IL POEMA EPICO DEI GENI
Breve storia di chiunque sia mai vissuto | Il racconto dei nostri geni
Un saggio di Adam Rutherford (Bollati Boringhieri, 2017)
di Cecily P. Flinn
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 34 – Marzo 2018
La vita ha attecchito sulla Terra la bellezza di 3,9 miliardi di anni fa. La nostra specie ha iniziato il suo cammino in Africa da appena 200.000 anni. Se consideriamo che le prime forme di scrittura risalgono a seimila anni fa possiamo farci un’idea di quanto relativamente recente sia questa nostra umanità. Di strada, comunque, ne abbiamo fatta. Le acquisizioni più recenti in ambito scientifico hanno diradato le nebbie che avvolgevano le nostre origini, ma siamo ancora lontani da una visione nitida ed esaustiva. Oggi disponiamo di una lente formidabile per indagare la nostra storia profonda: il DNA. Per risalire ai nostri più antichi progenitori non dobbiamo più affidarci alla sola comparazione morfologica di ossa e denti, ma possiamo analizzare le cosiddette impronte genetiche. Dal 1953 – anno in cui Watson e Crick svelarono al mondo la misteriosa struttura a doppia elica – gli studi genetici sono proseguiti senza sosta producendo una gran quantità di dati. Nel 2001 siamo pervenuti alla mappatura del primo genoma umano completo. Oggi i genomi umani sequenziati ammontano a oltre 150.000. Siamo in grado di estrarre il DNA anche dai resti dei Neanderthal, dei Denisoviani e di altri parenti ormai estinti della nostra bizzarra famiglia allargata. Disporre di questi sequenziamenti non significa però molto in termini di comprensione.
«Quando abbiamo iniziato a leggere il genoma – scrive il genetista e divulgatore scientifico Adam Rutherford in Breve storia di chiunque sia mai vissuto (Bollati Boringhieri, 2017) – quello che vi andavamo cercando erano delle narrazioni che rimettessero ordine nei misteri della storia, della cultura e dell’identità individuale; che ci dicessero con esattezza chi siamo e perché.» Purtroppo il genoma è criptato in un alfabeto complesso e va molto al di là della nostra capacità di comprendere. Stiamo tentando di decodificarlo operando tutta una serie di comparazioni ma non siamo ancora in grado di leggerlo. La genetica è una disciplina giovane e sperimentale che ha letteralmente rivoluzionato lo studio dell’evoluzione umana. Le analisi paleogenetiche ci raccontano di ibridazioni inter species con i Neanderthal avvenute all’incirca 60.000 anni fa (il genoma completo di Homo neanderthalensis è stato sequenziato nel 2010); il loro fantasma è nel nostro DNA, ma sembra che lentamente ce ne stiamo sbarazzando. Il DNA, il nostro codice genetico, ci insegna che ognuno di noi è allo stesso tempo ordinario ed eccezionale. In altre parole «siamo tutti speciali, il che significa anche che nessuno di noi lo è.»
Ognuno di noi eredita per intero il DNA dai genitori, metà dal padre e metà dalla madre. I nostri genitori lo hanno ereditato a loro volta dai nostri nonni (ed infatti con questi ultimi condividiamo un quarto del nostro codice genetico). Il percorso a ritroso tra le braccia dei nostri progenitori primordiali si snoda su una genealogia iper-ramificata e inestricabile. Di vari gradi, ma siamo tutti cugini. Quel che ereditiamo da chi ci ha messi al mondo attinge da un tesoro genico accumulato per migliaia e migliaia di anni. Sebbene la scienza della genetica sia nata dallo studio della disuguaglianza razziale (ci riferiamo al triste capitolo dell’eugenetica) oggi sappiamo che, dal punto di vista strettamente genetico, le razze non esistono. Forse non molti sanno che «gli africani hanno maggiori probabilità di essere geneticamente più diversi tra di loro che rispetto ai bianchi.» Le maggiori dissimilarità genetiche sono riscontrabili infatti tra individui appartenenti alla stessa razza più che tra individui di razze differenti (la genetica estrae la realtà oggettiva dal modo fuorviato in cui spesso la percepiamo).
Il genoma totale di ciascun individuo conta tre miliardi di lettere, una lunghissima stringa di A, T, G e C variamente alternate che custodiamo nel nucleo di ogni nostra cellula. L’impronta digitale genetica varia da individuo a individuo. È unica, irripetibile. Serba le istruzioni per costruire il singolo individuo; nei 107 miliardi di esseri umani che hanno vissuto sulla Terra, non si è mai ripetuta né mai potrà ripetersi. «Siamo unici quanto lo è qualsiasi altra specie, poiché ognuna si è evoluta in maniera unica per garantirsi le migliori probabilità, nelle condizioni uniche del presente, di tramandare i propri geni all’infinito.» Confrontando il DNA antico – quello che in casi particolarmente fortunati siamo in grado di estrapolare dai resti di esseri umani vissuti millenni o decine di millenni addietro – con quello contemporaneo possiamo osservare interessanti mutamenti o permanenze. La storia, quella di ciascuno di noi, si è come fossilizzata tra le maglie di quel codice prealfabetico, nelle singole lettere (basi nucleotidiche) e negli spazi bianchi che le intervallano e le relazionano. Quando saremo in grado di tradurlo e di interpretarlo correttamente il DNA ci racconterà di reiterate migrazioni, di sanguinose guerre, di malattie falcidianti, di carestie, di adattamenti vantaggiosi e di insospettabili accoppiamenti. L’infinitamente piccolo ci è per la gran parte ignoto quanto l’infinitamente grande ma, si sa, Homo sapiens ha sempre avuto dalla sua la curiosità e l’ostinazione. I risultati raccolti finora dalla ricerca genomica comparata non sono affatto trascurabili. Siamo in grado di riconoscere un determinato gene e di isolarlo per osservarne il singolare comportamento. Sappiamo che ogni gene svolge una precisa mansione in relazione ad altri geni, e che nei processi di copiatura possono intervenire delle mutazioni.
