LA TRILOGIA STÜRMER | Educare all’odio | L’antisemitismo nazista in tre libri per ragazzi

LA TRILOGIA STÜRMER

Tre manuali illustrati per piccoli antisemiti

Educare all’odio | L’antisemitismo nazista in tre libri per ragazzi

un volume a cura di Ivano Palmieri (Cierre Edizioni, 2018)

di Massimiliano Sardina

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 36 | settembre 2018

SFOGLIA LA RIVISTA

Tutti i regimi dittatoriali, come la Storia tristemente ci insegna, si sono consolidati operando più prepotentemente sull’individuo che sulle grandi masse popolari. Educare (o rieducare) il singolo per governare più agevolmente il collettivo. Le subdole dinamiche di persuasione finalizzate a garantirsi l’asservimento – messe in atto (con misure e fini diversi) dal nazionalsocialismo, dal fascismo e dai regimi comunisti – hanno generato una compiaciuta sudditanza incapace di discernere tra l’amor di patria e il timor di patria (e, su un piano più generale, il bene dal male). Ingredienti semplici ma salienti: culto meta-religioso del leader carismatico, fiero senso d’appartenenza alla propria comunità (o razza), obbedienza acritica, cieco odio verso il nemico designato. Le strategie del plagio, dalle più rozze alle più sottili, figlie della più feroce pedagogia, hanno agito sul corpo e sulla mente di un individuo vieppiù spersonalizzato, spogliato delle sue facoltà reattive, svuotato e infarcito dai dettami della nuova ideologia, incline a riconoscersi solo come parte di un insieme. È la genuflessione del pensiero individuale a oliare la macchina dittatoriale. E va da sé che più imberbe è l’individuo, più tenera è la sua età, e meno resistenza opporrà ai corrosivi strumenti del potere. La dittatura – madre ripugnante che con un seno allatta e con l’altro avvelena – ha sempre avuto un occhio di riguardo per i bambini, quintessenza della malleabilità, futuri uomini nuovi, soldati e martiri difensori della patria. Se l’adulto va rieducato (in quanto detentore di una personalità già compiuta, nutrita da esperienze pregresse), il bambino va semplicemente educato. I regimi totalitari si guardarono bene dal delegare l’educazione dei più piccoli ai rispettivi nuclei famigliari, e vi si sovrapposero attraverso un’articolata ed efficientissima rete organizzativa; le nuove generazioni, spesso anche dall’età prescolare, vennero letteralmente fagocitate dai numerosi organi dell’associazionismo giovanile per essere adeguatamente formate. Basti pensare al Komsomol in Unione Sovietica, all’Opera Nazionale Balilla in Italia (rinominata poi Gioventù Italiana del Littorio) e alla Hitlerjugend in Germania.

Il caso tedesco è certamente quello più emblematico. Qui il dispiego di mezzi e misure per plasmare e costruire l’uomo nuovo partendo dal bambino non ha avuto eguali nel corso della Storia. Nel 1933, all’indomani della presa del potere da parte di Hitler, venne subito instaurato un efficientissimo apparato educativo-propagandistico destinato a inculcare nella spensierata e ignara gioventù il nuovo vangelo nazionalsocialista. Al piano di ridefinizione della scuola dell’obbligo si affiancarono, con grande dispendio di mezzi, altre specifiche organizzazioni educative: i Pimpfe per i bambini delle elementari; lo Jungvolk (“Gioventù del popolo”) e le Jungmädel (“Ragazze del popolo”) per i ragazzini delle medie; a seguire, compiuti i quattordici anni, la Hitlerjugend (“Gioventù hitleriana”) e il Bund der Deutschen Mädel (“Lega delle ragazze tedesche”). La ripugnante weltanschauung nazista impregnò di sé scuola e associazioni parascolastiche mirando non a un semplice “progetto educativo” ma a un vero e proprio piano di rinnovamento antropologico. Surrogato dell’educazione familiare, queste istituzioni fecero particolarmente leva sul sentimento del cameratismo fomentando l’orgoglio d’essere membri della grande famiglia-Germania. L’indottrinamento agì sulla psiche per il tramite del corpo, forgiato da duri allenamenti ginnici atti a esaltarne il vigore e la bellezza squisitamente ariani; per il giovane tedesco il corpo divenne teatro di contatto diretto con la vita, un corpo libero e combattente, pronto a godere ma anche a immolarsi per la causa comune. Tra le materie scolastiche, riscritte alla luce dei nuovi dettami dell’ideologia nazionalsocialista, l’educazione fisica occupava infatti un posto di grande rilievo divenendo disciplina fondamentale del piano educativo. Riformulata tanto nei contenuti impartiti quanto nei metodi d’insegnamento la nuova scuola aveva come unica preoccupazione quella di allevare un esercito quanto più consenziente alle deliranti politiche espansionistiche dello Stato, un esercito di soldati desideroso di riscatto e di trionfo, specie dopo l’umiliazione ricevuta con la pace di Versailles.

