LA CREPA TRA MONDO E PAROLA | Paul Auster | Una vita in parole. Dialogo con I. B. Siegumfeldt

di Leone Maria Anselmi

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 40 | autunno 2019

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Su invito di I. B. Siegumfeldt (fondatrice del Centro studi dell’opera di Paul Auster e professoressa presso il dipartimento di Studi anglosassoni e romanzi dell’università di Copenaghen) Paul Auster ha accettato, per la prima volta, di intavolare un lungo dialogo ragionato sulla sua vasta produzione narrativa. A oggi la bibliografia austeriana, considerando la sola prosa, consta di diciassette romanzi e ben cinque memoir. A Life in Words: Conversations with I. B. Siegumfeldt è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 2017, pochi mesi prima che Auster desse alle stampe il suo diciassettesimo romanzo: 4321.

«Forse è ora di parlare», ha detto lo scrittore americano (Newark, New Jersey, classe 1947), malcelando al contempo una certa reticenza, consapevole che – come aveva scritto in Leviatano (1992) – «Nessuno può dire cosa dia origine a un libro, tantomeno la persona che lo scrive.» L’intervista si è snodata in due anni di lunghe e strutturate conversazioni che per lo più hanno privilegiato un excursus cronologico da L’invenzione della solitudine (1982) a Notizie dall’interno (2013).

Il dialogo – pubblicato solo quest’anno da Einaudi, nella traduzione di Cristiana Mennella – si offre come uno strumento per «fare chiarezza», un manuale, una guida, una mappa per orientarsi nel caleidoscopico corpus austeriano. Utile al lettore (sempre avido di delucidanti rassicurazioni) ma, come ha dichiarato lo stesso Auster, forse utile soprattutto all’autore che, riesaminando lucidamente e spassionatamente il suo passato (gli esordi, gli inciampi, i trionfi) ha la possibilità di inquadrare con più cognizione il suo presente. Una vita in parole fa emergere innanzitutto il ritratto di un uomo che ha consacrato la sua vita alla scrittura. Auster è uno scrittore molto severo con se stesso, umile e al contempo determinato, intransigente. Un testo fondamentale per comprendere il suo rapporto viscerale col linguaggio è sicuramente l’autobiografico Sbarcare il lunario (1997), dove è descritta la dolorosa gavetta nel mondo difficile e impossibile della letteratura. È nella crepa tra mondo e parola che lo scrittore tenta di eludere gli spazi bianchi dell’inenarrabile. La sua scrittura si fa ingranaggio della «meccanica della realtà», una realtà magicamente governata dal caso, dal fato, dalle coincidenze, dal misterioso fluire delle azioni umane. Auster accetta di riesaminarsi, ma appena può si fa evasivo cercando di cavarsela con un non so, forse, può darsi…, consapevole che la letteratura offre risposte solo nella misura in cui amplifica le domande. Definisce la sua opera «un racconto continuo, ininterrotto su chi siamo», specificando subito dopo che «gli esseri umani sono imponderabili, raramente si possono catturare a parole.» L’impossibilità di cogliere appieno e oggettivamente la natura umana fa sì che la letteratura sia fallimentare per definizione. Approssimativa, perfettibile, ma mai esaustiva fino in fondo. «In un certo senso, tutta la scrittura è un fallimento.» Citando Beckett, Auster stigmatizza l’arte della scrittura (e, in generale, l’ostinazione propria dello scrittore) come arte del “fallire di nuovo, fallire meglio”.

Preparatissima sull’opera di Auster la Siegumfeldt incalza con domande dirette, stringenti, ma sempre pertinenti. Pur dichiarandosi incapace di analizzare il proprio lavoro con distanza critica, Auster ha deciso di stare al gioco e di pronunciarsi con quanta più sincerità possibile (quella stessa sincerità che è alla base di ogni sua composizione). Sono oltre quaranta i saggi in circolazione sulla sua opera, ma pochi hanno centrato compiutamente il cuore della sua poetica. Quest’occasione si è rivelata dunque propizia per sfatare certi miti e per «chiarire» laddove ce ne fosse bisogno. L’intervistatrice individua undici tematiche ricorrenti nell’opera austeriana: il linguaggio e il corpo; la parola e il mondo; spazi bianchi; ambiguità; dismissione; clausura; oggetti abbandonati; prospettiva narrativa; coppie maschili; America; esperienza ebraica. A questi temi-chiave si aggiungono anche i frequenti riferimenti al baseball, al cinema, alla città, al camminare (costanti che ritornano, indagate da diverse prospettive). La classificazione risulta per certi versi didascalica e scolastica, ma in linea con gli obiettivi della disamina.

Un’altra classificazione riguarda la netta distinzione tra opere autobiografiche e opere squisitamente narrative. Su questo punto Auster è categorico, ribadendo che nei suoi cinque testi autobiografici nulla è stato alterato o romanzato. Ci riferiamo a: L’invenzione della solitudine, Sbarcare il lunario, Esperimento di verità, Diario d’inverno e Notizie dall’interno. Tra immobilità e vagabondaggio la scrittura si fa rievocazione e sorvola un mondo popolato di soggetti e oggetti. La memoria austeriana indugia sugli “oggetti abbandonati” da chi non c’è più, cimeli che riportano in vita l’essenza di chi li ha posseduti solo per riaffermare dolorosamente la loro assenza. Già nel suo testo d’esordio – dove affiora la figura di un padre invisibile, scomparso troppo prematuramente – Auster avverte tutta l’inadeguatezza del linguaggio: «… la storia che sto tentando di scrivere è incompatibile con il linguaggio», e sa che l’unico modo di aggirare il fallimento è quello di «sforzarsi di arrivare a una sufficiente precisione.»

Auster ha avuto sempre ben chiari i limiti del linguaggio: «esprimere una cosa complessa come “chi era mio padre” è quasi impossibile», ma sa che la letteratura può slabbrare questi limiti e sfidare l’inenarrabile della realtà. «… c’è una crepa tra il mondo e la parola. La parola è approssimativa: non riesce a rendere il mondo, ma resta l’unico strumento che abbiamo (…)» Dove non può la ragione, dichiara Auster, può l’inconscio sempre sotteso all’ispirazione, quella componente estemporanea che nutre la «musica segreta» di ogni storia. Una vita in parole si offre come una guida preziosa per penetrare il corpus austeriano. Se ne consiglia la consultazione in parallelo con la lettura delle singole opere.

Leone Maria Anselmi


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