di Salvo Arena
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 40 | autunno 2019
La crisi nera dell’imprenditoria edile del Nord Est, il disincanto dopo decenni di solidità economica. Gli ingranaggi della grande macchina, non più lubrificati dalla circolazione del denaro, si inceppano. L’imprenditore si ritrova solo e privo di strumenti. Con lui cadono tutti gli altri. Tassello colpisce tassello innescando un disastroso effetto domino. «Il meccanismo della catastrofe, osservato da vicino, è di una precisione sorprendente.» (è questo il passaggio della sceneggiatura che sintetizza più efficacemente l’essenza del film).
Effetto domino, liberamente ispirato al romanzo omonimo dello scrittore padovano Romolo Bugaro (Einaudi, 2015), racconta il progetto grandioso di due imprenditori veneti che, sulle rovine delle monumentali strutture alberghiere dell’area Abano-Montegrotto Terme – un tempo veri e propri templi del turismo termale – sognano di realizzare una lussuosa new town per anziani. Residenze di prestigio dotate di spa e saune, dove la morte viene procrastinata, rinviata, negata. I due imprenditori fiutano il potenziale business della terza età e, con dichiarato cinismo, decidono di lanciarsi nell’impresa. Acquistano le strutture fatiscenti di venti alberghi in disuso, scavalcano la burocrazia dei vari permessi con un giro di bustarelle e, con l’appoggio delle banche, aprono il grande cantiere. In questa fase preliminare a prevalere sono l’audacia e l’ambizione, corroborate dal miraggio del guadagno facile. Non stanno nella pelle: finalmente si ritorna a costruire e a incassare ingenti somme di denaro. È gente che è venuta su con la fatica, gente che ha fatto la gavetta, muratori divenuti imprenditori dopo anni e anni di duro lavoro. È gente che non sa rassegnarsi a una miseria di ritorno o a un ridimensionamento di un certo tenore di vita. È gente che vede nel lavoro e nel denaro la sola aspirazione, la sola realizzazione.
L’apertura del cantiere coinvolge tutto un giro di piccole e medie aziende satelliti: chi demolisce, chi smaltisce, chi progetta, chi edifica, chi trasporta, chi produce su commissione strutture, infissi, arredi, tutto un corollario di lavoro correlato con pagamenti alla consegna. Il rischio è alto, ma la prospettiva dei grandi guadagni disorienta talvolta anche i più prudenti. Tutto sembra volgere per il meglio, la new town – il paradiso per facoltosi anziani – prende lentamente forma, ma d’un tratto accade l’irrimediabile: la banca, dopo aver elargito la lusinga di facili finanziamenti, decide di uscire dall’operazione. Tutto va in crisi. Il castello di carta, con otto cantieri aperti e altri dodici in procinto di aprire, crolla innescando l’effetto domino. Gli esattori si fanno avanti, e con loro tutte le aziende che hanno prodotto lavori su commissione. Tutti vogliono essere pagati ma i soldi non ci sono. Il danno è a macchia d’olio e penalizza tutte le parti coinvolte, dai grandi investitori alla più spicciola manovalanza. Venuto meno l’appoggio delle banche tutto collassa e le rovine tornano rovine, scheletri di cattedrali nel deserto.
Il regista padovano Alessandro Rossetto allude chiaramente al disastroso crack delle banche venete, ma, in un respiro più generale, intende riflettere anche sui mutati scenari prodotti dalla globalizzazione. Per molti versi Effetto domino si riallaccia al film precedente Piccola patria (2013). Col suo linguaggio impietoso, pulito, a tratti documentaristico, Effetto domino si offre alla stregua di un esame autoptico. Vi è descritta tutta l’impotenza sottesa al fallimento. «Con questo film – ha dichiarato il regista durante la presentazione al Festival del Cinema di Venezia – ho voluto fotografare le rovine dello schianto.» Su un altro piano di lettura il film riflette sull’urgenza del riscatto, sulla necessità di una ripartenza, sul potere dell’ambizione. Ripartire dalle rovine, spazzare via le macerie per ricostruire, intercettare i nuovi bisogni di una società radicalmente mutata nel giro di pochissimi anni. Il lussuoso paradiso per anziani – un’ibridazione tra la casa di riposo, il grand hotel e il centro benessere – non è che «un tentativo di sconfiggere la morte», di camuffarla, di renderla meno evidente.
Effetto domino, inoltre, è anche la storia di un’amicizia tradita (quella tra i due imprenditori), di un interesse personale che si rivela più forte del sentimento di lealtà. Il protagonista – l’imprenditore che si espone in prima persona con il progetto della new town – letteralmente si sfalda schiacciato sotto il peso del suo fallimento. Arriva ad inginocchiarsi per mendicare aiuto, ben consapevole che non lo otterrà mai. Venuto meno il denaro è la sua stessa identità a venir meno. Perde famiglia, equilibrio, ragione, motivazione. In una cultura fondata solo sul valore del lavoro (ovvero del denaro) non c’è sopravvivenza. Proviamo più pena che pietà per questo piccolo e cinico eroe. Tanti hanno scelto la via del suicidio, epilogo estremo dell’effetto domino. Il film non manca di riflettere anche su questo nodo, fotografando con crudo realismo «lo schianto» definitivo. Un ritratto grigio di un’economia stagnante, incapace di reggere il passo coi tempi, ma soprattutto il ritratto di una società abbruttita dal lavoro, genuflessa dinanzi all’idolo fatiscente del denaro.
Nel cast, diretto magistralmente, anche lo scrittore vicentino Vitaliano Trevisan e l’attore drammaturgo bellunese Marco Paolini.
Salvo Arena
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 40 | autunno 2019
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