Risale al maggio 1934 la fondazione del Reichserziehungsministerium (Il Ministero per l’Educazione nazionale), che non tardò ad emanare rigide richtslinien (linee-guida educative) rivolte ad editori, autori e insegnanti. Scopo primario di questa nuova scuola – dalla Grundschule (scuola di base) alla Volksschule e Mittelschule (scuola media), fino ai diversi indirizzi superiori – è quello di inculcare nella gioventù lo spirito d’appartenenza alla comunità tedesca, la venerazione del Pater-Führer e, non ultimo, il disprezzo verso il nemico per antonomasia, grande contaminatore della purezza ariana e veicolo di tutti i mali: l’ebreo! Dove non arrivavano scuola e associazioni sopperiva la reiterata propaganda che, con toni prima subliminali poi sempre più espliciti (attraverso radio, riviste, manifesti, cinema, comizi ecc.), veicolava l’immagine di una Germania oppressa e minacciata da oscure politiche internazionali e, soprattutto, impossibilitata a risorgere in tutto il suo splendore a causa della cosiddetta Judenfrage (l’annosa “questione ebraica”).

Veicolo dell’antisemitismo più efferato e militante fu la rivista nazista «Stürmer», fondata e diretta da Julius Streicher, a capo anche della casa editrice «Der Stürmer» (“Il combattente”). La stigmatizzazione di un nemico comune – creato ad arte, suggellato da fittizi riferimenti storici e da costrutti pseudo-scientifici – agiva da collante tra i tedeschi corroborandone l’unione, stabilendo un confine netto tra i due schieramenti: noi (i giusti) e loro (gli sbagliati). L’antisemitismo, com’è noto, non è stata un’invenzione del nazionalsocialismo ma affonda le sue radici ben più indietro nei secoli, in conflitti ora religiosi ora economici e sociali. Il nazista, cosa assai più riprovevole, ha aggredito invece l’ebreo sul terreno della razza, ammantando l’odio di giustificazioni pseudo-scientifiche, auspicando infine non in un suo semplice allontanamento ma nella sua totale eliminazione. Non s’è fatto scrupolo, tra i carnefici, di assoldare anche intere schiere di fanciulli, plagiandoli e inquinando irrimediabilmente la loro innocenza. Un testo che conobbe larga diffusione lungo tutto il corso degli anni Trenta fu Caratteristiche razziali della gente ebrea (1930), di Hans F. K. Günther, un saggio raccapricciante che pretendeva di leggere scientificamente gli odiosi stereotipi contro gli ebrei. Pubblicazioni analoghe, sguattere del nuovo fondamento ideologico, infestarono come gramigne i verdi prati della nobile tradizione editoriale tedesca. Gli zelanti operatori culturali del Terzo Reich lavorarono alacremente per riscrivere la Storia in delirante chiave germanocentrica, stigmatizzandovi l’ebreo quale icona del nemico giurato nel corso dei secoli, origine e causa di tutti i mali; stessa sorte subirono le scienze mediche, infettate dal mantra della Rassenkunde (la “dottrina della razza”).

