I DIRITTI DEGLI ANIMALI | Qualcuno lo chiama benessere | di Marc Bekoff e Jessica Pierce

di Elena De Santis

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 40 | autunno 2019

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Quale bella vita si può fare stando imprigionati? Se manca la libertà si sta male anche nella più dorata delle prigioni. Si può avere cibo e tutto l’occorrente per restare in vita, ma sarà pur sempre una condizione ben lontana da quella che possiamo definire “benessere”.

Abbiamo cara la nostra libertà più di ogni altra cosa proprio perché sappiamo che non può esserci nessun vero benessere senza questo inalienabile diritto-valore. Eppure è proprio la libertà ciò che neghiamo sistematicamente agli animali non umani, anche quando dichiariamo nei loro confronti rispetto e amore. Questa libertà è proprio ciò che manca a tutti gli animali sui quali estendiamo il nostro controllo, la nostra “tutela”, il nostro arrogante predominio. Non solo, come sarebbe semplice immaginare, a quelli allevati negli aberranti allevamenti intensivi, destinati a nutrire il nostro ventre e in gran parte finire a pezzi dentro la pattumiera, ma anche a quelli tenuti come attrazione negli zoo, negli acquari e nei circhi delle nostre città, solo per divertirci o fare da sfondo ai nostri selfie. Non tralasciamo poi tutti quelli che continuano a essere usati come cavie dalla scienza e dall’industria farmacologica, pur sapendo oggi che gli stessi test potrebbero essere fatti sfruttando altri sistemi che non prevedano il sacrificio degli animali.

Ma in questo elenco di povere vittime immolate all’egoismo umano, non ci sfiorerebbe mai la mente di includervi anche gli animali domestici, quelli che molti considerano “membri effettivi della famiglia”, convinti come sono di starli trattando da tali. No, in verità non esiste nessuna differenza sostanziale in tutti questi casi; non se manca quel fondamentale diritto alla libertà che è proprio di ogni essere vivente. Il rapporto tra l’uomo e gli altri animali, nonostante millenni di coabitazione in questo pianeta, resta segnato da reciproche diffidenze e incomprensioni, e questo è in gran parte dovuto alla fatica che facciamo tutt’ora nel riconoscere pari dignità a questi nostri coinquilini. Per migliorare questo rapporto occorre da parte nostra uno scatto in avanti nella loro comprensione, partendo dal non considerarli più oggetti ma soggetti: esseri senzienti capaci come noi di provare emozioni basilari quali gioia, amore, depressione, paura e rabbia; esseri bisognosi di stringere relazioni e capaci di avvertire il dolore; in grado come noi di percepire cose e di avere esperienze soggettive.

È proprio nella direzione di questo pieno riconoscimento, del rispetto e della considerazione della soggettività e delle esigenze immateriali degli animali che va il libro Qualcuno lo chiama benessere di Marc Bekoff e Jessica Pierce (Trad. it. di Alice Zanzottera, Edizioni Sonda, 2019). Agli inizi degli anni Sessanta vennero fissate le cinque libertà fondamentali che ogni animale affidato all’essere umano deve possedere: Libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione, garantendogli una dieta che lo mantenga in piena salute; Libertà di avere un ambiente fisico adeguato, che includa riparo e una comoda area di riposo; Libertà dalla sofferenza fisica e dalle malattie, vigilando sulla sua salute; Libertà di manifestare le proprie caratteristiche comportamentali specie-specifiche, dotandolo di spazio sufficiente, strutture adeguate e la compagnia di altri soggetti della propria specie; Libertà dalla paura e dal disagio, assicurandogli condizioni e cura che non comportino sofferenza psicologica. Oggi, a distanza di settant’anni, siamo ancora ben lontani dal rispetto di queste cinque regole basilari, proprio perché esse sono rimesse alla capacità e alla volontà di attuazione da parte dell’uomo. Proprio in virtù di quella che resta una “libertà condizionata”, il riconoscimento di questi diritti degli animali necessita di fare affidamento su avvocati umani.

Tanto l’industria alimentare quanto le direzioni delle varie strutture dove vengono detenuti, sono molto abili a edulcorare la realtà dei fatti, mostrandoci un quadro idilliaco non sempre veritiero. Campagne pubblicitarie e depliant svolgono una funzione rassicurante e discolpante, tutta tesa a garantire il buon andamento del business sugli animali, più che il loro effettivo benessere. Per sfatare molti dei falsi miti sulla felicità animale, gli autori del libro, bilanciando sapientemente sapere scientifico e testimonianze personali, smascherano proprio quest’inganno, mostrando come ancora oggi: «Li confiniamo e li schiavizziamo, li facciamo faticare e ne sfruttiamo pelle e corpo, ne limitiamo la libertà di azione e poniamo vincoli su come e con chi hanno la facoltà di interagire. Non permettiamo che si scelgano una famiglia né gli amici, decidiamo noi per loro se, quando e con chi dovranno accoppiarsi e crescere la prole, e spesso portiamo via i loro piccoli appena nati. Ne controlliamo i movimenti, i comportamenti, le interazioni sociali, assoggettandoli alle nostre volontà o ai nostri egoistici fini economici.»

Il libro illustra e analizza punto per punto tutti gli avanzamenti compiuti dalla scienza del benessere animale, che oggi include finalmente anche la sfera psicologica; ma ne mostra al tempo stesso le contraddizioni, e soprattutto la fallacia rispetto a quello che dovrebbe essere il suo reale obiettivo, nel momento in cui guarda più agli interessi industriali che non a quelli degli animali. Molta strada resta ancora da fare perché riusciamo a compiere il passaggio dall’Antropocene al Compassiocene, l’Era della Compassione, verso un futuro in cui regni libertà e giustizia per tutti gli animali, umani e non.

Elena De Santis


Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 40 | autunno 2019

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