di Maria Dente Attanasio
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 41 | inverno 2019-’20
La «vita bellissima» di Marcella Di Folco, nata Marcello nella Roma del ’43, è stata talmente intensa – dura, difficile, tormentata, ma ardente e gioiosamente rivoluzionaria – che quasi appare sacrificata nello spazio ristretto di un libro. Oggi, a quasi dieci anni dalla sua morte (7 settembre 2010), la giornalista Bianca Berlinguer le dedica un delicato omaggio, una piccola biografia significativamente intitolata Storia di Marcella che fu Marcello. Legate da una profonda amicizia, le due donne si conobbero durante il Gay Pride di Venezia del 1997. «Quando decidemmo di scrivere un libro sulla sua vita, nessuna delle due poteva immaginare che sarebbe stato pubblicato postumo.» Colpita da un aggressivo tumore al colon, ricoverata negli ultimi mesi all’Hospice Bentivoglio (poco fuori Bologna), Marcella consegna all’amica Bianca le sue confessioni: il racconto sincero e dettagliato della sua vita coraggiosa, sempre in equilibrio tra dolorose rinunce e meritate conquiste.
Marcella Di Folco nasce a Roma il 7 marzo 1943. È figlia della guerra, di un padre fascista che picchia e sottomette la moglie, ma soprattutto è figlia di una società strutturalmente incapace di comprendere e accogliere la cosiddetta diversità. Marcello è un bambinello inquieto, curioso, precoce, che consuma le prime esperienze all’età di soli otto anni. Già dalla più tenera età intravede nella bella sorella Lilly la proiezione di ciò che sarebbe voluto essere. Tuttavia, una vera e propria consapevolezza maturerà solo negli anni dell’adolescenza. «…E così sono arrivati i primi confusi pensieri sul desiderio di diventare donna, pur non sapendo minimamente da dove cominciare.» Con la morte improvvisa del padre la famiglia cade in miseria e deve trasferirsi dai Parioli a Largo Preneste. Marcella (il femminile a questo punto è d’obbligo) resta orfana a soli dodici anni. Soprannominata “Canna vuota” per la sua fisicità dinoccolata e smaccatamente femminea, si getta a capofitto alla ricerca di una sua personale felicità. Studia con impegno al liceo scientifico e, al contempo, sperimenta una sessualità libera e sfrenata, accompagnandosi a coetanei e adulti.
Dall’età di sedici anni comincia a frequentare assiduamente l’ambiente gay, in particolare quello che gravitava intorno a “il Pipistrello”, locale gay molto in voga tra anni ’50 e ‘60. Erano gli anni in cui furoreggiava Giò Stajano, autore nel 1959 del libro-scandalo Roma capovolta. Travolta dalle difficoltà economiche Marcella abbandona gli studi liceali e parte per il militare, un’esperienza dura e umiliante che la segnerà profondamente. Rientrata a Roma, decisa a non soccombere, si rimbocca le maniche e affronta di petto la sua vita. All’inizio degli anni Sessanta trova lavoro come portiere presso l’Hotel Rivoli. Siamo in piena Dolce Vita, con il bel mondo che tira tardi al Café de Paris in via Veneto. Dal 1965 Marcella comincia a lavorare al Piper, il mitico locale gestito da Bornigia e Crocetta. Qui conosce Renato Zero (amico storico di Marcella), Gabriella Ferri, Michelangelo Antonioni, Patty Pravo, Mia Martini… e tantissimi professionisti dello spettacolo come i coreografi Franco Miseria e Franco Estill; negli stessi anni si avvicina anche all’ambiente del cinema frequentando il teatro Ambra Jovinelli e il cinema Volturno.
All’età di ventisette anni, nel ’70, comincia ad acquisire una maggiore consapevolezza della sua diversità. «Si cominciavano a vedere le prime trans battere per strada, e magari ti fermavi a parlare e scoprivi una realtà che neanche immaginavi. Ho capito che c’erano delle possibilità anche per me, tuttavia la percezione esatta di ciò che ero l’ho avuta solo quattro o cinque anni prima dell’operazione.» Al “Paradise”, noto locale notturno (poi rinominato “Gilda”), assiste a uno spettacolo della compagnia di travestiti del Carrousel de Paris. «Stando a stretto contatto con quelle artiste presi coscienza del fatto che esisteva una realtà transessuale fuori dal marciapiede, mi resi conto per la prima volta che c’era la possibilità di esserlo senza prostituirsi.»
