GLI APPUNTI DI ARTURO | Rapporti interrotti | un romanzo di Giuseppe Bonan

di Luisella Sartori

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 41 | inverno 2019-’20

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Giuseppe Bonan (vicentino, originario di Nove) ha esordito nel 1997 con la raccolta di racconti Dal bar al binario 7 (Ed. Artistica Bassano). Il suo primo romanzo è Il diario di Zenda (Ed. Il Torchio, 2015). In Rapporti interrotti, sua seconda prova narrativa, Bonan indaga tanto la fatuità quanto la fatalità di certe relazioni sentimentali, legami e attrazioni perennemente in bilico tra l’idillio e l’effimero.

Il protagonista è Arturo, un giovane romanziere squattrinato che cerca se stesso, una sua realizzazione e un suo equilibrio attraverso il medium della scrittura. Inizialmente vive segregato in casa, lontano da ogni distrazione, a stretto contatto con la sola ispirazione. Sa che la scrittura richiede eremitaggio e sacrificio, silenzio e isolamento. L’esilio però ha durata breve. Quando un suo amico d’infanzia gli propone di partecipare a una «serata particolare» –  una festa a tema gotico organizzata in una chiesa sconsacrata – Arturo coglie la palla al balzo per evadere dalla rigida routine. Il ritorno alla realtà, dopo il lungo periodo di isolamento, si tradurrà inaspettatamente per il giovane scrittore in un’esperienza destabilizzante e tutt’altro che mondana. Avviene qui, nel bel mezzo della festa, il primo di una misteriosa serie di incontri: Lucia. Arturo se ne innamora ed è ricambiato. I due si appartano, approfondiscono la conoscenza e alla fine consumano un rapporto sessuale in auto. Fin qui nulla di strano. L’ordinario si fa straniante quando d’un tratto la ragazza si dematerializza, scomparendo letteralmente per poi riapparire in calce a un vecchio sepolcro sul retro della chiesa. Arturo realizza di aver interagito con un fantasma. È solo la prima di una serie di allucinazioni (o esperienze paranormali) che si ritroverà a vivere da quel momento in avanti.

Il romanzo prosegue inanellando reale e sovrannaturale, dimensioni al contempo distinte e comunicanti. Il protagonista entra in contatto con figure femminili evanescenti, entità che si manifestano e si sottraggono, archetipi emozionali più che amanti concrete. Per guarire dalle sue allucinazioni Arturo si rivolge a una clinica specialistica, ma alla fine finisce per convincersi che la sola guarigione possibile è «l’amore di una donna», una relazione solida, capace di durare nel tempo. Per esorcizzare i suoi fantasmi continua a scrivere. I suoi appunti finiranno nelle mani di Filippo, una sorta di alter ego del giovane scrittore allucinato.

Come Arturo, anche Filippo vive una serie di rapporti interrotti, legami sentimentali inquinati da un’incomprensione di fondo, dall’incapacità di stabilire un’autentica empatia. Filippo ama correre, macinare chilometri e sudare traguardi. Insegue la sua felicità senza mai raggiungerla. Fugge da se stesso o forse rincorre se stesso. Intreccia relazioni fallimentari, ci investe tutta la sua energia, ma alla fine ne esce spossato. Tanto Arturo quanto Filippo vagheggiano un amore sospeso tra incanto e disincanto. Sono uno il riflesso dell’altro: uno scrive, l’altro corre; uno sperimenta il delirio del paranormale, l’altro quello dell’ordinarietà, dimensioni che finiscono per coincidere dolorosamente. «Forse il mio senso di smarrimento era dovuto al fatto che per giorni non avevo fatto altro che concentrarmi sugli scritti di Arturo. Se li avesse sistemati un po’, sarebbero potuti risultare buoni per un romanzo. Ebbene, tale opera mi aveva come introdotto nei suoi pensieri, tanto che mi era parso, leggendo e immedesimandomici, di aver vissuto quanto lui stesso, all’apparenza, aveva vissuto. (…) Da Arturo, ma non solo dai suoi appunti, avevo imparato che non bastava innamorarsi per essere felici, sebbene si venisse corrisposti; che per quanto si potesse stare bene assieme non era mai detto che fosse per sempre. I miei pensieri erano la reincarnazione dei pensieri di Arturo. Le sue impressioni erano le mie impressioni. E io, di conseguenza, ero diventato parte di lui. Ero lui, ero Arturo, e stavo ancora scrivendo.»

Maschile e femminile si palesano come universi troppo distanti: i dialoghi restano in superficie, non si compenetrano. La coppia prova di volta in volta a formularsi, ma ne esce scissa, desolata. La relatività dei rapporti umani e delle relazioni interpersonali restituita da Bonan – più tra le righe che tra le maglie della narrazione – rimanda anche a certa “venetudine”, a certe chiusure proprie del territorio. Allo smarrimento delle figure maschili – sempre tese, afflitte da un senso d’incompletezza – fa emblematicamente da contraltare l’altrettanto desolata, quasi mortifera, condizione femminile.

Tra i passaggi più interessanti del romanzo c’è l’atto necrofilo di Arturo sul corpo esanime di Lucia. La pulsione insana del protagonista, fortemente simbolica, ci rimanda al mantra dell’interruzione, alla distanza, alla frigidità emozionale, al vuoto incolmabile che intercorre tra i soggetti. Nell’epilogo finale la figura dell’amata (summa di tutte le figure femminili tratteggiate nel romanzo) assume le fattezze di un’enigmatica dark banshee, un’oscura personificazione mitologica. Arturo fugge con lei attraverso una botola, «…la aprì – gli parve un dejà vu – e la portò a mitigare il suo inferno.» La caduta agli inferi si profila come sola via di fuga possibile. Rapporti interrotti sì, ma mai del tutto. La comunicazione (pur se difficoltosa e problematica) resta aperta, e il lettore è chiamato a prendervi parte.

Luisella Sartori


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