Potente strumento di aggressiva propaganda antisemita, la nutrita editoria nazista si costituì come una branca a sé informando uno spettro disciplinare ampio e variegato, rivolto a tutti i target di lettori. La prassi denigratoria si tradusse gradualmente in un dichiarato incitamento all’odio. Difficile, soprattutto per un soggetto giovane, non venirne investito. L’educazione impartita sotto il Terzo Reich a bambini, adolescenti e ragazzi fu invasiva e pervasiva: le spugne finirono per assorbire tutto quel fiele così meticolosamente iniettato. La scuola dell’odio con le sue lezioni di “igiene razziale” formò una generazione di perfetti antisemiti. La barbarie editoriale fornì i supporti didattici per l’aberrante apprendimento. Per i testi scolastici e i sillabari dei più piccoli le linee-guida non dettarono precisi contenuti, purché questi non fossero incompatibili con il diktat ideologico di Stato (in questo caso autori ed editori godettero di più libertà). Dal primo anno delle scuole medie le linee-guida impongono invece vere e proprie lezioni di educazione razziale. Molti manuali, sussidiari, libri di scuola o di svago divengono meri materiali didattici per formare i giovanissimi al nuovo vangelo nazionalsocialista. Alcuni testi si limitano ad affermazioni sporadiche, altri scendono a un linguaggio più brutale. La narrazione antisemita si fa fiaba, racconto, lezione di storia e di bio-scienza. I contenuti antisemiti si fanno più concisi e marcati sui testi destinati a un’utenza che va dai dieci ai diciotto anni. Specifici per bambine sono i Mädchenbücher, dove le piccole lettrici (future spose e madri) vengono messe in guardia dalle losche lusinghe dell’ebreo.

Un capitolo a parte è quello costituito dai cosiddetti Kinderbücher (libri illustrati per bambini e ragazzini), testi non strettamente scolastici, perlopiù destinati alle letture del tempo libero. Pubblicati da editori privati, non hanno contenuti antisemiti ma trattano di tematiche belliche o di ambientazioni magiche e fantastiche. Il Kinderbücher della Bauer (primo libro della trilogia dell’odio, rivolto a fanciulli di tenerissima età) costituisce, come vedremo più avanti, una singolare e inquietante eccezione. In tanta editoria destinata ai giovanissimi, tra testi di studio o di evasione, l’ebreo è chiaramente rappresentato come figuro sinistro ed eterno eroe negativo. In qualsiasi contesto lo si trovi calato – storico, narrativo, scientifico, religioso, allegorico – è sempre chiamato a recitare la parte del cattivo. L’assassino di Cristo, l’usurpatore, l’usuraio, il complottista, l’adescatore, il bugiardo, l’errante, l’untore, il traditore, la serpe in seno della Germania: l’ebreo incarna il male. La narrazione antisemita non tarda a consolidare archetipi anche sul piano iconografico. L’ebreo non è solo infinitamente cattivo ma anche indicibilmente brutto. Ecco dunque far capolino l’incarnato brunastro, il naso adunco, le labbra turgide e prominenti, le grandi orecchie, gli ispidi capelli neri, la barba incolta, le sopracciglia folte e arruffate, lo sguardo torvo e obliquo, il corpo sgraziato, deforme e maleodorante, il pancione sporgente, l’andatura sconnessa, il gesticolare laido e infingardo. Con abbondanza di esempi, espressi con linguaggio chiaro ed efficace, il giovane lettore viene addestrato a riconoscere l’ebreo – nemico giurato della Germania e, per riflesso, dell’umanità intera – e a tenersene alla larga. Raramente i die Begleiter der Kindheit (“gli accompagnatori dell’infanzia”) si sono fatti portavoce di espliciti messaggi antisemiti. L’orco-ebreo, come abbiamo già sottolineato, compare più frequentemente nei libri destinati a lettori della fascia d’età 10-18 anni. Tre libri illustrati, editi tra il 1936 e il 1940 dalla casa editrice «Der Stürmer» di Julius Streicher, costituiscono però una rara quanto inquietante eccezione. Parliamo di: Non fidarti di una volpe in una verde radura. Non fidarti nemmeno di un ebreo quando giura, scritto e illustrato dalla diciottenne Elvira Bauer; Il fungo velenoso e Il Pudelmopsdackelpinscher (e altri racconti utili a meditare), entrambi a firma di Ernst Hiemer. Una coraggiosa e lodevole iniziativa quella di offrire in traduzione italiana (con apparato iconografico originale) questa abietta trilogia dell’odio, tratta dalla collezione di libri illustrati di Arnaldo Loner. Educare all’odio. L’antisemitismo nazista in tre libri per ragazzi (Cierre Edizioni, 2018) comprende testi di Ivano Palmieri (curatore del volume) e Arnaldo Loner, con prefazione di Gustavo Corni.

