NEL DEDALO DEL POETA | Alexander Und Dedalus. Poesie di Bartolomeo Theo Di Giovanni

di Giuseppe Maggiore

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 43 | inverno 2020/21

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Tutto, nella vita di un poeta, è espediente per dire altro. La stessa Parola si svincola dalla correlazione tra il significante e il significato. C’è vita, c’è amore, c’è morte; un torrente di sentimenti e di passione che prorompe e sconquassa i sensi; l’anelito verso un oltre che segni il superamento dei limiti della condizione umana e del sentire religioso stesso. Inevitabilmente il poeta va incontro all’equivoco di chi l’ascolta, di chi lo legge, persino di chi, suo malgrado, è stato sua musa ispiratrice. Chi dunque potrà mai dire ciò che s’agita nel suo cuore? Nessuno, nemmeno lui stesso; giacché sta tutto riversato in quei versi datici in pasto, i quali sono ormai altro da sé, e vivono di vita propria. Chi legge la poesia non la legge. Occorre masticarla, farne un rito eucaristico. Un approccio meramente razionale rischia di travisarne l’essenza, poiché le sue sostanze, sotto il giogo d’una inflessibile e “colta” ragione, finirebbero per corrompersi.

Ciò è particolarmente vero nel caso dei componimenti che il poeta e filosofo Bartolomeo Theo Di Giovanni ci consegna in questa raccolta che ha per titolo Alexander Und Dedalus, pubblicata nella collana “Gli ippocampi” della PlaceBook Publishing. Poesie che pesano tutto il carico esperienziale del loro autore, tutto il suo vissuto, tutto il suo passato, presente e, persino, futuro. Di Giovanni stesso lo dichiara fin dall’inizio, nel lungo racconto autobiografico che fa da introduzione. Un’insolita e molto intima introduzione, in cui, come se le poesie da sole non bastassero, si mette una volta di più a nudo di fronte al lettore. Vien subito da chiedersi perché mai un poeta senta il bisogno di fornire una spiegazione, foss’anche un’introduzione, alle sue poesie. Perché aggiungere parole alla Parola? Perché voler restituire quei versi a un vissuto cui ormai non appartengono più, in quanto sua astrazione, superamento, sublimazione? Eppure lui stesso scrive: «L’uomo spirituale lo è, e basta, non ha alcun motivo di spiegare ciò che vive nella sua anima.» Fatte salve queste considerazioni, va detto anche che questo racconto dai toni confidenziali in cui traccia la genesi delle poesie, se da un lato ci immette nella sua concreta dimensione umana ed esistenziale, dall’altra conferisce a quegli eventi personali una valenza universale. Citando nomi, rievocando incontri, luoghi, situazioni e, soprattutto relazioni, comprendiamo che la sua è una poesia relazionale, scaturita dall’Incontro. Un incontro animico, spirituale, prima ancora che fisico, e quindi scevro da melensi sentimentalismi o pruriginose passioni. Ma questo è soltanto uno dei registri di lettura che ci offre la sua poesia.

Chi è avvezzo alle dottrine alchemico-esoteriche non mancherà certo di intercettare l’enorme profusione di simboli, metafore e allegorie che consustanzia la materia di queste poesie. I tanti riferimenti mistici, filosofici, alchemici, esoterici che echeggiano nella raccolta, ne rivelano un’ascendenza affatto circostanziata al vissuto riferito del suo autore. Se, come egli scrive, «l’uomo ha bisogno di spazio e di tempo», la poesia, la sua poesia in particolare, non ha certo luogo né in quello spazio né in quel tempo che lui ci riferisce nell’introduzione. È un depistaggio; un autosabotaggio alla propria qualità e verità di poeta. I versi qui raccolti seducono, affascinano, suggestionano, irretiscono e destabilizzano perché ci trasportano in uno spazio-tempo immensamente dilatato, dove l’evento apparentemente fissato perde subito i connotati per trasmutarsi – e trasmutarci – in qualcosa che oltrepassa il sensibile e il contingente. Abbiamo il sentore che stanno parlando d’altro, anche se non sempre riusciamo a coglierne il messaggio profondo.

Quella di Bartolomeo Di Giovanni è sì, una poesia che sa di vissuto, intrisa della memoria dei luoghi e di quanti hanno stillato ora miele ora fiele nel suo animo, ma è anche una poesia che si spinge in avanti, lambendo con occhio chiaroveggente il futuro. Una poesia oracolare, che legge e interpreta gli accadimenti traducendoli in segni, o in chiavi d’accesso a verità altre. Perché, dopotutto, cos’è l’incontro, cos’è l’amore, cosa la vita o persino la morte, se non l’occasione di una trasformazione, di una rinascita, di una nuova resurrezione? Tutto ciò che esperiamo ha in sé un potenziale alchemico che attende di essere liberato. Alexander Und Dedalus è un viaggio poetico ed esoterico di iniziazione all’Amore. Un amore ancestrale, trascendentale, mistico e sensuale. Un amore divino e carnale.

Giuseppe Maggiore


Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 43 | inverno 2020/21

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