di Marco Castelli
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 36 | settembre 2018
Charles Darwin e Karl Marx. Cosa avevano in comune, oltre alle fluenti e rispettabili barbe, questi due giganti del XIX secolo? Quel che è certo è che non si conobbero mai personalmente, sebbene negli ultimi anni vivessero a soli venti chilometri di distanza l’uno dall’altro, Marx in un appartamento di Maitland Park Road (Londra) e Darwin nel suo celebre giardino-laboratorio di Downe. Il solo contatto tracciato tra i due risale al 1873, anno in cui Marx invia a Darwin una copia con dedica de Il Capitale. Prontamente Darwin risponde con una lettera di ringraziamento. Ancora oggi il libro fa bella mostra di sé nello studio-museo del grande naturalista ma, fa notare Ilona Jerger, solo le prime 104 pagine sono state tagliate, segno dell’interesse relativo che Darwin nutriva verso le idee comuniste. Marx, al contrario, lesse L’origine delle specie con estrema attenzione, cogliendone subito la portata rivoluzionaria. Le bibbie laiche di questi due illustri pensatori uscirono a soli otto anni di distanza l’una dall’altra: L’origine delle specie nel 1859 e Il Capitale nel 1867.
Evoluzione e rivoluzione: smantellamento della favola edenica e smantellamento dell’oppressione capitalistica. Esiste un solido collegamento tra queste due opere fondamentali che hanno mutato profondamente il nostro approccio al mondo e all’uomo? Se il filosofo difensore della classe operaia e il naturalista fondatore della teoria evolutiva si fossero intrattenuti in una disquisizione cosa si sarebbero detti? Avrebbero trovato delle affinità o avrebbero finito per litigare? È su questo interessante interrogativo, denso di implicazioni sul piano sociale e religioso, che la scrittrice tedesca Ilona Jerger (giornalista e saggista d’ambito scientifico-naturalistico) ha stilato il suo primo romanzo E Marx tacque nel giardino di Darwin (Neri Pozza, 2018).
Mediando tra verità storica e finzione letteraria Ilona Jerger fa incontrare a Downe, nel corso di una cena, i due eroi del pensiero, costruendo i dialoghi (e i silenzi) sulla scorta della corrispondenza privata, scritti, appunti e testimonianze incrociate di varia natura documentale. Solo di Darwin sono note circa quindicimila lettere. Quanto a Marx, tutti i suoi manoscritti (comprese le opere pubblicate postume) ci sono pervenuti grazie all’amico e stretto collaboratore Friedrich Engels. Attingendo da questa gran mole autografa Ilona Jerger fa parlare (e tacere) i due grandi interlocutori. «Man mano che approfondivo le ricerche, – scrive Ilona Jerger – cresceva in me la sorpresa di vedere quante analogie avessero in comune due figure tanto diverse.» Innanzitutto il rapporto problematico con le rispettive religioni d’appartenenza. Marx nasce in una famiglia di rabbini a Treviri, mentre Darwin studia teologia a Cambridge: per entrambi si sarebbero potute schiudere due carriere in seno alla fede in un Creatore. È ben noto quanto le rispettive strade si siano biforcate dalle tradizioni familiari. Condivisero la medesima salute cagionevole, scandita dall’insonnia, dalla nausea, dall’affanno, dall’emicrania, dalla dermatite e dall’ipocondria (negli ultimi anni furono entrambi curati con l’oppio). Subirono inoltre gravi lutti per la morte prematura di diversi figli. Soprattutto, sottolinea la Jerger, firmarono testi cruciali «che non avrebbero mai più abbandonato l’umanità». Nel romanzo la figura-ponte che mette in relazione i due mostri sacri del pensiero è quella, assolutamente fittizia, del dottor Beckett, un medico fieramente ateo che li ha entrambi in cura. Beckett nota una copia de Il Capitale nella biblioteca di Darwin a Downe e una copia (piena di foglietti e appunti) de L’origine delle specie a casa di Marx; basta questo ad accendergli la scintilla: i due devono assolutamente incontrarsi e confrontarsi.