Rivolti a Gross und Klein, ossia ad adulti e bambini, come recita la didascalia, questi tre libri ripugnanti si spingono ben oltre i bianchi steccati dell’infanzia. Al lettore d’oggi, alla luce di quanto orrore sappiamo essersi perpetrato nei campi di sterminio, leggerli risulta quanto mai difficile e problematico. Leggerli è tuttavia necessario e doveroso. Aiuta a capire fin dove si siano spinte le nefande pedagogie didattiche dei nazisti. Le storielle narrate nella trilogia dell’odio utilizzano espedienti narrativi oscillanti tra la fiaba, il racconto e l’allegoria. Il linguaggio è confidenziale, elementare e crudo. Poco o nulla è lasciato all’immaginazione. Tutto vi è pronunciato chiaramente, senza giri di parole. La metafora, laddove compare, è opportunamente spiegata. E laddove si fermano le parole ecco parlare le immagini. Il piccolo lettore è guidato per mano e posto dinnanzi al soggetto da odiare: l’ebreo! Un soggetto al contempo astratto e concreto, invisibile e riconoscibile, dalla notte dei tempi dove uccise Cristo al tempo presente dove minaccia di uccidere la Germania. «Il padre degli ebrei è il diavolo» recita l’incipit de Non fidarti di una volpe…, e prosegue «Quando il Signore Iddio creò il mondo creò insieme anche le razze: Indiani, Negri, Cinesi, e anche gli Ebrei, gli esseri cattivi.»

