche la gente, nei grandi numeri, sembra crogiolarsi sempre più in una compiaciuta de-responsabilità, convinta che tutto possa risolversi con la raccolta differenziata.
«La cosa più triste di tutte – denuncia Peter Wadhams – è la paralisi individuale che si nota sempre più nella nostra società. Negli anni Sessanta nel Novecento, in Occidente, i giovani erano uniti in grandi crociate (contro il razzismo, contro la guerra in Vietnam), il che dimostrava un loro reale interesse per lo stato del mondo. Ora che la posta in gioco è ancora più alta, e le necessità più urgenti, sono invece passivi. Gli elettori di tutte le età, gli enti e i governi, non mostrano alcuna preoccupazione verso la necessità di costruire un pianeta sostenibile e sembrano essere interessati solo alla ricchezza e alle comodità personali (…) I giovani non ascoltano né sono ispirati ad agire, mentre gli anziani non guidano né insegnano.» Parole dure e senza speranza, ma tanto vere. Insieme al ghiaccio va sciogliendosi anche la nostra speranza di poter garantire un futuro a chi verrà dopo di noi. Se da un lato le grandi decisioni spettano ai governi e agli accordi internazionali, anche noi, nel nostro piccolo, possiamo fare molto adottando stili di vita più consapevoli e meno impattanti.
L’autore di Addio ai ghiacci conclude la sua disamina con un appello accorato: «Innanzitutto, rispondete con tutte le vostre forze alla marea di fango, fatta di bugie e di inganni, che scaturisce dai negazionisti del cambiamento climatico e da coloro che non vogliono fare nulla sperando che il problema si risolva da solo. Non si risolverà. Siate particolarmente attenti ai discorsi sinuosi e falsi dei politici, dai primi ministri in giù, e restate all’erta per individuare le differenze evidenti tra ciò che dicono e ciò che fanno. Quando aderiscono a un solenne accordo internazionale a Parigi per ridurre radicalmente le emissioni di carbonio, e poi eliminano le agevolazioni legate alla vendita di energia solare, non sostengono la ricerca e lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili e cercano di espandere l’utilizzo dei combustibili fossili attraverso il fracking, sappiate che sono degli ipocriti.» Wadhams cita il caso emblematico della Gran Bretagna, che nel 2015 (a dispetto di tante belle promesse) attinge ancora l’82% dell’energia dai combustibili fossili.
Dormi amore, la situazione non è buona.
Cecily P. Flinn
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 44 | primavera 2021
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