PERFETTO IDILLIO MASCHILE
La statua di sale | un romanzo di Gore Vidal (Fazi Editore, 2018)
di Pietro Valgoi
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 36 | settembre 2018
È difficile dire cosa sia essere felici. Assenza di dolore?
Dopo l’apprezzato romanzo di guerra Williwaw (1946) e il meno fortunato In a Yellow Wood (1947), il ventiduenne Gore Vidal pubblica con gli editori newyorkesi E.P. Dutton lo scandaloso e coraggioso The City and the Pillar (1948), noto anche con il titolo La statua di sale. Asse centrale del romanzo è l’amore incondizionato di Jim Willard per il suo migliore amico Bob Ford, un amore all’inizio corrisposto (e consumato) ma in seguito risolutamente rinnegato. Una storia d’amore dichiaratamente omosessuale, sospesa tra idillio romantico e passione distruttiva, tesa a scardinare tutti gli stereotipi (sociali, ma soprattutto letterari) sul tema della cosiddetta inversione. Motivo di scandalo generale non fu tanto la tematica omosessuale in sé, presente e latente in tanta letteratura coeva, ma il taglio squisitamente maschile, militare, con il quale Vidal ha scelto di stigmatizzarla. Jim e Bob, i due protagonisti, non sono assimilabili a nessuno degli archetipi omosessuali cristallizzati nell’immaginario collettivo di quegli anni: incarnano una mascolinità sobria e quasi involontaria, refrattaria a ogni vezzo edonistico femminile; non hanno velleità artistiche, né sono inquinati da conflitti religiosi o disagi sociali; atletici, asciutti, sono agiti unicamente da una giovinezza prorompente e dal desiderio incontenibile di una non precisata libertà.
Vidal consegna loro l’aspetto semplice e anonimo dei compagni con i quali aveva trascorso tre anni nell’esercito: due ragazzi americani normali. «Fino a quel momento, i romanzi americani sulle “inversioni sessuali” avevano trattato di travestiti o di ragazzi solitari e cerebrali che avevano contratto matrimoni infelici e si struggevano per i marine. Io ruppi quello schema.» L’effetto fu straniante anche per molti scrittori omosessuali, che a fatica riuscirono a orientarsi intorno a quei nuovi modelli. Poco più che ventenne Vidal seppe improntare una panoramica sfaccettata e analitica della scena gaia del suo tempo, smascherando vite parallele di «strane creature donnesche» tra fumosi gay-club e patinate feste hollywoodiane. «Un libro – nota bene Mario Fortunato – importante per la storia del costume, oltre che della letteratura.» Al cospetto di Jim e Bob ogni altro diverso sa di grottesco e di caricaturale. Vidal sa infondere in queste due figure il vantaggio della normalità. L’amore li coglie di sorpresa, in riva al fiume. «Nudo, Jim raggiunse Bob sul ciglio dell’acqua. La brezza calda sulla pelle nuda lo fece sentire immediatamente libero e stranamente potente, come un sognatore consapevole di sognare.(…) Quando i volti si toccarono, Bob sospirò rabbrividendo e strinse forte Jim tra le sue braccia. Ora erano completi, l’uno divenne l’altro, quando i loro corpi si unirono con una violenza primordiale, simile con simile, metallo con magnete, la metà con l’altra metà e il tutto ricomposto. Così si incontrarono. Occhi serrati contro un mondo irrilevante.» Saggiato quel «perfetto idillio maschile» Jim Willard consacra tutto il suo amore a Bob Ford, ai suoi capelli rosso scuri, ai suoi occhi blu come il Mare Artico. Di lì in avanti vivrà nella proiezione di una vita insieme a lui.
Sullo sfondo una Virginia che stava stretta a entrambi. Il primo a partire è Bob che, raggiunta New York, decide di imbarcarsi con la American Export Line. Jim lo seguirà un anno dopo, una volta conseguito il diploma. Tutta la sua vita sarà un peregrinare alla ricerca di Bob, un Bob introvabile, irraggiungibile, sospeso nel bel mezzo di un sogno d’amore. La ricerca, per terra e per mare, si protrae per sette lunghi anni. «Dopo aver scoperto che c’erano davvero molti uomini che amavano gli uomini, Jim passò attraverso varie fasi. La sua prima reazione fu di disgusto e di allarme. Esaminava tutti con attenzione. Era uno di loro? Dopo qualche tempo riusciva a identificare quelli palesi dal loro modo di fare teso, affettato, in particolare quando si muovevano, con il collo e le spalle rigide.» Lui e Bob erano diversi, diversi dai diversi. Il suo cerchio si sarebbe chiuso con Bob. La relazione con l’attore Ronald Shaw o quella con lo scrittore Paul Sullivan erano state solo «pause temporanee in un lungo viaggio il cui termine era Bob.» Il cerchio si chiuderà ma non nel modo sperato da Jim. Senza inciampare nel melodrammatico Vidal impronta un finale violento, eroico-erotico, purificatorio, per dimostrare «la fallacità del romanticismo» e punisce Jim Willard «perché aveva guardato troppo al passato».
Con La statua di sale (ritenuto erroneamente da molti una sorta di confessione autobiografica) Vidal firmò indirettamente il suo coming out, inimicandosi quasi in toto la stampa americana. Il «New York Times» rifiutò di recensirlo e la rivista «Life» (che solo l’anno prima aveva pubblicato una sua fotografia in uniforme) lo tacciò di aver veicolato un’immagine negativa dell’America. Alla figura rassicurante e quasi patriottica del giovane romanziere di guerra ora si era sovrapposta quella di un militante invertito. Il nonno aveva sognato per lui una brillante carriera politica nel New Mexico e godeva degli agganci giusti per favorirne l’ascesa, ma il 10 gennaio 1948 (data di pubblicazione del romanzo) questo sogno si infranse definitivamente. «Sfortunatamente, la natura mi aveva fatto scrittore.» In poco tempo La statua di sale conquistò ottime vendite, non solo negli Stati Uniti ma anche in Australia e in Europa. Nonostante il successo ottenuto Vidal venne ignorato dalle maggiori testate americane per i successivi sei anni (la cultura puritana impiegò tanto per smaltire lo shock). Critiche positive ed entusiastiche arrivarono, tra gli altri, da Thomas Mann, Christopher Isherwood e André Gide.
Pietro Valgoi
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 36 | settembre 2018
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