di Elena De Santis
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 41 | inverno 2019-’20
Solo tre anni fa, nel 2016, dopo estenuanti battaglie parlamentari, in Italia sono state finalmente approvate le cosiddette unioni civili. Il variegato popolo Lgbt, coloratissimo e invisibile, ha visto riconoscersi quei diritti elementari e fondamentali che per secoli e secoli gli erano stati negati. Le unioni civili segnano indubbiamente uno spartiacque. «Sembra quasi che quel risultato fosse sempre stato lì, a portata di mano» scrive Jacopo Cesari, storico e attivista Lgbt dal 2008, «eppure, come testimonia questo libro, questo traguardo arriva dopo un tempo molto lungo.» Si raccolgono oggi i primi frutti di una semina molto antica. In questi ultimi decenni l’identità omosessuale si è modificata profondamente, ma solo ripercorrendo a ritroso la storia – internazionale, nazionale e regionale – possiamo comprendere quali dinamiche abbiano davvero contribuito a questo cambiamento. Nel nostro Paese gli studi storici sul tema “omosessualità” sono apparsi piuttosto tardivamente, ed è solo in tempi relativamente recenti che sta andando ricomponendosi il grande mosaico. Non è raro che gli storici debbano imbattersi in fonti lacunose e in dati frammentari; molta documentazione riferita al cosiddetto vitio nefando è stata, nei secoli, deliberatamente sottaciuta o censurata. Particolarmente preziosi e illuminanti sono i contributi di quegli storici che scelgono di analizzare il fenomeno rifuggendo dal grande affresco generale. Raccontata da una prospettiva circoscritta – un territorio, una provincia, una regione – la storia emerge con particolare nitidezza, forse anche perché avvertita per così dire più vicina e tangibile, restituendo sfumature altrimenti indistinguibili.
Le ricerche di impronta locale veicolano informazioni cruciali che aiutano a comprendere più esaustivamente il quadro d’insieme, ultima in ordine di tempo quella di Cristoforo Magistro sui confinati omosessuali in Lucania durante il fascismo (Adelmo e gli altri, Ombre corte, 2019). Lo studio di Jacopo Cesari si concentra sulle Marche, «una regione senza pianure, una distesa di colline e montagne, costellata di piccoli e piccolissimi centri.» La provincia marchigiana assurge a «prospettiva da cui guardare i cambiamenti avvenuti nella società italiana e nel mondo omosessuale.» Cesari, classe 1989, è stato un attivista Lgbt dal 2008, e ha ricoperto per Arcigay il ruolo di consigliere nazionale e di Presidente del Comitato di Pesaro e Urbino. «… guardandomi indietro mi rendevo conto che di tanti anni, di tante iniziative, era rimasto poco più del ricordo di chi le aveva animate.» Nasce da qui l’esigenza di mettere nero su bianco le singole tappe di questo percorso. La ricerca non si limita alle battaglie intraprese da Arcigay Pesaro dal 1998 (anno della sua fondazione), ma si allarga ambiziosamente all’intera regione attraversando ben nove secoli di storia. «Nelle Marche – scrive Cesari nelle note introduttive – non è mai stata condotta una ricerca di tipo storico o sociologico sulla comunità lesbica, gay, bisessuale e trans.» Per colmare questa lacuna lo storico raduna quanta più documentazione possibile attingendo dalle fonti più disparate. L’obiettivo è quello di creare una cornice storica di riferimento per le generazioni presenti e future, affinché non dimentichino. Molto più che «una raccolta di frammenti e schegge di memoria» Siamo ovunque si offre come un racconto corale, una storia collettiva costellata di piccoli e grandi eventi, di simpatiche macchiette e di grandi personaggi.
Dagli spazi asfittici di una provincia chiusa e puritana, dove il diverso per lo più si autocensura contentandosi di palesarsi nei ritrovi defilati, emergono anche figure coraggiose e rivoluzionarie come quella di Monica Galdino Giansanti (che a Serra S. Quirico, nell’entroterra marchigiano, rivendicava orgogliosamente il suo diritto a indossare abiti femminili). Il saggio si snoda su un asse cronologico che, partendo dagli Atti e dagli Statuti medievali e rinascimentali della Marca Anconitana, prosegue attraversando l’Ottocento preunitario, la dittatura fascista, la Repubblica, la Dolce Vita, la stagione dei primi collettivi omosessuali negli anni Settanta, i circoli, le associazioni, le prime riviste («Il Fuori!», «Lambda», «Babilonia»), i Gay Camp degli anni Ottanta, la nascita di Arcigay, le marce del Pride… fino al primo matrimonio gay marchigiano (2014), quello tra Fausto Schermi ed Elwin van Dijk (è Fano la prima città in Italia a trascrivere ufficialmente un matrimonio tra persone dello stesso sesso con un atto diretto del sindaco). L’indagine comparata – basata su un dialogo aperto tra storia locale e storia nazionale – dà vita a un grande archivio storico della memoria omosessuale marchigiana. Scopriamo così che le grandi battaglie per i diritti Lgbt non hanno avuto luogo solo nei grandi centri come Roma, Milano, Bologna o Torino, e che anche la provincia più sperduta ha saputo offrire un suo fondamentale contributo.
La ricerca di Jacopo Cesari, densa di nomi, date e luoghi, rende giustizia a tutti quegli attivisti che hanno militato (fuori e dentro i meccanismi della politica) per rivendicare il diritto all’esistenza, «a chi ha aperto una strada e l’ha percorsa quando non era semplice farlo.» Gettando luce sul lavoro sommerso delle generazioni precedenti, ricostruendone passo passo tutta la memoria associativa, Cesari offre alle generazioni presenti e future un concreto testo di riferimento, «una cornice storica entro cui inserirsi per sapere da dove veniamo e per meglio capire dove andiamo.»
Siamo ovunque. Memoria omosessuale marchigiana (Aras Edizioni, 2019) comprende inoltre un’efficace introduzione di Giovanni Dall’Orto e Franco Grillini, una testimonianza di Angelo Pezzana e un’intervista a Gianni Vattimo.
Elena De Santis
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 41 | inverno 2019-’20
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