di Leone Maria Anselmi
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 41 | inverno 2019-’20
Pittore, giornalista, scrittore, attore, performer… chi fu veramente Giò Stajano? Oggi lo ricordano in pochi, eppure, negli anni Sessanta, fu uno dei personaggi pubblici più chiacchierati. Contraltare dell’invertito (termine spregiativo molto in voga in quegli anni) che vive prudentemente la sua esistenza nell’ombra, Giò Stajano fu quanto di più plateale e manifesto si possa immaginare. La sua fu una piccola rivoluzione: scelse di vivere non solo alla luce del sole, sfidando pregiudizi secolari, ma soprattutto sotto quella dei riflettori mediatici.
Figura eccentrica, sfrontata, carismatica, dotata di intelligente e sottile ironia, seppe ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama mondano e culturale dell’epoca. Può vantare il primato di essere stato il primo omosessuale dichiarato in Italia e, cosa non meno importante, il primo ad essersi adoperato concretamente per dare visibilità a tutto un mondo di invisibili e innominabili. Il fattore che contribuì a rendere la sua azione fortemente emblematica riguarda la famiglia d’origine: suo nonno era Achille Starace, segretario del Partito Nazionale Fascista, amico e uomo di fiducia di Mussolini. In più occasioni Giò Stajano ha raccontato di un suo ricordo (risalente al ’35 o al ’36), strettamente legato al Duce e particolarmente significativo nella sua simbolica irriverenza. Siamo a Roma, a Villa Borghese, all’inaugurazione di un concorso ippico. Giò è un bambinello esile e biondo, già palesemente effeminato, vestito con la divisa da balilla. Achille Starace solleva il nipotino e lo mette orgogliosamente tra le braccia del Duce. Colpo di scena: il piccolo balilla, travolto dall’emozione, gliela fa addosso. Nulla più di questa scenetta, apparentemente trascurabile, può introdurre meglio la figura di Giò Stajano. «…Comunque sono l’unica che può dire di aver pisciato addosso al Duce, almeno per quello che ne sa la storia ufficiale.» L’episodio è riportato dettagliatamente nel divertente romanzo-biografia di Giovanni Ciacci La Contessa. La scandalosa vita di Giò Stajano (Salani, 2018). Ma andiamo con ordine.
Gioacchino Stajano Starace Briganti di Panico nasce a Sannicola, provincia di Lecce, nel dicembre 1931. Cresce in un agiato contesto fascista, ma le rigide regole familiari non gli impediscono di sviluppare quell’innata indole frocia che, anno dopo anno, andrà a caratterizzare sempre più prepotentemente la sua personalità fieramente equivoca e destabilizzante. Frequenta i primi studi presso il Collegio dei Gesuiti di Mondragone, a Frascati, e sperimenta il sesso già nella prima adolescenza. Poco prima di terminare gli studi liceali la famiglia scopre le sue insane inclinazioni e, dietro lo sconsiderato consiglio di un medico, lo costringe a sottoporsi a una cura sperimentale a base di ormoni maschili di scimpanzé. La cura, ovviamente, non ha alcun effetto. Il nipote del virile e fascistissimo Starace viene così allontanato dalla Puglia e spedito, con assegno di mantenimento, a Firenze.
Conquistata la piena libertà Giò Stajano comincia a cercare il suo posto nel mondo. Il trasferimento a Roma, due anni dopo, segnerà l’inizio del suo percorso artistico e umano. Qui diventa presto protagonista del festoso mondo gay capitolino, conosce la pittrice Novella Parigini e tutto l’entourage di Via Margutta; tenta di affermarsi come pittore, dipingendo per lo più figure circensi, ma sarà la scrittura a garantirgli la tanto agognata notorietà. Il romanzo Roma capovolta vede la luce nel 1959 grazie anche al coraggio del piccolo editore Quattrucci; sulla fascetta della prima edizione si leggeva: “Una vicenda vissuta nell’assurdo mondo del terzo sesso”. Il termine “capovolto”, sinonimo gentile di “invertito”, divenne d’uso comune nelle cronache giornalistiche per connotare quelli lì. Se il valore letterario del libro è trascurabile, non lo è però il suo contenuto. Ricordiamo che siamo alla vigilia degli anni Sessanta, in un’Italia catto-bigotta e sessuofoba. Stajano, senza peli sulla lingua, con una franchezza divertita e compiaciuta, racconta quella Roma-erotica (borghese e papalina) che non si può raccontare, quel mondo che deve restare nell’ombra, nel chiuso delle doppie-vite e quanto più possibile ai margini della società civile. Si tratta del primo romanzo a tematica esplicitamente omosessuale pubblicato in Italia. Il testo riesce a circolare per brevissimo tempo, la censura interviene per bandirne la circolazione; autore ed editore vengono accusati di propagandare idee offensive della pubblica morale. Anche il secondo romanzo, Meglio l’uovo oggi (Quattrucci, Roma, 1959), subisce il sequestro dalle autorità. Entrambi sono tutt’oggi di difficilissima reperibilità. Per bypassare la censura ne Le signore sirene (Quattrucci, Roma, 1961) – dove si parla anche di transessualità – Stajano adotta lo stratagemma di trasformare gli omosessuali in surreali creature con le chiome verdi. Tra il ’59 e il ’61 – divenuto famoso e chiacchierato – vive anche una breve e intensa liaison con il cinema (basti menzionare la sua partecipazione ne La Dolce Vita di Fellini, dove interpreta una ridicola parodia di sé stesso).
Nel 1970 cura la rubrica “Il salotto di Oscar Wilde” sulla celebre rivista per soli uomini «Men». Nel complesso la sua attività giornalistica, seppur scanzonata, discontinua e non politicizzata, ha offerto un importante contributo alla comunità Lgbt, in tempi dove di omosessualità e transessualità si parlava col contagocce. Angelo Pezzana lo invitò a collaborare a «Il Fuori!», ma la collaborazione non si concretizzò. Abbiamo finora parlato di Giò Stajano al maschile. Nel 1983, dopo un’operazione di cambiamento di sesso a Casablanca, nasce Maria Gioacchina Stajano. Comincia qui una seconda vita per l’incorreggibile nipote di Achille Starace. Ma di vita Stajano ne ha vissuta anche una terza, quella come suora laica tra le monache di Betania del Sacro Cuore a Vische. Una vita, più volte, capovolta. Muore nel luglio 2011, all’età di settantanove anni.
Leone Maria Anselmi
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 41 | inverno 2019-’20
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