LA LIBERTÀ NON HA ORARI? | Quando la festa diventa un privilegio per pochi

LA LIBERTÀ NON HA ORARI?

Quando la festa diventa un privilegio per pochi

di Sandro Bianchi

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 36 | settembre 2018

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A distanza di sei anni dall’entrata in vigore del decreto “Salva Italia” voluto da Monti, si torna a parlare di regolamentazione dei giorni e orari di apertura dei negozi. Attualmente, grazie alla deregulation, chiunque può decidere di stare aperto tutti i giorni h24. Il Governo ha annunciato di voler intervenire con regole più restrittive, imponendo, entro la fine dell’anno, la chiusura delle attività commerciali quantomeno nelle domeniche e nei giorni festivi. La notizia fa naturalmente esultare tutti quei lavoratori del settore che, grazie al famigerato decreto Monti, si sono ritrovati dall’oggi al domani in una organizzazione del lavoro senza soluzione di continuità, con turni che non tengono più alcun conto di quei giorni tradizionalmente dedicati al riposo. Il calendario dei lavoratori del commercio, in pratica, non contempla più alcuna domenica o festa, anzi, paradossalmente, sono proprio questi i giorni in cui si lavora di più, senza, tra l’altro, essere adeguatamente retribuiti.

Al di là di quale sarà l’esito di questo annunciato provvedimento (e della capacità di riuscire a restare fedele ai suoi dichiarati propositi) quel che risulta interessante nell’intera vicenda è il dibattito attualmente in corso nell’opinione pubblica. Assistiamo, ancora una volta, alla consueta contrapposizione tra chi vorrebbe far valere i propri diritti e chi da quei diritti si sente, a torto o a ragione, minacciato e danneggiato. I lavoratori del commercio sono soli in questa battaglia, esattamente come lo sono gli omosessuali o tutte quelle altre componenti sociali di volta in volta fatte vittima di una qualche discriminazione o sperequazione. In una società che ragiona per compartimenti stagni, dove mancano la coesione, l’empatia e la solidarietà verso chi sta al di là della propria staccionata, qualunque battaglia mossa dalla rivendicazione di un diritto è destinata ad essere condotta in solitudine, dovendosi quasi sempre scontrare con l’indifferenza di chi non se ne sente coinvolto. Ciò che rende forti certi poteri è la logica del dividi et impera, e solo quando si comprenderà che la tutela dei nostri diritti passa attraverso la difesa di quelli altrui, saremo veramente in grado di progredire come nazione.

Quale sapore può avere il sorriso stampato d’obbligo sul volto di un commesso, la domenica, il giorno di Natale o di Pasqua? Quale valore etico o morale può avere essere accolti da quel sorriso che dissimula solo una nuova forma di caporalato e schiavitù? Non devi necessariamente essere un credente o avere famiglia per nutrire il desiderio di essere libero in quei giorni in cui la stragrande maggioranza delle persone non lavora. Non puoi pretendere che altri vi rinuncino mentre tu ne stai godendo. Quei rossi sul calendario non rappresentano solo delle mere ricorrenze religiose (che in una società laica e interculturale perdono senso ed efficacia), ma costituiscono una scansione ideale tra i tempi del lavoro e quelli del riposo. Quei rossi ci offrono soprattutto degli spazi di libertà da poter condividere con gli altri, amici o familiari; spazi in cui poter  godere dei frutti del proprio lavoro e coltivare altri interessi; spazi in cui poter visitare luoghi, nutrirsi di bellezza attraverso una mostra, un bel centro storico o uno splendido paesaggio.

La libertà, per essere fruttuosa, ha i suoi tempi e i suoi orari. Altrimenti aboliamo tutti i rossi del calendario per tutti, e dopo ne valuteremo gli esiti di civiltà. La tristezza di una società fondata sul consumismo compulsivo sta nell’averci trasformati tutti in un gregge radunato dentro gli ovili commerciali. La miseria culturale italiana ha per simboli un pallone e un carrello: si esulta solo per un gol, ci si straccia le vesti alla notizia di un centro commerciale chiuso di domenica. Il paradosso politico italiano vede chi dovrebbe stare al fianco dei lavoratori, come certa pseudo-sinistra, schierarsi dalla parte dei padroni dichiarandosi contro le chiusure domenicali. Chi minaccia la perdita di posti di lavoro lo fa in malafede, sapendo di mentire. Si licenzia per contratti deboli di tutele, non per un giorno di chiusura. Uno Stato che, con la deregolamentazione, non ha saputo vigilare sugli abusi di chi se n’è servito a tutto danno dei lavoratori, ha oggi il diritto e il dovere di intervenire. Perché uno Stato deve avere innanzitutto come obiettivo il benessere dei propri cittadini, deve saper fornire delle linee guida e strumenti normativi che garantiscano equità e giustizia per tutti.

Sandro Bianchi

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