PROFONDO ARGENTO | Horror. Storie di sangue, spiriti e segreti | Racconti di Dario Argento

di Salvo Arena

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 35 | Giugno 2018.

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Dario Argento, genio indiscusso del cinema oscuro, depone momentaneamente la telecamera per impugnare la penna e affidare così al potere delle parole il compito di evocare immagini. Horror. Storie di sangue, spiriti e segreti (Mondadori, 2018) si offre come una trasposizione in chiave letteraria del repertorio cinematografico argentiano (un’operazione riuscita solo in parte, ma in più punti apprezzabile).

Dario Argento non è uno scrittore ma ha dalla sua una grande capacità comunicativa e, soprattutto, è maestro nell’arte della suggestione misterica. Scritto con la collaborazione di Pamela Ferlin Horror si compone di sei racconti molto diversi tra loro per tematiche e ambientazioni storiche, storie surreali e visionarie che – scrive Argento in apertura del testo – «scaturiscono dalla mia parte oscura, dai miei sogni proibiti, dalle fantasie più morbose e profonde del mio animo.» Stregoneria, horror e thriller: tutto è giocato in queste tre suggestioni. Protagonista indiscussa è la zona d’ombra, la parte oscura che alberga, sopita, nella realtà quotidiana. Argento scosta il velo della dimensione altra e fa sì che il lettore intraveda. Straniamento, sospensione, paura: l’emozione fa tutt’uno con la tensione, la suspense, il brivido. Chi conosce il cinema di Dario Argento ritroverà in questi racconti molti elementi tipicamente argentiani (in più punti il regista romano non rinuncia al gusto dell’autocitazione). Il racconto d’apertura, ad esempio, è ambientato agli Uffizi di Firenze, già location del film La sindrome di Stendhal; come nel film anche nel racconto le opere esposte si animano interagendo col visitatore e catapultandolo in una dimensione parallela. Altro luogo archetipo del cinema argentiano è la Biblioteca Angelica di Roma (location di una celebre scena del film Inferno), rivisitato nel racconto Rosso porpora alla Biblioteca Angelica. Luoghi, scenari, atmosfere, situazioni, piccoli dettagli: la scrittura preleva spunti dal grande serbatoio visivo cinematografico e li rielabora in nuovi contesti narrativi. Il corvo che campeggia in copertina è un chiaro rimando al film Opera.

Nel racconto Villa Palagonia la celebre Villa dei Mostri di Bagheria prende vita come una sorta di inquietante superorganismo fagocitando l’ignaro visitatore. «…Le pareti sono mostri che masticano e rigurgitano. L’odore è fetido, sempre più intenso. Calpesto qualcosa di umido e molle per terra. Una specie di plasma, una bava densa e grumosa scorre lungo i lati, si spande sul pavimento. (…) Il corridoio si restringe, i muri si avvicinano, mi sfiorano, cercano di fagocitarmi. Sento addosso il fiato mefitico di quelle orribili bocche. Lo stridore dei denti che digrignano è sempre più vicino e acuto. Con tutta l’energia rimasta respingo quei muri viventi, come per aprirmi un varco. Ma sono più forti di me.» Uno dei racconti più riusciti e coinvolgenti è Le segrete di Merano dove il protagonista, un ragazzino di dodici anni, si ritrova a scontare due settimane di vacanza forzata in Alto Adige a casa della sua ex balia, Inge, una donna rigida, austera e silenziosa. Dietro la parvenza di signora integerrima Inge cela un insospettabile lato oscuro, e il giovane ospite lo scoprirà a caro prezzo. Nelle storie argentiane, spesso, quel che in apparenza si presenta come normale e aderente alla realtà prevedibile finisce per rivelarsi tutt’altro. Il regista messicano Guillermo Del Toro ha definito Dario Argento «il Colosseo delle storie horror, un monumento, una pietra miliare» e ha aggiunto «La sua capacità di fondere integrità artistica con un irriducibile senso del terrore reggerà la prova del tempo.»

In Alchimie macabre al castello di Gilles Argento tesse un’interessante narrazione intorno alla controversa figura del barone Gilles de Montmorency-Laval (1405-1440), il crudele assassino seriale francese meglio conosciuto come Gilles de Rais. Capitano dell’esercito francese e compagno d’armi di Giovanna d’Arco questo losco personaggio è passato alla storia per il suo insaziabile e cieco sadismo; dedito all’occultismo e a svariate pratiche alchemiche si rese responsabile di feroci stupri e torture mortali ai danni di bambini e adolescenti (le cronache parlano di circa 140 omicidi). Venne processato e punito con l’impiccagione. Argento ne traccia un ritratto efficace costruendo il racconto attraverso gli occhi delle giovani vittime. Forte della sua lunga esperienza di sceneggiatore Argento dà il meglio di sé nella descrizione dei luoghi, sempre curata e dettagliata; nel racconto su Gilles de Rais le prigioni del castello sono tratteggiate con una solida sintesi narrativa: «Jeanette, piena di timore e turbamento, avanzò lungo il sotterraneo. Nessuna finestra lo illuminava, solo la luce oscillante delle torce, che proiettava ombre sinistre sul pavimento e lungo le mura ammuffite e sgretolate. Quelle ombre erano mostruosamente vive, grondavano orrore e minacciavano i piccoli atterriti, che sentivano il peso e il puzzo di quelle presenze incorporee ma diabolicamente vere. (…) L’odore era insopportabile: oltre al tanfo della muffa, l’aria era ammorbata da avanzi di cibo in decomposizione e dalle deiezioni dei piccoli, che solo saltuariamente venivano rimosse dal pavimento.» In queste storie di sangue, spiriti e segreti (sceneggiature di potenziali nuove pellicole cinematografiche) Dario Argento si riconferma maestro del brivido, grande indagatore del profondo nero che alberga nell’animo umano.

Salvo Arena


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