La Bauer si prodiga subito a snocciolare la questione cruciale della razza, connotando subito quella ebrea come intrinsecamente malvagia dalle origini e per volontà divina. «…E c’eravamo pure noi, noi Tedeschi, noi, in mezzo a tanta varietà.» Ed ecco il noi contrapposto al loro. «…A tutti Egli diede un pezzo di terra per lavorarlo col sudore della fronte. Ma l’Ebreo no, non volle partecipare, e dal diavolo si lasciò subito cavalcare. Il suo intento fu l’inganno, non il lavoro; e dal diavolo suo padre e suo maestro apprese a pieni voti la menzogna, presto e bene, e di menzogne infarcì il Talmud.» L’ebreo è dipinto come fannullone scansafatiche, un parassita che vive del lavoro altrui. «…Sin dal principio l’Ebreo è un assassino, l’ha detto Gesù Cristo. E quando Nostro Signore dovette morire Dio non trovò nessun altro popolo disposto a tormentarlo fino alla morte; e allora scelse gli Ebrei. Ecco perché da allora gli Ebrei si illudono di essere il popolo eletto! E quando al Signore il peso della croce divenne insopportabile, cercò un istante di riposo alla porta di un Ebreo. E quello venne imprecando e scacciò il Signore dalla sua casa. Era l’Ebreo Ahasver; e da allora l’Ebreo è maledetto. Da duemila anni deve spostarsi senza pace di terra in terra e non conosce patria l’Ebreo straniero. Anima malvagia.» Ecco stigmatizzata l’immagine sfuggente dell’ebreo errante, nomade e invasore, che «s’aggira furtivo come una volpe» mimetizzandosi tra i non ebrei. Il manuale d’incitamento all’odio dell’ebreo prosegue alzando il tiro di pagina in pagina. Le illustrazioni mostrano la figura caricaturale e sgraziata dell’ebreo contrapposta a quella atletica e sana del biondo tedesco. «L’Ebreo resta Ebreo» mette in guardia la Bauer con tono didattico da brava maestrina, e non potrà mai assimilarsi al tedesco, neanche se cambia nome, neanche se finge di convertirsi al cristianesimo. «Non ti fidare di una volpe nella radura, non ti fidare nemmeno di un Ebreo quando giura!» La filastrocca è posta più volte a chiusura dei brevi racconti che illustrano le diverse imposture dell’ebreo ai danni del buon tedesco: l’ebreo usuraio manda in rovina il contadino, l’ebreo commerciante truffa la cliente, l’ebreo arricchito si compiace di far sgobbare il Goi (ovvero il non-ebreo), l’ebreo avido e insensibile nega l’elemosina al bisognoso, l’ebreo macellaio rifila carne guasta spacciandola per merce di prima qualità, l’ebreo avvocato spilla denaro ai suoi assistiti, l’ebreo insidia la fanciulla tedesca, e via così. Non mancano le lodi allo «Stürmer», l’invito a boicottare i negozi ebrei e le esclamazioni di gioia per l’allontanamento degli ebrei dalle scuole tedesche «…Ora nella scuola diventerà tutto bello, perché gli Ebrei, grandi e piccoli, se ne devono andare. Via la genia ebraica!» Chiudono la rivoltante pubblicazione – che ricordiamo essere rivolta a bambini di tenerissima età – le seguenti affermazioni: «Gli Ebrei sono la nostra disgrazia!» e «Senza soluzione della questione ebraica, nessuna salvezza per l’umanità.»