L’incontro casuale con Federico Fellini, letteralmente folgorato dalla sua fisicità atipica, segna l’inizio di una brillante carriera cinematografica. Si tratterà per lo più di piccoli ruoli, a parte qualche rara eccezione, ruoli in cui Marcella però si cala anima e corpo, dando prova ogni volta di una grande versatilità. Nel 1969 debutta al Teatro Cinque di Cinecittà nel Fellini Satyricon (nel cast è presente anche l’amico Renato Zero). Fellini la chiama anche per Roma (1972), Amarcord (1973, dove interpreta il principe Umberto di Savoia) e La città delle donne (1980).Tra il ’69 e l’80 lavora in ben ventitré film, sempre accreditata al maschile come “Marcello Di Falco”. Tra i vari titoli: In nome del popolo italiano (1971), di Dino Risi; L’età di Cosimo de’ Medici (1973), di Roberto Rossellini; Finché c’è guerra c’è speranza (1974), di Alberto Sordi; Di che segno sei? (1975), di Sergio Corbucci; Todo Modo (1976), di Elio Petri; Un borghese piccolo piccolo (1977), di Mario Monicelli. «Ho girato film fino all’80 e tutto è finito quando ho cambiato sesso. La mia carriera avrebbe potuto essere brillante, (…) ma la mia priorità era e restava quella di operarmi e sapevo che, da trans, non avrei avuto più possibilità di lavorare.»
Con il cinema, trattandosi per lo più di piccole parti, i guadagni erano stati relativi. Così, per racimolare la somma necessaria all’intervento lavora per tre anni come operatrice intercontinentale presso l’Italcable. Già dal ’74 aveva cominciato a sottoporsi alle cure preliminari presso l’ospedale Fatebenefratelli. Qui, racconta Marcella, pagando un ticket di 500 lire si poteva accedere alla terapia necessaria per il cambiamento di sesso. Seguita da un endocrinologo e da una psicologa comincia l’assunzione di antiandrogeni per inibire il testosterone. Nell’agosto 1980 si opera a Casablanca e, divenuta ufficialmente Marcella Di Folco (sebbene per la carta d’identità dovrà attendere il 1984), si dedica alle prime battaglie politiche all’interno del MIT, il Movimento Italiano Transessuali. «…la vagina non dà la felicità (…) ma almeno può darti la serenità. L’operazione ti aiuta a raggiungere un certo equilibrio mentale, a risolvere un problema che ti assilla da sempre, e a eliminare un malessere interiore che puoi superare solo cambiando sesso.» L’Italia vanta oggi più di 40.000 persone transessuali, ma, sottolinea Marcella, ogni percorso di transizione è diverso dall’altro.
Nel 1986 lascia il caos di Roma e si trasferisce nella più tranquilla Bologna. Inizia qui per Marcella un periodo però molto duro. Si adopera con ogni mezzo per trovare un lavoro, uno qualsiasi, ma la sua manifesta transessualità le taglia ogni possibilità. Se è difficile oggi, immaginiamoci all’epoca. Così, per fronteggiare la grave condizione economica, decide di prostituirsi. Una scelta coraggiosa, ma al tempo stesso «una scelta obbligata». Sono anni difficili, anni in cui Marcella ingrassa considerevolmente, a causa anche di relazioni sentimentali inconcludenti e spesso umilianti. L’amore è stato forse il tasto più dolente nella «vita bellissima» di Marcella, e lo spiega lei stessa con grande lucidità: «Quando c’è di mezzo una transessuale, l’amore non è mai scontato, si è sempre costretti a patteggiare, e tutto questo svilisce il sentimento, fino a ucciderlo.» È forse per sopperire a quest’intimo fallimento che Marcella ha saputo vestire magnificamente i panni della grande seduttrice: «(…) se decidevo di prendermi un uomo non conoscevo ostacoli e non avevo rivali.» Negli anni d’oro Marcella era conosciuta anche come “Audacia” (nomignolo affibbiatole simpaticamente da Giò Stajano). «Perché ho smesso di battere? Perché non c’era più nessuno disposto a pagarmi, altrimenti sarei ancora lì a fare marchette. (…) Ma voglio dirlo con forza, Bianca, ancora oggi per le trans il marciapiede è l’unico posto dove venga riconosciuto loro il diritto di essere quello che sono e di affermare la propria identità.»
