di Piero Sardina
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 42 | autunno 2020
VICINO
- «Hai visto le chiavi della macchina?»
- «Stanno “vicino”…»
Se non sei barese ti chiederai: vicino dove? Non le vedo… Se invece sei barese avrai capito che “vicino” significa che le chiavi sono già in macchina nella sede, pronte per la messa in moto. “Vicino” quindi non vuol dire necessariamente che le chiavi si trovano nei pressi di chi parla o di chi ascolta: può anche voler dire a qualunque distanza, dipende cioè dal luogo in cui si trova la macchina.
ANCÓRA
Come sappiamo è un avverbio di tempo, ma non sempre (almeno per i baresi). È una parola poliedrica che assume diversi significati a seconda della posizione nella frase, e spesso a seconda dell’intonazione. Facciamo alcuni esempi:
- «Piove ancora, prendi l’ombrello»
- «Prendi l’ombrello, ancora piove…»
In questo secondo caso “ancora” vuol dire che potrebbe piovere. Un altro esempio: all’appuntamento c’è un ritardo. Chi sta aspettando direbbe:
- «Non viene ancora…» oppure «Ancora non viene?…» (cioè forse non viene).
- «Ancora cadi» è un classico per dire: attenzione a non cadere.
- «Ci vediamo domani? Ancora non ci vieni…» espressione che equivale a «Mi raccomando, devi venire…»
LE INDICAZIONI STRADALI
Un automobilista forestiero ha bisogno di sapere dov’è (per esempio) Piazza Garibaldi, e se lo chiede a un passante avrà questa risposta: «Vada dritto fino al terzo semaforo, giri a destra e poi al secondo incrocio giri a sinistra. Poi vada dritto fino al secondo semaforo e lì è Piazza Garibaldi.» (Il passante che ha fornito le indicazioni non è barese). Se invece il passante è un barese, il forestiero avrà ricevuto le seguenti precise indicazioni: «Vai dritto e non al primo, non al secondo ma al terzo semaforo gira non a sinistra ma a destra, e poi non al primo ma al secondo incrocio vai non a destra ma a sinistra. Poi vai dritto fino non al primo semaforo ma al secondo semaforo e lì sta Piazza Garibaldi.» (Il tutto, naturalmente, rigorosamente con il “tu”).
RELAZIONI DI PARENTELA
Un bambino non barese direbbe: «Zio, mi compri il gelato?» Quello barese dice: «Lo zio, mi compri il gelato?» Oppure: «La nonna, ha detto la mamma, tieni il petrossino?» (nome derivante dal latino, in italiano “prezzemolo”).
VERBI AUSILIARI
Essere ed avere sono molto spesso sostituiti da “stare” e “tenere”. Il barese non chiede: «C’è Michele?», ma «Sta Michele?» E non dirà: «Ho fame», ma «Tengo fame». E spesso anche: «Lo tengo visto», riferendosi ad un film. Sono evidentemente modi di dire derivati dalla lingua spagnola.
ALTRI MODI DI DIRE
Alla domanda: «Come si va?» difficilmente vi sentirete dire: «Bene, grazie», ma piuttosto: «Meglio così che peggio», oppure, traducendo dal dialetto: «Agguantando, agguantando…», cioè a dire “Carpe diem”, prendendo quello che viene. O ancora: «Andiamo parete parete», cioè ci muoviamo addossati lungo una parete o un muro per proteggerci dalle eventuali avversità… Inoltre (questa è bella), per far capire quanto si vuole bene a una persona non appartenente alla famiglia: «Ti voglio bene peggio che a un figlio…» E ancora, riferendosi all’essere due persone semplici ed umili: «Che noi, due fetenti siamo».
GERGO DEI RAGAZZI
Fare “X” (Ics) a scuola era l’equivalente di marinare la scuola; “andare a fare i pomodori” era più prosaicamente corrispondente all’andare in “camporella” con una ragazza.
ALTRE ESPRESSIONI PARTICOLARI
Vi sono inoltre molte parole che, per suoni onomatopeici o per costruzione, danno immediatamente l’idea del loro significato. Alcuni esempi. Quando si mangia qualcosa di piccante si dice: “Jusc”, con una “s” un po’ sibilante, che traduce la reazione a questo sapore nella bocca. Da questo termine deriva la denominazione di una particolare ricotta locale, una ricotta “forte” che appunto si dice “ricotta ‘scuant” (participio presente del relativo verbo di cui “Jusc” è terza persona dell’indicativo presente).
In lingua italiana si dice “prendere un granchio” per indicare un tentativo fallito, un errore; il corrispettivo in barese è: hai preso un “pricueco”, cioè un percoco (o percoca), presumibilmente al posto di una pesca. Altra versione fa derivare l’espressione da qui pro quo.