Ne Il fungo velenoso di Ernst Hiemer, con illustrazioni di Philipp Rupprecht, il target di riferimento sono i ragazzini delle scuole medie (età cruciale di transito dall’infanzia all’adolescenza). La copertina, di forte impatto visivo, riassume esaustivamente il messaggio demonizzante veicolato dal testo. Vi campeggia l’ibrido antropomorfo dell’ebreo-fungo, con la larga cappella bluastra e butterata che getta ombra sugli inconfondibili tratti caricaturali giudaici e, qualora il messaggio non risultasse sufficientemente chiaro, fa bella mostra di sé anche la stella di David incisa sul gambo; i mezzitoni delle cromie ciano sottolineano la natura non mangereccia del fungo, creatura velenosa che non appartiene né al regno vegetale né a quello animale. Altri funghetti della medesima specie fanno capolino sullo sfondo, segno che gli ebrei sono tanti, genia infestante che avvelena i verdi prati della Germania. Strutturato in capitoletti, Il fungo velenoso si offre come un comodo e agevole vademecum antisemita. Il corredo iconografico – meno dettagliato e complesso di quello improntato da Elvira Bauer, in cui forti sono i richiami alla scuola ottocentesca dei pregevoli Kinderbücher tedeschi – snocciola vignette di estrema chiarezza comunicativa, in uno stile grafico sintetico che ammicca sia all’illustrazione tradizionale sia ai topos della caricatura politica. Le didascalie che accompagnano le immagini riassumono, con l’aspra chiarezza di rapidi promemoria, i concetti-chiave veicolati dal testo. Hiemer struttura Il fungo velenoso su un postulato tanto banale quanto efficace: «Come spesso è difficile distinguere i funghi velenosi da quelli buoni, così spesso è difficile riconoscere gli Ebrei come truffatori e delinquenti.» Altre didascalie si limitano a semplici espressioni spregiative come: «Guarda questi soggetti! La barba infestata da pidocchi! Le orecchie sudice e prominenti!» o riportano estratti travisati del Talmud per dipingere l’ebreo come nemico giurato e pericoloso cospiratore: «Nel Talmud sta scritto: solo l’Ebreo è uomo. I popoli non ebrei non possono essere chiamati uomini, vanno denominati come animali.» In chiusura dei capitoletti Hiemer inserisce delle strofette-filastrocche giocate sulla falsariga dei proverbi popolari: «Attraverso il volto di un Ebreo ci parla il Diavolo ripugnante. Ci libereremo mai degli Ebrei per essere lieti e felici? Per questo al nostro fianco deve combattere la gioventù, per liberarci dal diavolo ebreo.» (…) «Vennero, in passato, dall’Est, sporchi, pidocchiosi e senza un soldo; ma nel giro di pochi anni hanno avuto successo nella vita. Oggi vestono bene, non vogliono più essere Ebrei; allora apri gli occhi e prendi nota: Ebreo una volta, Ebreo per sempre!» (…) «Furto, assassinio e menzogna. Sfruttamento, spergiuro e inganno: tutto è permesso agli Ebrei.» (…) «Un diavolo si aggira per la nostra terra, è l’Ebreo, lo conosciamo tutti. Assassino di popoli, inquinatore di razze, ovunque terrore dei bambini. Vorrebbe rovinare i nostri giovani, vorrebbe far scomparire il nostro popolo; non aver niente a che fare col sudicio Ebreo, e avrai vita lunga e felice.» (…) «Una pace duratura regnerà tra noi soltanto quando tra di noi non ci sarà più nemmeno un Ebreo.» Il titolo dell’ultimo capitoletto, qualora sussistessero ancora dei dubbi nel giovane lettore, ribadisce che: «Se non si risolve la questione ebraica, non ci può essere salvezza per l’umanità.»

La disgustosa trilogia Stürmer – una delle operazioni editoriali più pericolose che siano mai state concepite – non ripugna soltanto per i suoi contenuti (già di per sé indigeribili) ma anche per il suo stomachevole taglio lessicale, cadenzato tra il didattico e il confidenziale, astutamente calibrato sul giovane target di riferimento. Il terzo libro, rispetto ai primi due, alza decisamente il tiro. È il più spietato dei tre, quello che, travalicando l’astratto incitamento all’odio, delinea a chiare lettere la necessità di uno sterminio. Sempre a firma di Ernst Hiemer, il Pudelmopsdackelpinscher (traducibile grossomodo in barboncino-carlino-bassotto-pinscher), si rivolge ai giovani della scuola superiore. Le illustrazioni realizzate da Willi Hofmann (non di particolare pregio) rivestono un ruolo meramente accessorio. Suddiviso in undici apologhi, consultabili alla stregua di un manuale, il testo stabilisce analogie tra l’ebreo e gli animali. Il bestiario scomodato pesca nell’immaginario popolare più becero, affinché l’ebreo risulti privato della sua stessa natura umana e ridotto alla più bassa dimensione animale. Secoli di caotico meticciato fanno dell’ebreo una creatura subumana di razza bastarda, contaminatrice della purezza del sangue germanico, una sottospecie inferiore che nulla ha da spartire né con la Germania né con l’umanità intera. Lungi dall’esaurirsi nell’espediente narrativo dell’equiparazione metaforica, il binomio ebreo-animale sconfina in un’aderenza tout court. Il giovane lettore, aspirante antisemita, può così apprendere che l’ebreo è: trasformista come un camaleonte, indolente come un fuco, profittatore come un cuculo, feroce come una iena, distruttore come una locusta, menzognero e insidiatore come un serpente, deleterio come un batterio, viscido come un verme, assetato di sangue come una cimice, sfrontato come un passero, bastardo e impuro come un barboncino-carlino-bassotto-pinscher. Difficile non ravvisare in queste aberranti similitudini echi del nazi-darwinismo imperante che assegna al più forte il “diritto naturale” di trionfare sul più debole. «…Individui misti di molte razze, cioè meticci, ce ne sono tra gli animali e anche tra gli uomini. Anche gli Ebrei sono meticci. Hanno tratti della razza bianca, di quella gialla e di quella nera. I capelli crespi e le labbra prominenti ricordano i negri. Tipici tratti di riconoscimento degli Ebrei sono anche le gambe storte e i piedi piatti. Molti Ebrei hanno il naso incurvato fin dall’apice e le orecchie fatte a forma di manico. Anche il loro cattivo odore li denuncia come stranieri. Molti hanno poi fronte bassa e sfuggente, e la struttura cranica simile a quella del gorilla. Proprio come il Pudelmopsdackelpinscher è un meticcio fra i cani, l’Ebreo è un meticcio fra gli uomini. Ed è straniero. Non ha patria. Da migliaia di anni il suo popolo si aggira senza riposo per tutto il mondo. È un popolo su cui pesa la maledizione di Dio. Per questo deve vagare di landa in landa senza trovare un luogo da farne la propria dimora. E arreca lacerazioni e conflitti: chi ospita gli Ebrei, si prende il diavolo in casa.»

