di Simone Daddario
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 36 | settembre 2018
Rettore è stata troppo spesso liquidata come effimera “icona degli anni Ottanta”. Tanto giornalismo copia-incolla ha preferito indugiare sull’abbagliante luccichio della patina piuttosto che improntare un’indagine in profondità, veicolando così dell’artista un ritratto spesso fuorviato e banalizzato. Non allineata allo stereotipo del cantautore impegnato, Rettore ha faticato non poco a conquistarsi quella credibilità autorale che le spettava di diritto (sorte analoga subita per anni dal collega Renato Zero, reo d’aver trasgredito con il fondotinta la regola aurea della barba incolta). «Donatella Rettore è una cantautrice italiana, autrice dei testi delle canzoni che interpreta»: con questo incipit deciso ed efficace Emiliano Longo, già autore di due saggi su Fabio Concato e Roberto Vecchioni, mette subito in chiaro i termini della questione. Il suo proposito, ben esplicitato nelle pagine del corposo saggio Rettore specialmente (Arcana, 2018), è quello di liberare definitivamente la leonessa di Castelfranco dalle gabbie del pregiudizio, illuminandola sotto la giusta luce e rendendole finalmente giustizia; ne è sortita un’operazione critico-testuale accorata e puntuale che, attraverso lo smascheramento, si fa rivelazione.
Il lettore, guidato da un racconto al contempo biografico e analitico, è invitato a compiere un’incursione sulle righe (e tra le righe) della sfaccettata e raffinata poetica rettoriana, scoprendola densa di simboli e di archetipi ricorrenti, tutt’altro che easy, nutrita da un’ispirazione sempre autentica. «Nelle analisi di questo sostanzioso volume – scrive Enzo Gentile nella prefazione – si scoprono tinte e sfumature che ai più distratti consumatori di Splendido splendente, di Donatella o di Lamette saranno sicuramente sfuggite: una trattazione riservata di solito ai cantautori più ponderosi e che dunque stimolano a un ascolto accurato, per leggere in controluce la geografia di Rettore, dalle pagine più oscure fino al manifesto di Kobra.» Il messaggio di fondo è dunque: dimenticatevi tutte le false idee che vi eravate fatti su Donatella Rettore. Ad emergere è il profilo di una vera artista che, disco dopo disco, ha saputo farsi interprete delle contraddizioni del suo tempo. Longo snoda la narrazione su un ordinato asse cronologico, muovendosi tra biografia e discografia, ma privilegiando sempre i testi delle canzoni per sviscerare tutta la verità. Si parte dall’album del debutto Ogni giorno si cantano canzoni d’amore, realizzato nel 1975 per la piccola etichetta Edibi (molto quotato tra i collezionisti, quest’anno ristampato in vinile silver-grey), per giungere all’ultimo lavoro in studio Caduta massi (2011). In questo disco d’esordio sono già presenti «alcune delle tematiche che diverranno caratteristiche della poetica di Donatella Rettore, quali l’ansia da abbandono e il desiderio di indipendenza, la morte contrapposta alla vita, la volontà di imporre la propria arte contro i pregiudizi e le logiche del mercato, la voglia di dedicarsi completamente al partner maschile e l’esigenza di dominarlo, la necessità di trattare argomenti seri e, nel contempo, di dissacrarli mediante l’uso dell’ironia.»
Sospeso tra autobiografia e finzione artistica questo primo lavoro riflette le ambizioni e i sogni di una ragazza cresciuta nella provincia e oppressa da rigori e bigottismi. L’apertura è affidata al delicato brano Maria Sole, dove una giovanissima Donatella calata nei panni di un’orfanella canta di abbandono e di insofferenza verso la reclusione. Prega il Signore affinché la conduca lontano …da un refettorio bianco / da questi piatti di ferro, tabernacoli di stagno. Tanto nel primo quanto nel secondo album in studio (l’omonimo Donatella Rettore del 1977), emerge una figura di donna dicotomica, da un lato tradizionale, materna e sottomessa, dall’altro strega (ossia padrona di sé, dominatrice e trasgressiva); modelli femminili che incamerano le istanze della rivoluzione femminista e, più in generale, le inquiete dinamiche di riformulazione del ruolo della donna nella nuova società. In brani come Il patriarca, Caro Preside e Gabriele la cantautrice punta il dito contro modelli maschili autoritari e vetusti, intrinsecamente fragili, rivendicando il bisogno di uomini veri e amanti solari. Con È morto un artista, tragica disamina sulla fragilità dell’arte data in pasto alla crudeltà del mondo, Rettore (non ancora affermata e conosciuta dal grande pubblico) ci consegna un piccolo capolavoro: È morto un artista / e invece di piangere fanno festa / Quando muore un artista, lui si porta con sé i pensieri del mondo…Il successo travolgente arriva nel 1979 con il passaggio alla nuova etichetta discografica Ariston. Con la trilogia di album Brivido divino, Magnifico delirio e Estasi clamorosa sorge il fenomeno Miss Rettore. Sono gli anni delle hit Splendido splendente, Kobra e Donatella, brani arguti e irriverenti, nati dal connubio col musicista e compagno di una vita Claudio Rego. Nel 1982 è la volta di Lamette, tratta dal concept-album Kamikaze rock’n’roll suicide, incentrato sul binomio suicidio-rigenerazione. Attraverso il filtro di un’ironia colta e intelligente Rettore veicola riflessioni di ampio respiro, ma sono i brani meno noti quelli in cui più prepotentemente emerge lo spessore cantautorale (Estasi, Giulietta, Oblio, Il mimo, Salvami e, nella produzione successiva, Il ponte dei sospiri, Il porco romantico, Giù dal nero ciel, Se morirò, per non citarne che alcuni). Attraverso questo viaggio nei testi e nelle canzoni dell’ultima strega della musica italiana, Emiliano Longo invita il lettore a scoprire e ad apprezzare il valore letterario della scrittura rettoriana, tutt’altro che «un vagito nella neve, una storia così breve».
Simone Daddario
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