Nel 1988 Marcella diventa presidente del MIT e fonda un consultorio per l’identità di genere (poi assimilato ufficialmente dall’A.S.L. di Bologna). Il suo impegno nella politica, nonostante le difficoltà personali, è sempre stato molto intenso e appassionato. Nel 1990 viene eletta consigliera circoscrizionale del quartiere bolognese di Saragozza; nel 1995, al fianco del gruppo politico dei Verdi, viene eletta consigliera comunale di Bologna; nel 1997 assume la carica di vicepresidente dell’ONIG (Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere); nel 2000, grazie alle sue battaglie, ottiene l’istituzione della Commissione “Diritti per l’Identità di genere”; gli anni tra il 2001 e il 2006 la vedono adoperarsi in diverse candidature, l’ultima in ordine di tempo quella per il Senato della Repubblica (circoscrizione Emilia-Romagna, Verdi). Attrice, ma soprattutto attivista politica, Marcella Di Folco può vantare un grande primato: è stata la prima donna transessuale nel mondo a ricoprire una carica pubblica. Nel 2014 la sua storia è stata narrata dal regista Simone Cangelosi nel film documentario Una nobile rivoluzione (presentato al Torino Film Festival).
Nella bellissima storia di Marcella che fu Marcello c’è in fondo tutta la storia del nostro Paese dal dopoguerra a oggi: la liberazione dal fascismo, la ricostruzione, il boom economico, la Dolce Vita, il ’68, la liberazione sessuale, il femminismo, la lotta sempre aperta per i diritti civili, i rigurgiti fascisti che frenano il consolidamento di una società sana che smetta di distinguere tra figli e figliastri. Marcella è una figura centrale, protagonista, proprio perché ha rifiutato a gran voce l’emarginazione, facendone una forza, un monito, un esempio. Ha vissuto dignitosamente su di sé la necessità e l’urgenza di una trasformazione, pagandone il prezzo senza sconti. Ma soprattutto ha lottato per gli altri, per le altre. «Quando guardo al mio passato, vedo una vita movimentata, talmente piena di emozioni, di avventure e di avvenimenti che, se ci penso adesso, quasi mi sento schiacciata dal loro peso. E tuttavia mi reputo una persona fortunata perché non a tutti è stata concessa un’esistenza così piena e ricca.»
Quella che Marcella ha rilasciato alla sua amica Bianca Berlinguer non è né un’intervista né una confessione, ma la semplice e onesta condivisione di quella che è stata la sua vita. «Non rimpiango nulla, cara Bianca, la mia è stata una vita bellissima.» Nel raccontarsi, nel mettersi a nudo, Marcella fa appello a tutta la sua ironia, sdrammatizzando così anche il dolore per quella malattia che lentamente la stava consumando. Ha vissuto i suoi ultimi giorni nella struttura dell’Hospice Bentivoglio, poco fuori Bologna.
I suoi funerali sono stati celebrati il 10 settembre 2010 a Bologna nella chiesa di Sant’Antonio da Padova. In tanti hanno speso parole bellissime per omaggiarla. Particolarmente significative e toccanti furono quelle di Don Giovanni Nicolini: «La sua vita l’ha portata a condividere il dolore e l’esclusione dell’uomo. Ha sopportato tante discriminazioni. Prego perché Marcella, che ha abbattuto tanti muri, ci aiuti a fare altrettanto.»
Maria Dente Attanasio
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