Nel Pudelmopsdackelpinscher  il concetto di “Ausrottung” (l’eliminazione fisica del nemico) è invocato chiaramente come unica soluzione possibile per chiudere i conti con la Judenfrage. La volontà sterminatrice si maschera goffamente tentando di spacciarsi come una strategia di difesa: le temibili specie animali (letali e parassitarie) che minacciano la sopravvivenza umana vanno cancellate dalla faccia della Terra. È utile ricordare che pochi mesi prima della pubblicazione del Pudelmopsdackelpinscher le forze naziste avevano invaso la Polonia; di lì in avanti l’offensiva tedesca si sarebbe voluta abbattere su tutti i territori abitati da ebrei, affinché non ne rimanesse in vita neanche uno. «…Finché la peste ebraica infetta il mondo, gli sforzi dei giovani saranno vani. Sin dall’inizio, l’Ebreo è stata l’incarnazione della sporcizia e della bruttura, della depravazione e del degrado. La nazione giudaica si è posta l’obiettivo di vanificare gli sforzi dei giovani non-Ebrei rivolti a bellezza, nobiltà e valori elevati. Di sommergere l’umanità nella palude. E finché l’Ebreo nemico mortale è all’opera, il mondo non può darsi quiete. Ecco perché chiamiamo a raccolta la gioventù di tutto il mondo! La invitiamo ad una battaglia per la libertà dell’umanità. La scomparsa dell’Ebreo parassita di popoli libererà il mondo dalle forme umane di fuchi, locuste, cimici, iene, serpenti velenosi, bacilli e del Pudelmopsdackelpinscher