Nel corso delle sue visite Beckett, tra una pillola e l’altra, vira la conversazione per favorire l’agognato incontro-collisione. Senza mezzi termini dice al suo paziente Darwin: «Io prevedo che nel prossimo secolo lei sarà salutato come l’eroe che ha liberato la scienza dalle grinfie della Chiesa.» Ma Darwin, agnostico e naturalista puro, non ci sta ad entrare nei libri di storia come militante deicida; è tormentato, tra l’altro, da sua moglie Emma che, molto religiosa, spera in una sua tardiva conversione per poterlo riabbracciare in paradiso. Beckett butta l’amo e Darwin, tra un colpo di tosse e l’altro, risponde: «…Effettivamente la prospettiva di essere stati creati direttamente dalla mano di Dio è più lusinghiera che pensare di aver percorso una lunga strada tortuosa e casuale, partendo dagli esseri unicellulari e passando per le rape (…) L’uomo trova offensivo sapere di essere soltanto il risultato di banali coincidenze (…) Cattolici, musulmani, anglicani, protestanti, ebrei, nessuno vuole che la meravigliosa favola della creazione sia smascherata come tale (…) Non dà alcuna soddisfazione sapere che il caso è la maggiore forza alla base dell’evoluzione. Sebbene non ne dubiti neppure per un istante, questa mancanza di scopo non piace neanche a me. La nostra vita assume così il retrogusto della consapevolezza che nessuno ci ha voluto (…) È un senso della vita che soltanto pochi sanno apprezzare.»
Nel romanzo, le visite del dottor Beckett agli illustri pazienti si snodano tra il 1881 e il 1883 (Darwin muore nel 1882 e Marx l’anno successivo). Interrogato da Beckett sull’impatto sociale della teoria evolutiva l’esule a Londra Marx si esprime così: «…Darwin ha spazzato via con inaudita efficacia le chiacchiere sull’aldilà e ha assestato un bel colpo ai pretucoli (…) Ha creato il fondamento scientifico per il materialismo e quindi per il comunismo (…) Ha dimostrato l’evoluzione storica della natura e ha fatto piazza pulita del cristianesimo e dell’ebraismo insieme a tutte quelle baggianate sull’aldilà!» Quello che Marx non accetta invece di Darwin sono «i goffi metodi inglesi» e il suo voler vedere la dura concorrenza capitalistica anche nelle dinamiche del mondo naturale. «Darwin ha trasferito su piante e animali la lotta per la sopravvivenza che ha osservato nel sistema capitalistico. No, non è un caso che riconosca nella natura la sua società classista inglese (…) Qualsiasi politica comunista è priva di senso, se una legge naturale rende legittima la competizione mortale. Possibile che nessuno si accorga che la questione gira su se stessa?»
Il botta e risposta tra i due pazienti – prima dell’invito a cena che li metterà faccia a faccia, evoluzione contro rivoluzione – avviene sempre per il tramite del medico mezzano. Per Darwin natura e comunismo sono inconciliabili. «…Sono un naturalista e nutro la ferma convinzione che la scienza vada coltivata al di fuori delle dispute sociali. Non deve lasciarsi comprare, né dalla chiesa, ma neppure dalla politica. L’indipendenza delle scienze è forse il traguardo più importante che abbiamo raggiunto dal Medioevo (…) Per me non ci sono dubbi che la competizione metta in risalto i migliori, i più forti, i più sani e i più furbi, e in tal modo favorisca il progresso (…) Per questo temo le società che fanno della cooperazione il loro principio fondante.» Per Darwin l’eliminazione della competizione si tradurrebbe in un grave freno evolutivo; trova inaccettabile che la selezione naturale venga sviata da un eccesso di benessere (aiutare le classi svantaggiate sì, ma senza viziarle troppo). Le posizioni antisindacaliste e antisocialiste di Darwin sono bene espresse – come annota la Jergen in margine al testo – in una lettera del 1872 indirizzata al professore di diritto Heinrich Fick; qui il naturalista elogia le dinamiche concorrenziali che alimentano l’assetto sociale e rigetta l’assunto comunista che tutti gli uomini debbano ricevere il medesimo compenso salariale a parità di ore lavorative. È un ponte sospeso, pericolante, quello che lega L’origine delle specie a Il Capitale ma, come suggerisce Ilona Jerger in questo coraggioso romanzo, percorribile. Asserire che la scienza naturale darwiniana ha ucciso Dio e che la scienza sociale di Marx ha ucciso il capitalismo è assolutamente semplicistico. La querelle tra scienza, religioni e politiche sociali resta aperta. Forse la risposta più sensata la fornisce l’agnostico Darwin nel corso della fantomatica cena: «…Rilevo negli atei gli stessi metodi degli ecclesiastici: semplificano la discussione, lasciano da parte gli argomenti spiacevoli, affermano cose che nessuno può sapere e vogliono convertire gli altri con uno zelo missionario. Che ne direbbe invece di un po’ di umiltà?»
Marco Castelli
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 36 | settembre 2018
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