Il DNA è una storia scritta che continuamente si riscrive. È fluido, mutevole, imprevedibile. Ci racconta che «siamo sempre nel mezzo e siamo tutti degli anelli mancanti»; ci testimonia che l’esistenza è governata dalla transizione e che «le uniche cose autenticamente statiche sono già morte.» Dalla seconda metà degli anni Novanta la paleogenetica sta riscrivendo la storia delle nostre origini. Le scoperte si susseguono a ritmo incessante così che tutto si fa suscettibile di revisione. Rutherford ci guida per mano in un viaggio straordinario attraverso la storia profonda, spiegando con linguaggio accessibile che cos’è un gene, cosa contiene e quali compiti assolve nella rete complessa delle basi nucleotidiche. Il genetista inglese, en passant, sfata molti miti e bufale che girano sui geni e non manca di bacchettare i titoloni fuorvianti di certa stampa generalista. Sappiamo, per esempio, che il gene FOXP2 svolge un ruolo molto importante nella comunicazione umana, ma questo non ne fa il “gene della comunicazione”. «Nella maggioranza dei casi – scrive Rutherford – conoscere l’esatta sequenza di un gene non basta per sapere con esattezza che cosa faccia davvero quel gene.» Quello che per grandi linee i geni ci testimoniano è che i 7 miliardi di Homo sapiens viventi oggi sulla Terra sono l’ultimo gruppo sopravvissuto degli almeno quattro gruppi di grandi scimmie umane che 50.000 anni fa popolavano il pianeta. Il nostro albero genealogico è tutt’altro che ordinato; più risaliamo indietro e più il cespuglio si infittisce divenendo un’intricata boscaglia. Il nostro passato pullula di contaminazioni e mescolamenti, ed è stato attraversato da un numero non ancora ben identificato di cosiddetti cugini fantasma (tra questi i già citati Neanderthal e Denisoviani); non li abbiamo cancellati ma immagazzinati in porzioni riposte del nostro codice genetico, dove pur sonnecchiando continuano a svolgere una qualche funzione. «Ci portiamo appresso il passato. Non c’è stato un inizio e non ci sono anelli mancanti, solo il flusso, il deflusso e ancora il riflusso della vita attraverso le epoche. Quegli antichi uomini non si sono mai estinti: ci siamo solo mescolati», questo il nostro DNA lo riporta in caratteri cubitali. Lo studio del DNA – a braccetto di storia, archeologia e geologia – sta gradualmente ridisegnando il quadro caotico della nostra evoluzione. Nei genomi antichi c’è traccia indelebile del nostro passaggio da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori-allevatori (tante informazioni sono state ad esempio desunte dall’osservazione del gene della tolleranza al lattosio). «…siamo noi a plasmare il mondo in cui viviamo, e lo facciamo con le nostre pratiche, la nostra cultura e con la nostra stessa esistenza; il nostro DNA, a sua volta, reagisce a tutto questo. I geni modificano la cultura, la cultura modifica i geni.» Negli antichi genomi possiamo rimirare la selezione naturale all’opera.
Una delle più ambiziose imprese in ambito genetico è stata, all’inizio degli anni Duemila, il Progetto Genoma Umano, ossia la mappatura dei fatidici ventitré cromosomi (composti da tre miliardi di lettere di codice genetico), manuale d’istruzioni per costruire Homo sapiens. Il progetto, costato tre miliardi di dollari, ha indagato anche gli introni (ossia quei frammenti di DNA posti tra un gene e l’altro) e il cosiddetto DNA spazzatura (termine invero inappropriato che sta ad indicare enormi porzioni di DNA apparentemente inutili, sorta di materia oscura del codice genetico). Sul Progetto Genoma Umano si nutrivano grandi aspettative, certo non è stato un buco nell’acqua perché ha prodotto una gran mole di dati genomici, ma ad oggi la gran parte di questo alfabeto resta ancora intraducibile. Rutherford sottolinea a più riprese quanto una materia così complessa come la genetica si presti ad essere fraintesa dai non addetti ai lavori; i titoli sensazionalistici della stampa popolare veicolano spesso concetti errati e antiscientifici.
Il DNA non è destino. Non esiste il gene della malvagità, della bellezza, del genio musicale o artistico. Non esiste il gene dell’ansia, della pazienza, della religiosità, dell’altruismo o quello che aiuta a predire l’orientamento sessuale dell’individuo. «La versione semplice e deterministica della genetica non è altro che una nuova frenologia.» I geni possono influenzare una particolare caratteristica, ma non sempre. Interagiscono in ossequio a dinamiche complesse, in parte osservabili in parte no. Stiamo imparando a conoscerli e, attraverso di loro, stiamo imparando a conoscere meglio noi stessi. Un gene, inteso nella sua forma più semplice, è una sequenza di DNA che codifica una proteina dotata di funzione. Dal sapere che cos’è al sapere com’è ce ne corre, ma la ricerca genomica fa ogni giorno passi da gigante. Leggere la storia dell’umanità dalla fine all’inizio (da ciò che siamo a ciò che siamo stati) non è certo agevole, ma non abbiamo altra strada. «Nelle nostre cellule – scrive Rutherford – portiamo un poema epico. Si tratta di una saga senza paragoni, unica, che si espande tortuosa e senza fine.»
Cecily P. Flinn
Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 34 – Marzo 2018.
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