Il corrispettivo del verbo saltare è “zombare”, che a ben analizzare è veramente interessante. Infatti il verbo sembra dare l’idea di una traiettoria parabolica in cui la fase ascendente (“zom”) raffigura lo scatto verso l’altro fino a raggiungere il culmine con la “m”, e la fase discendente (“bare”) raffigura l’atterraggio finale in modo onomatopeico.
Altro verbo interessante è “intropiquare”, corrispettivo dell’italiano inciampare o incespicare, ma più descrittivo perché sembra indicare un inciampo dovuto anche a un intreccio delle gambe.
Gli scarti delle lavorazioni del legno da parte di un falegname sono i cosiddetti trucioli: il barese li chiama “frambugghi” e il loro significato si estende anche per indicare cose di scarso valore o di poco interesse. Curiosa è anche l’espressione per descrivere una persona molto alta: “indramalonga”, cioè una persona che si presume abbia in conseguenza delle budella molto lunghe.
“Fruscio di scopa nuova” si dice di chi esordisce in qualche attività e cerca di farsi notare. Infine per indicare con ammirazione una persona colta si dice che ha fatto le scuole “erte”, cioè scuole “alte e difficili” (in italiano diremmo semplicemente superiori).
VECCHIE USANZE
Traslochi. Ricordo che negli anni ’50 (ma probabilmente anche prima) la ricorrenza del 10 agosto era legata ai traslochi. Non mi sono mai spiegato la ragione, ma probabilmente l’usanza era riferita a una tradizionale data di rinnovo o di revoca dei contratti di locazione delle abitazioni. Del resto, all’epoca – siamo nell’immediato dopoguerra – il mese di agosto non era certamente destinato alle vacanze. In quegli anni, infatti, era molto diffusa la locazione degli appartamenti, non essendoci molti proprietari, circostanza che, com’è noto, si verificò successivamente col Boom dell’economia appena dopo gli anni ’50, allorquando gli italiani ebbero con la loro proverbiale capacità di risparmio ed attraverso la costituzione di moltissime cooperative, la possibilità di diventare proprietari.
LA SALSA DI POMODORO
Era in questo mese di agosto diffusa pure l’usanza di fare in casa la salsa di pomodoro. Si acquistavano a cassette i pomodori ben maturi e si mobilitavano intere famiglie in questa operazione, ed ognuno aveva il suo compito: chi li “passava” con l’apposito apparecchio a manovella, chi li imbottigliava, chi tappava le bottiglie e chi le metteva a bollire nell’apposita caldaia. Era un’operazione importante perché la pastasciutta era il principale (a volte unico) pasto italiano, e inoltre c’era la consapevolezza della genuinità. La quantità delle bottiglie era calcolata per coprire il fabbisogno di un anno.
IL CORREDO
Era preoccupazione delle mamme assicurare per le figlie il cosiddetto corredo in vista del futuro matrimonio, meta, all’epoca, quasi esclusiva per gran parte delle donne (almeno della medio-bassa borghesia). La costituzione del corredo cominciava dalla tenera età della bambina, perché così si poteva affrontare una spesa totale non indifferente e si poteva realizzare orgogliosamente l’obiettivo: «…Mia figlia ha a disposizione “panni a dodici”», cioè un corredo costituito da dodici pezzi per ogni elemento (lenzuola, federe, asciugamani, vestaglie, etc…) Se poi, assieme ai “panni a dodici” si offriva anche il “quarto” (cioè un appartamento di proprietà) la figlia diventava alquanto appetibile dal fortunato pretendente. L’uomo, a sua volta, poteva non offrire niente (se non il fatto di avere un qualsiasi lavoro) perché era “uomo” e ciò bastava e avanzava. Naturalmente queste usanze sono state da tempo superate di pari passo con la raggiunta parità dei generi.
Sul tema dei matrimoni merita una menzione anche quel fenomeno che a Napoli viene conosciuto come la “fuitina”, cioè una fuga limitata nel tempo (in genere di un giorno e una notte) di due fidanzati a fronte del contrasto della loro unione da parte di una o di entrambe le famiglie. Analogamente a Bari la stessa circostanza veniva definita come quella che in lingua italiana potrebbe avere il significato di “scendersene” e che in dialetto suonava così: «…Se ne sono ascennuti», cosicché i genitori, messi di fronte “al fatto compiuto” non potevano che acconsentire al matrimonio riparatore.
Cose d’altri tempi, indubbiamente.
Piero Sardina
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 42 | autunno 2020
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