SPAESATA COME NON MAI | Alice nel Paese delle Meraviglie | Nuova traduzione di Aldo Busi

 

di Marco Cavalli

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 41 | inverno 2019-’20

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“Alice balzò in piedi, fulminata dal pensiero che non aveva mai visto prima un coniglio né con un panciotto né con un orologio da tirare fuori dal taschino di un panciotto e, morendo di curiosità, prese a inseguirlo attraverso il prato e ebbe la fortuna di fare in tempo a vederlo gettarsi sotto la siepe, in una tana grossa così”. Alice è ritornata nel Paese delle Meraviglie, mai così mostruoso (nell’etimologia di “meraviglia” spavento e incantamento fanno tutt’uno) come nella traduzione del capolavoro di Lewis Carroll (1832-1898) che Aldo Busi ha da poco licenziato per la Biblioteca Universale Rizzoli (pp. 262, euro 11). Una traduzione che rinnova i fasti di quella ormai storica pubblicata da Busi nel 1988 (e che Alice stessa avrebbe gradito, per via delle illustrazioni, nella fattispecie di Barry Moser), ristampata ininterrottamente prima di venire estromessa dall’edizione odierna, che soppianta anche la precedente apparsa nella BUR.

Attenzione, però: se le copertine delle due edizioni BUR sono pericolosamente somiglianti, diversissimo è il ritmo che sposta Alice da una pagina all’altra e imprevedibili i cambi di prospettiva dettati dal linguaggio, preoccupato anzitutto, come comanda Carroll, di appagare l’orecchio.

Nel rimettere mano al testo, Aldo Busi si è attenuto al principio che le parole dell’attualità invecchiano più alla svelta delle altre, sicché gli anacronismi in avanti di cui la sua traduzione pullula, esaurito lo sconcerto iniziale di ritrovarli dentro una favola di epoca vittoriana, diventano subito favolosi quanto un bruco celeste intento a fumare il narghilè a cavalcioni di un fungo. Perché un mostro simile dovrebbe fare più impressione di un bimbominkia? D’altra parte, un mondo popolato di Lepri Marzoline, Cappellai Matti, Regine di Cuori e Tartarughe d’Egitto, e che è tutto “una fake news illustrata”, che cos’ha di meno realistico rispetto a un paese come l’Italia, dove per dire “il meglio di” si usa disinvoltamente l’espressione “the best off”?

Libro dalle accelerazioni vertiginose e repentine, Alice nel Paese delle Meraviglie ha nel tempo il suo vero eroe – anzi, la sua eroina, dal momento che, come si premura di precisare il Cappellaio Matto, “il tempo è un Ella”. Non a caso gli ingranaggi dell’orologio del Cappellaio sono lubrificati col burro. E se in Carroll il tempo si contrae e si dilata incessantemente e in modo capriccioso, è perché le parole per acchiapparlo si rivelano sempre o una chiave troppo piccola o una serratura troppo grande. Termini come “Brexit”, provenienti da un secolo posteriore al testo, una volta calati al suo interno finiscono col guardare il lettore da dietro le sue spalle, magicamente sorpassati e improvvisamente letterari. Il Coniglio bianco che si affretta verso il Quarto Millennio sarà sempre in ritardo rispetto a parole quali “influencer”, “biopic”, “masterchef”, “Daspo“.

Sono queste le creature spaventevoli su cui Alice inciampa, deliziata e inorridita, durante il suo viaggio tumultuoso nel Paese delle Meraviglie, e da cui trae la duplice scoperta che diventare grandi non equivale a crescere, e che crescere, senza riuscire a smettere di farlo, significa precipitare a testa in su – un incubo al cui confronto la caduta a capofitto dentro la tana d’un Coniglio somiglia a un tran tran come tanti. Osservata con lo sguardo divertito e spietato di Carroll-Busi, l’infanzia è un anticipare il ritardo con cui ci accorgiamo che c’è stata, a condizione di avere “la fortuna di fare in tempo a vederla gettarsi sotto la siepe, in una tana grossa così”.

Mentre crede di bisticciare con le dimensioni dello spazio, Alice percorre a rotta di collo quelle del tempo scoprendo che la saggezza – la strada da prendere – non si trova né all’inizio né alla fine, e neanche nel mezzo. Tutto sta, come argomenta sornione il Gatto, nel sapere dove si vuole andare. La saggezza, essendo un iter fuori pista, contiene tutto e il contrario di tutto. La Duchessa, preoccupata di trovare una morale a ogni cosa, e la Regina di Cuori, preoccupata di trovare sempre nuove teste da far tagliare al boia, sono due facce di una stessa carta. In breve, ci sono inconvenienti sia ad allungarsi, sia ad accorciarsi. Ma la disgrazia peggiore sta nel restare così come si è.

 “Io … sono una bambina” dichiara Alice, con molta esitazione, nell’intervallo tra una metamorfosi e l’altra. “E io dovrei berlo?” le risponde piccato il Piccione, e con un sillogismo di quelli per cui Carroll era celebre le dimostra in quattro e quattr’otto che le bambine sono, in realtà, una sottospecie di serpenti. Niente di stravagante, dal momento che i bambini maschi abbandonati dalle madri (“devo andare a farmi bella per giocare a croquet con la Regina”), crescendo diventano dei maiali veri e propri. Perché la caratteristica davvero inquietante del mondo di Alice è di non essere mai del tutto fiabesco.

Insomma, in questa nuova e magnifica versione italiana di Alice, lo spaesamento e il divertimento vanno a braccetto, e senza bisogno di dover spiegare la loro complicità. Una fortuna per il lettore, giacché, come dice il Grifone ad Alice, “le spiegazioni portano via tanto di quel tempo”.

Marco Cavalli


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