di Leone Maria Anselmi
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 41 | inverno 2019-’20
Non è necessario scavare chissà quanto in profondità per stanare il male. A volte è sufficiente grattare appena la superficie per vederlo affiorare in tutta la sua impietosa nitidezza. Lo sa bene Ferdinand von Schirach, uno degli scrittori tedeschi più interessanti della scena contemporanea. Attraverso una prosa asciutta, sintetica, quasi burocratica, von Schirach illumina le ombre di una quotidianità solo apparentemente pacificata e ordinaria. I suoi personaggi sono al contempo innocenti e colpevoli, vittime e carnefici, in balia di una realtà che disorienta e destabilizza. Figure fragili, confuse, abitudinarie e dall’aria innocua, ma capaci all’occorrenza di commettere azioni efferate e disumane. Estraniamento e solitudine generano mostri. Ad emergere, pagina dopo pagina, è un’umanità fredda, arida, impassibile. Ferdinand von Schirach, con calcolato distacco, ci mette di fronte a tutto quello che dell’uomo si stenta a comprendere: i misfatti, le violenze, le aberrazioni, le coercizioni, le perversioni, tutte quelle piccole o grandi nefandezze sempre pronte ad agitarsi sotto la patina della società civile. Tutt’altro che un’entità astratta o straordinaria, il male appare per quello che è, mostrandosi come parte integrante e complementare di tante vite all’apparenza comuni. «È quando tutto è fermo che accadono più cose.» Non a caso è con questa citazione di Søren Kierkegaard che si apre Castigo (Neri Pozza, 2019), ultimo atto di una trilogia incentrata sulle misteriose relazioni che governano il bene e il male.
Ferdinand von Schirach nasce a Monaco nel 1964. Parentele scomode le sue, ereditate in via diretta da entrambi i genitori. Suo nonno paterno, Baldur von Schirach, ricoprì con appassionato zelo la carica di capo della Gioventù hitleriana; ardente nazista fu anche sua nonna, la scrittrice Henriette von Schirach. Sua madre era invece una nipote dell’imprenditore e politico nazista Fritz Kiehn. Dando voce ora alla rabbia ora alla vergogna, Ferdinand von Schirach ripercorrerà le vicende della sua famiglia nei romanzi Der Fall Collini (Il caso Collini, 2011) e Kaffee und zigaretten (2019). Ferdinand ha solo quattro anni quando la famiglia si trasferisce a Trossingen, nel land del Baden-Württemberg. Qui studia dai gesuiti fino alla maturità presso il Jesuiten-Kolleg St. Blasien, come racconterà coraggiosamente in un articolo pubblicato su Der Spiegel nel febbraio 2010, subisce abusi. A Bonn si laurea in giurisprudenza e, intorno alla metà degli anni ’90, si trasferisce in pianta stabile a Berlino per intraprendere una brillante carriera di avvocato penalista. Sarà proprio attingendo dall’esperienza forense che Ferdinand von Schirach trarrà ispirazione per la sua attività di scrittore. Nel 2009, all’età di 45 anni, pubblica il suo primo libro: Verbrechen (Reato), una raccolta di racconti brevi; l’anno dopo è la volta di Schuld (Colpa), secondo capitolo della trilogia. Con Strafe (Castigo), Ferdinand von Schirach chiude il cerchio. «Racconto i casi raccolti durante la mia carriera di penalista. Forse è questo che attrae i lettori: avvertono non solo il fascino del mostruoso, ma anche il richiamo della follia quotidiana.»
Nelle dodici storie narrate in Castigo sfilano personaggi inquieti e inquietanti, che il lettore è portato a percepire al contempo come familiari ed estranei. Particolarmente emblematico è il caso del signor Meyerbeck, un uomo assolutamente ordinario, incensurato, pacifico e abitudinario. Quando divorzia dalla moglie però la vita di Meyerbeck subisce, per così dire, una deviazione. L’uomo si chiude in se stesso e riduce al minimo la sua vita sociale. Per lenire la sua solitudine acquista su internet una bambola sessuale, Lydia. «Il pacco arriva nel primo pomeriggio. Firma la bolla elettronica del corriere e trascina lo scatolone dentro casa. (…) Dieci giorni dopo l’arrivo di Lydia, Meyerbeck va a letto la prima volta con lei. Tre settimane più tardi le ordina su internet dei vestiti, biancheria intima, scarpe, camicie da notte e un foulard. (…) Adesso guarda spesso film d’amore con lei. In azienda pensa a lei, ogni lunedì le porta dei fiori. La sera le racconta che cosa ha fatto, (…) le parla del futuro, della casa che vuol comprare perché possa stare seduta in giardino al sole senza che nessuno la disturbi.» Trascorre così il primo anno d’amore. Meyerbeck rincasa con lo spumante e dodici rose, ma ad attenderlo trova una brutta sorpresa. Qualcuno è entrato dentro il suo appartamento. «La bambola è riversa sullo schienale del divano, ha i vestiti e la biancheria strappati (…) Nella bocca, nell’ano e nella vagina sono conficcate le candele prese dal candelabro di Meyerbeck. Sul tavolo del soggiorno c’è la scritta “Porco maniaco”, fatta con il rossetto che lui le ha comprato.» Meyerbeck soccorre Lydia, la accarezza, poi la lava, la cosparge di talco e la ricompone. Si preoccupa solo che lei non lo veda piangere. Quattro settimane più tardi, con estrema lucidità, Meyerbeck mette in atto la sua vendetta. Sa che è stato il suo vicino a compiere quello stupro, così gli tende un agguato e lo massacra spedendolo al pronto soccorso.
Processato per lesioni gravi, Meyerbeck viene condannato a sei mesi con il beneficio della sospensione condizionale della pena; il giudice ha dovuto tener conto di un’attenuante: l’agalmatofilia (ovvero l’amore per statue o bambole). Meyerbeck ha reagito come se Lydia avesse realmente subito quella violenza. Che cos’è allora davvero la colpa? Cosa giustifica un reato? Rispetto a certi crimini può mai esserci piena assoluzione? Indagando psicologie corrotte da insanabili solitudini, Ferdinand von Schirach ci consegna dodici storie estreme dove il male scaturisce dalla cosiddetta normalità, fomentato ora dall’intolleranza, ora dalla noia, ora dall’accidia.
Leone Maria Anselmi
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 41 | inverno 2019-’20
Copyright 2019 © Amedit – Tutti i diritti riservati