di Massimiliano Sardina
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 43 | inverno 2020/21
Nella sua etimologia greca il termine Pædophilia sta a designare l’attrazione per i bambini, senza però trascinare necessariamente con sé una connotazione esplicitamente sessuale, diversamente dal più contemporaneo e crudo “pedofilia”. «Da molto tempo cerco il nome di ciò di cui voglio parlare…». Scoprendo in se stessa «i mezzi per pensare l’impensabile» e per dire l’indicibile, la filosofa francese Annie Leclerc (1940-2006) prende il coraggio a due mani e osa pronunciare l’impronunciabile. Nella prima pagina del saggio – purtroppo incompiuto e pubblicato postumo – Pædophilia assume così un nome proprio, un’identità specifica, a dispetto del grande tabù che da sempre ne ha garantito l’invisibilità. Il mostro, corporeo e spirituale a un tempo, si palesa quale «entità, trascendente, che tira le fila delle generazioni e perpetua la specie o talvolta la spezza.». Sentimento giano, subdolo, ambiguo, supremo parassita dell’infanzia, «il più antico e il più attuale dei demoni che presiedono alla sorte degli umani.».
Offesa da Pædophilia nella più tenera infanzia, Annie Leclerc impronta un coraggioso faccia a faccia col demone, una disamina lucida e appassionata che affida alla liricità della parola il compito, non facile, di rispondere ai tanti spinosi interrogativi. Cosa accade tra adoratori e adorati? Cosa spinge l’amore a volgere in deliberata violenza? Predatori e predati, lupi e agnelli, ruoli e destini ben distinti. «All’inizio non si tratta che di sorrisi e di gentilezze, alla fine si annega nel sangue del massacro.» Leclerc riconosce in Pædophilia una sorta di atavico sentimento universale capace di donare sia gioia che terrore, sia latte che veleno, sia vita che morte. Da un lato il lupo (Homo Homini Lupus), dall’altro l’Infans (l’infante, ovvero il non parlante): una lotta ad armi impari. Il bambino aggredito diventa un bambino regredito. A regredire (nell’impronunciabile) è la parola stessa, la muta richiesta di salvezza. Pædophilia condanna l’abusato impubere al silenzio. «Questo genere di silenzio, d’impossibilità di dire, è la regressione al fondo dell’infanzia ed è il nettare dei lupi.» Il piccolo non parlerà, non denuncerà, non additerà il mostro, non reagirà. A frenarlo sarà la vergogna, la paura di non essere creduto fino in fondo: «Ma come può il bambino denunciare colui al quale non ha saputo dire no?» I lupi conoscono molto bene questo meccanismo psichico. Il «bambino afono» incamera il male dentro di sé. «Assume su di sé l’affronto e non fiata.»
Parlare, spiega Leclerc, significherebbe violare il segreto degli adulti, «aprire brutalmente la porta chiusa dei suoi genitori», tradire una legge sacra, conferire all’accaduto uno statuto di realtà. «Che il male si sappia sarebbe stato peggio del male stesso.» Di qui l’afonia, la pietrificazione della lingua, il precipitare «nell’abbandono della parola». Al predato non resta che lo smarrimento, il non riconoscere più l’equilibrio e l’ordine del mondo. «Tutta la pedofilia – spiega Leclerc – è contenuta in questa incommensurabile violenza che consiste nello sprofondare il bambino laddove ordini chiari diventano confusi, nell’associarlo col silenzio al suo boia, nel disorientarlo al punto di annientare il senso che ha di sé.» L’analisi della filosofa francese non si arena sulla mera condanna del pedofilo – pedofila è, per esteso, anche tutta quella società che mercifica e divinizza il feticcio dell’infanzia a proprio uso e consumo – ma si spinge a tracciarne un ritratto psicologico. Nel pedofilo (violentatore sanguinario o delicato letterato) agisce in primo luogo un desiderio insopprimibile: la riappropriazione della propria infanzia. L’abuso non rappresenta in quest’ottica che la ritualizzazione di un maldestro processo di riappropriazione, un gioco di specchi dove il lupo si traveste da agnello.
I veri e propri strali Annie Leclerc li rivolge contro la feroce audacia dei difensori della predazione, sacerdoti della divorazione, quelle illustri personalità che negli anni Settanta hanno tentato di sdoganare una “pedofilia buona”, legittima e pedagogica inneggiando al diritto al piacere del bambino. Teorie vergognose che, nel clima libertario di quegli anni, hanno potuto circolare impunemente.
Qualsiasi riflessione sul tema non può e non deve prescindere dal seguente assunto: «Prima di costituire un crimine contro chi è stato violentato, l’atto di pedofilia costituisce un crimine contro la sessualità stessa.»
Annie Leclerc, accesa teorica del femminismo, autrice di numerosi saggi – Parola di donna (Ed. Grasset, 1974) fu il testo che la rese celebre ben oltre i confini francesi – indaga qui il più scomodo di tutti i sentimenti umani. Contravvenendo al diffuso «tacito accordo di intervenire solo alla superficie del fenomeno» Leclerc ne sviscera invece le ragioni profonde e misteriose, dando finalmente voce alle vittime afone. Della Pædophilia e altri sentimenti (Edizione Malcor D’) travalica la struttura convenzionale del saggio per imporsi quasi alla stregua di un testo letterario. Quando scrive: «Affermo che Pædophilia conduce nell’ombra il ballo di dei splendenti e manifesti, e si fa beffe degli uomini» Annie Leclerc riconsegna tutto il vigore alla parola zittita, la dilata, la amplifica, la contrappone definitivamente alla persistenza del silenzio.
Massimiliano Sardina
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 43 | inverno 2020/21
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