di Luisella Sartori
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 42 | autunno 2020
C’è una particolare forma di cecità in molti amici, familiari, colleghi. Delle volte è solo apparente, altre volte invece è un deliberato rifiuto a non voler guardare in faccia certe verità. Perché scomode, imbarazzanti, o semplicemente perché non si hanno gli strumenti per affrontarle nel giusto modo. Credono di conoscerti; credi di conoscerli. Ma qualcosa, un sospetto, aleggia intorno a te, qualcosa che resta quasi sempre sullo sfondo, magari solo un’impressione, chissà. A volte diventa un sottile sottinteso, una cosa saputa e taciuta; altre volte un gioco fatto di allusioni, battutine, doppi sensi, un dire-non dire che più o meno maliziosamente stuzzica, punzecchia, allude… Può esserci complicità nel mantenere un segreto – talvolta a te stesso prima ancora che agli altri – quando a casa fingono di non vedere, non capire; quando agli amici presenti il tuo compagno come cugino / la tua compagna come amica del cuore, evitando ogni azione che possa destar sospetti, come toccarsi, baciarsi, prendersi per mano… Magari invece tutti sanno, ma trovano più confortevole far finta di non sapere. Almeno che non ti decida a dichiararti.
Dichiararsi, uscire allo scoperto: ha quasi il sapore di una confessione. Cosa dichiarare? Cosa confessare? Ci si confessa delle proprie colpe, dei propri peccati. Dichiarare di essere un uomo che ama un altro uomo, una donna che ama un’altra donna, è forse un peccato, una colpa? Tu e il/la tuo/a compagno/a arrivate persino a farne una ragione di pudore, di intimità sacra e inviolabile; un pudore e un’intimità da relegare nella sfera privata. L’amore tra voi è un fatto privato, non pubblico, non sociale. Quello di chi vi sta intorno, delle coppie uomo-donna, invece no: può esprimersi in ogni momento, in ogni luogo, in ogni situazione. Si toccano, si baciano, si prendono per mano senza che nessuno ci faccia caso, senza che nessuno se ne stupisca o abbia una qualche reazione. Nessuno chiede loro di dichiarare/confessare la natura del loro amore, nessuno gli chiede conto della loro unione, nessuno li etichetta come coppia eterosessuale. C’è l’amore, la coppia, la famiglia (la loro), e poi ci sei tu, qualcosa che richiede un nome, un’etichetta, una specificazione, e infine un’indulgenza da parte loro che ti consenta di esistere, di vivere, di esprimere quel sentimento che anche tu ti ostini a chiamare amore.
L’omofobia ha molti volti e molte sfumature. La puoi cogliere nei dettagli, negli sguardi, nel tono di voce, negli atteggiamenti che segnano un prima e un dopo il tuo uscire allo scoperto. Può anche essere una complice copertura che ti viene offerta da chi ti vuole bene, il perpetuarsi di un’ipocrita messinscena che fa contenti e gabbati tutti; puoi farne autoironia o essere fatto oggetto dell’altrui ironia; può essere un alibi alla tua codardia, oppure qualcosa che ti spinge a tirare fuori il tuo coraggio. Perché in questo mondo ci vuole più coraggio a dare un bacio in pubblico alla persona che ami piuttosto che a commettere un omicidio. Ti si perdona tutto, tranne di amare come il tuo cuore comanda, di dirti, di vestire e di agire come ti senti di essere veramente. La paura e l’imbarazzo per il diverso da sé agiscono in sordina, spesso inespressi. Ma l’odio e il disprezzo esplodono, colpiscono, uccidono. Ed è un odio che non sa spiegarsi, né in chi lo riceve né in chi lo esercita, qualcosa più simile a un istinto che a un sentimento ben strutturato. Un odio scrutato, indagato, interrogato dal giornalista Simone Alliva in un’inchiesta sull’omofobia in Italia, prima pubblicata sull’Espresso e ora divenuta un libro che colpisce come un pugno allo stomaco, Caccia all’omo (Fandango, 2020).
Tra storie di figli sottoposti a assurde terapie di conversione, maltrattati o cacciati di casa, atti di bullismo a scuola, insulti e sberleffi sul posto di lavoro, minacce e pestaggi per strada, quello di Alliva è un viaggio nel più barbarico dei mondi immaginabili, quello che calpesta la dignità della persona, la umilia, la condanna a una violenza da subire in silenzio, fino al totale annientamento. Si condanna e si colpisce la persona in ciò che v’è di più sacro e inviolabile: la sua identità, i suoi sentimenti. Le si negano espressione e cittadinanza. Basta un accenno di femminilità o di mascolinità fuori posto, o un gesto di affetto alla luce del sole, ed ecco che il dispositivo della più viscida e brutale violenza entra in azione, per rimettere le cose a posto, a tutela di quella che chiamano normalità. Nel Belpaese intossicato dall’odio, si assiste negli ultimi anni a quella che il libro di Alliva definisce una vera e propria caccia al “diverso”, al non allineato, con un trend di intolleranza e violenza che segna una continua e spaventosa ascesa. Un odio che si annida in famiglia, che viaggia per le strade di paesi e città, da Nord a Sud, e che nella rete, sui social, arriva a esprimersi in forme ancora più gratuite e rabbiose. Alliva non tace sulle responsabilità politiche, istituzionali, clericali, su chi da anni instilla, fomenta, patrocina quest’odio. La visibilità e il riconoscimento di alcuni diritti civili guadagnati di recente dalla comunità Lgbt disturbano chi, probabilmente, non ha trovato in sé il coraggio di essere se stesso.
Luisella Sartori
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 42 | autunno 2020
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