Sia nel testo della Bauer che in quelli di Hiemer l’ebreo è connotato innanzitutto come il grande intruso, lo straniero, l’invasore, la mela guasta nella cesta. Questa condizione incontrovertibile lo rende sotto ogni aspetto un inassimilabile, e quindi ogni forma di integrazione equivale a una contaminazione. Altra raccomandazione ricorrente è che non esiste l’ebreo buono. Più infimo è infatti quell’ebreo che riesce a dissimulare la sua natura nefanda sotto la maschera della persona per bene. L’ebreo innocuo è indicato come il più pericoloso perché cova e cospira nell’ombra. Sola brama dell’ebreo è l’avidità di denaro. Ecco cosa raccomanda (ne Il fungo velenoso) una brava madre tedesca alla sua figlioletta: «…Figlia mia, l’Ebreo non è umano come noi. Il suo dio è il denaro. E per accumulare denaro, è pronto a qualsiasi crimine. Non si dà pace, finché non si trova seduto su un bel sacco di denaro (…) E con questo denaro ci renderà tutti schiavi, o ci distruggerà; con questo denaro, si impadronirà del mondo.» In tutte e tre le narrazioni non ci si riferisce all’ebreo come a un soggetto individuale dotato di una sua specificità ma come a una massa indistinta – gli ebrei – una genia, una malarazza. L’ebreo non agisce da solo ma in combutta con altri della sua medesima risma. Attraverso la negazione dell’individualità (e quindi di un pensiero divergente) è declassato nel subumano. Altra espressione ricorrente è “peste ebraica”, assai efficace sia per spersonalizzare il nemico sia per sottolineare il suo agire criptico. La demonizzazione vira a più riprese anche sul canzonatorio (di forte presa sui giovanissimi), tratteggiando l’ebreo come una sorta di buffa e risibile caricatura di se stesso. È davvero arduo, lo ribadiamo, accettare che esseri umani abbiano potuto ordire una siffatta didattica dell’odio ai danni di altri esseri umani. Già dopo gli incipit la tentazione di non leggere oltre è forte, ma è necessario vincerla per cercare di comprendere (se comprendere è mai possibile). Le pagine di questi tre sporchi manualetti hanno istruito a dovere schiere di nazistelli, con lo spregevole intento di educarli alla banalità del male. Stampati in centinaia di migliaia di copie e diffusi in tutta la Germania hanno contribuito non poco a instillare l’odio antisemita nella forma mentis dei giovanissimi. Per la trilogia dell’odio – unitamente a molti altri testi di catechismo antisemita pubblicati dalla Stürmer Verlag – l’editore Julius Streicher si guadagnò la condanna a morte al processo di Norimberga.

La pressione psicologica che il nazismo ha esercitato sulla sua gente per guadagnarne il consenso e l’obbedienza fu straordinariamente potente. Il solo merito che va riconosciuto a questa mostruosa organizzazione criminale è quello di essere stata una macchina dittatoriale perfetta, capace di soggiogare più attraverso la fascinazione che con mezzi coercitivi. La nazificazione dell’educazione infantile, adolescenziale e giovanile ha giocato un ruolo fondamentale, svezzando un esercito di piccoli feroci antisemiti, a loro volta vittime innocenti cresciute in seno a una famiglia degenere. «…l’ideologia nazista, – scrive Ivano Palmieri – per quanto falsa nei suoi postulati, discutibile e facilmente oppugnabile nei suoi procedimenti argomentativi, innervata da componenti pulsionali (tra cui l’odio razziale) e abominevole nei suoi esiti pratici, non veniva affatto concepita da coloro che la elaborarono, né percepita da coloro che vi aderirono, come espressione di nichilismo distruttivo, ma piuttosto come un sistema di valori vitali e positivi, e adeguati ai grandi problemi del momento.» La fascinazione agì come una benda sugli occhi, oscurando i più elementari sentimenti umani. All’ariano militante – tonico, biondo e atavicamente germanico – ben si confaceva inoltre una visione neodarwinista della natura, intesa come sopravvivenza del più forte a scapito del più debole. E va da sé che il più debole altri non poteva essere che l’ebreo, la razza bastarda che per legge di natura era destinata a soccombere.

Massimiliano Sardina

  • Elvira Bauer, Non fidarti di una volpe in una verde radura. Non fidarti nemmeno di un ebreo quando giura (Trau keinem Fuchs auf grüner Heid und keinem Jud bei seinem Eid. Ein Bilderbuch für Groß und Klein, Stürmer Verlag, Norimberga, 1936.
  • Ernst Hiemer, Il fungo velenoso. Un libro Stürmer per giovani e adulti (Der Giftpilz. Ein Stürmerbuch für Jung u. Alt), Stürmer Verlag, Norimberga, 1938.
  • Ernst Hiemer, Il Pudelmopsdackelpinscher. E altri racconti utili a meditare (Der Pudelmopsdackelpinscher und andere besinnliche Erzählungen), Stürmer Verlag, Norimberga, 1940.

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