LA STORIA DI UN’OMBRA
Dai tuoi occhi solamente | un romanzo di Francesca Diotallevi (Neri Pozza, 2018)
di Leone Maria Anselmi
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 37 | dicembre 2018
La storia di Vivian Maier è la storia di un’ombra. Per tutta la vita lavorò come bambinaia, coltivando in segreto la sua passione per la fotografia. Come artista visse nell’invisibilità, e altrettanto fece come persona. Donna schiva, rigida, riservata, con la mania di accumulare giornali e, soprattutto, rullini. Una sfinge con la Rolleiflex al collo. Un personaggio melvilliano, un Bartebly al femminile. «Per tutta la vita – scrive Massimiliano Sardina – si limitò a scattare, a inquadrare porzioni di spazio vissuto, spesso tralasciando anche la fase della stampa (…) Metodica, abitudinaria, quasi manieristica nella sua personalissima cifra stilistica, in tutti gli anni della sua attività fotografica si mantenne ligia a una prassi consolidata; la Rolleiflex era il filtro ideale per i suoi prelievi dalla realtà, con il visore per l’inquadratura posto nella parte superiore della macchina, e con l’impugnatura all’altezza della pancia: una macchina fotografica ideale per chi, come lei, desiderava non dare nell’occhio e rimanere invisibile.» Una solitudine, quella di Vivian Maier, affollata di tanti personaggi, un esercito di sconosciuti – vagabondi, clochard, sciuscià, monelli, passanti ed erranti di New York, di Chicago e di mille altri angoli di mondo – contraltare di tutte quelle relazioni umane così ferocemente escluse dalla sua vita blindata. 150.000 fotografie. Un rullino al giorno. Come se il rullino assurgesse a pagina di un diario. E dentro ogni rullino quasi sempre un suo autoritratto, quello della sua immagine riflessa su una vetrina o quello della sua ombra. Vivian sviluppava di rado, quasi mai a dire il vero. Lasciava che quei fotogrammi rubati alla quotidianità rimanessero imprigionati, in negativo, come prodigi nel piccolo cilindro di un mago. Perché fotografava? Per chi? Chi era davvero Vivian Maier? È a queste domande che tenta di rispondere la scrittrice milanese Francesca Diotallevi nel romanzo Dai tuoi occhi solamente (Neri Pozza, 2018).
Vivian nasce a New York nel 1926. Sua madre, Marie, è francese, originaria delle alpi provenzali. Quando il padre abbandona il tetto coniugale madre e figlia condividono un piccolo appartamento con la fotografa Jeanne Bertrand. Sarà Jeanne a trasmettere alla piccola Vivian l’amore per la fotografia. Nel 1932 madre e figlia si trasferiscono nel paesino francese di Saint-Bonnet-en-Champsaur. Faranno ritorno a New York solo nel 1938. Nel 1950, all’età di ventiquattro anni, Vivian riceve una piccola eredità da una prozia, denaro che le consente di viaggiare (Cuba, California, Canada) e di realizzare le prime fotografie. È in questo periodo che inizia a lavorare come bambinaia. Nel 1952 Vivian acquista una Rolleiflex biottica e comincia a cimentarsi nella street-photography; a catturare il suo interesse sono quelle scene casuali di cui è costellata la quotidianità, istanti fugaci di vita metropolitana, piccoli gesti, l’inavvicinabile e transitorio mondo degli altri. Spesso Vivian ritrae anche i bambini delle famiglie dove presta servizio. Nel 1956 comincia a lavorare per la famiglia Gensburg di Chicago (un sodalizio che si protrarrà per circa un ventennio). All’inizio degli anni Ottanta Vivian, senza che se ne conosca la ragione, smette di fotografare e deposita tutto il suo materiale in un magazzino. Morirà nell’aprile del 2009, sola, sulla panchina di un parco. Negli ultimi anni fu aiutata economicamente dai Gensburg. Vivian Maier deve il suo successo postumo a John Maloof, un giovane intraprendente che, per puro caso, si è imbattuto nel suo immenso archivio fotografico.
Oggi Vivian Maier è un’artista apprezzata a livello internazionale. Molto è stato ricostruito della sua biografia, ma su molto altro regna un’ombra fitta. Cosa ha spinto la fotografa-bambinaia a vivere fuori dall’inquadratura? Boccone ghiotto per un romanziere. Vivian Maier è un perfetto personaggio da romanzo (nella sua accezione più alta). Muovendosi tra biografia e interpretazione personale Diotallevi ne scatta un ritratto autentico e aderente, un bianco e nero dai contrasti attenuati, tra il tutto campo e il primissimo piano. Il romanzo si concentra in particolare sul biennio 1954-’55, periodo newyorkese poco documentato della Maier, quello che precede il trasferimento a Chicago a servizio dai Gensburg. «Le famiglie la incuriosivano, con la loro patina dorata che, se grattata, rivelava la ruggine. Ma si guardava bene dal lasciare che la toccassero. Entrava nelle loro vite, diventava spettatrice silenziosa di tutti i piccoli drammi che si consumano dietro una porta chiusa, ma di quei drammi non si sentiva mai partecipe, si limitava a indagarli attraverso una superficie di vetro. Le persone stavano in posa davanti alla vita come davanti a un obiettivo; era quando pensavano di non essere guardate, tuttavia, che rivelavano il loro lato più autentico, l’unico lato su cui valesse la pena soffermarsi.» È osservando le fotografie, cercando di decriptarne il messaggio riposto, che Diotallevi costruisce il romanzo. “Si sa che non esisto: esistono solo i mille specchi che mi riflettono.” Questa citazione di Nabokov, posta in apertura, delinea già efficacemente la sagoma al contempo imponente e labile di Vivian. La finzione narrativa si fa indagine autoptica. Diotallevi penetra nell’ombra per scrivere con la luce (il parallelo tra scrittura e fotografia attraversa tutto il romanzo). Ad emergere, come dalla superficie translucida di un negativo, è il ritratto di «una donna che fece della solitudine uno scudo contro il mondo, ma che quel mondo sorvegliò attentamente, attraverso la lente di un mirino.» Dai tuoi occhi solamente è molto più di una biografia non autorizzata. È letteratura. Apre una breccia in un’esistenza blindata e lascia entrare la luce.
Leone Maria Anselmi
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