SANTA VACCA | Della vacca non si butta via niente. Almeno in India

SANTA VACCA

Della vacca non si butta via niente. Almeno in India.

di Maria Dente Attanasio

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 33 – Dicembre 2017

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Può mai un animale innocuo e pacifico come la mucca essere motivo di scandalo? È quanto successo sul finire di novembre di quest’anno in Belgio. Qui il bonario e placido quadrupede ha sollevato un grosso polverone facendo la sua comparsa all’interno di una chiesa. A scatenare l’ira di un gruppo di cattolici bigotti è stata l’installazione dell’artista belga Tom Herck, dal titolo, fin troppo esaustivo “Holy cow”. L’opera, una grande scultura in poliestere raffigurante una vacca crocifissa, campeggia proprio davanti all’altare della chiesa di Kuttekoven a Looz, e lungo la navata ai suoi piedi è completata da una grande vasca colma di latte. Di chiese cadute in disuso e convertite in supermercati o palestre ne è pieno il Belgio, ma la chiesa in questione, sebbene non vi venga più esercitato il culto, non è stata ancora sconsacrata, ragion per cui viene tutt’ora ritenuta un luogo sacro e inviolabile. Ciò è bastato a far insorgere una quindicina di membri dell’ASB Katholiek Forum, un’associazione oltranzista cattolica, la quale, munita di rosari, ha organizzato un sit-in davanti alla chiesa per protestare nei confronti dell’artista ma anche del vescovo che ne aveva autorizzato la realizzazione. Si tratta di “un’opera satanica” dicono i manifestanti, con la quale “il cattolicesimo è disonorato”. Dal canto suo l’autore ha spiegato che l’opera voleva essere un atto di denuncia nei confronti dell’industria agroalimentare e del consumismo moderno in generale, di cui la vacca è tra i simboli più rappresentativi, precisando con ciò che non era sua intenzione offendere nessuno, men che meno la sensibilità dei cattolici. Piuttosto quindi di sgranare rosari di riparazione, sarebbe stato più cristianamente plausibile aprire una riflessione verso il tema suggerito dall’opera tanto contestata.

Da animale sacro qual era, la vacca è oggi diventata uno degli esseri più maltrattati e abusati. Basti pensare agli allevamenti intensivi, dove migliaia di bovini vengono tenuti in condizioni pietose, privi dello spazio vitale, quasi immobilizzati nelle loro strette gabbie, messi all’ingrasso con ceneri di carcasse infette, scarti di macellazione, placente umane essiccate e gonfiati con estrogeni per affrettarne l’arrivo al mattatoio, dove li attende una mattanza fredda e crudele. Nessuno di quei ligi cattolici si è sentito in dovere di interrogarsi sul destino riservato oggi a un animale da sempre tanto buono e generoso verso l’uomo.

Fin dalla notte dei tempi la vacca è sacra. Questo pacifico ruminante ha ispirato miti e credenze presso i popoli dell’antichità, al punto che molte divinità pagane dalle sembianze zoomorfe erano rappresentate con testa o corna di vacca. I primi esempi di questa sacralizzazione risalgono addirittura ai culti arcaici della Genitrix e delle Grandi Madri paleolitiche, dalle multiple e abbondanti mammelle, le stesse che vediamo affiorare più tardi dal corpo della Signora di Efeso, nota anche come Diana multimammia, identificata dai greci come la dea Artemide. Nell’antico Egitto l’archetipo della vacca sacra è presente già in alcuni manufatti del periodo predinastico (ante 3150 a. C.), come la Tavoletta di Narmer,  fino a raggiungere la sua più compiuta consacrazione nelle raffigurazioni delle dee Bat, Hathor e Iside, tutte recanti l’aspetto o attributi ripresi dalla vacca. In quanto ritenuta madre di tutte le donne, Hathor era definita la “Vacca alata o celeste che diede origine alla vita”, colei che proteggeva tutte le attività femminili dalla maternità alla cura della bellezza, e che conduceva gli uomini dalla culla alla tomba. La centralità di cui gode il bovino negli antichi culti egizi è una costante tipica delle divinità lunari femminili, connessa al principio della fertilità della terra, alla procreazione e al sostentamento dell’uomo, tutti elementi di cui la vacca era eloquente rappresentazione.

È con questa stessa associazione che fu sacra anche ai greci e ai romani, che la identificarono con il primo latte e il primo cibo ricevuto dall’umanità, e ai sumeri, che la associarono ai cicli astrali e meteorologici, al fluire del tempo cosmico che scandisce quello della vita umana. La dea mesopotamica Inanna/Ishtar veniva appellata come “divina, impetuosa vacca selvaggia”, anch’essa simbolo del potere generativo, della fecondità della terra come della donna, poiché, proprio come la vacca, elargitrice del proprio latte all’umana figliolanza. Dall’Oriente all’Occidente insomma, la vacca è testimone di una congerie di culti matriarcali in cui si manifesta l’eterno femminino, oggetto di timore e riverenza, di rispetto e venerazione.

Trasfigurata nei miti fondanti di popoli e culti religiosi, riprodotta e divinizzata nella statuaria sacra, resa intoccabile oppure oggetto di rituali sacrificali e propiziatori, la vacca resta comunque un animale sacro per tutto ciò che rappresenta. Del resto essa si offre agli uomini attraverso il nutrimento supremo del latte, che a sua volta evoca quello materno, un donarsi cui non può sottrarsi, pena la sofferenza e la morte. Questa speciale incarnazione del dono che non ammette deroga alcuna, fa della vacca anche la vittima sacrificale per eccellenza in molti riti religiosi, come l’Id al-adha (festa del sacrificio) dei musulmani. Naturalmente, quando si parla della vacca sacra si pensa subito all’India, dove in effetti ancora oggi questo generoso animale è particolarmente caro alla religiosità induista che in lingua hindi lo definisce Gaumata (Madre Vacca o “La Mamma che nutre”).

Parlare di adorazione della vacca da parte degli indiani è tuttavia inesatto. In realtà, come per gli egiziani, la vacca è sacra in quanto simbolo di un principio metafisico, oltre che delle facoltà riproduttive. Nessun  tempio è stato mai intitolato alla vacca in quanto tale, se non per il tramite di una qualche divinità in cui è stata antropofizzata. L’origine sacrale della vacca in India si fonda su alcuni passi dei Veda in cui l’Alba della Creazione è rappresentata, appunto, da una vacca.

Questa sua eccelsa posizione nell’immaginario mitologico della religione hindu ha fatto sì che attorno alla mucca si condensassero quelle attenzioni devote degli induisti che hanno condotto fino alla sua intoccabilità, sebbene negli antichi culti della dea Kālī erano previsti sacrifici e macellazioni rituali di mucche per mano dei sacerdoti, i quali se ne nutrivano insieme ai membri delle caste più benestanti. Con l’avvento del Buddismo e del Jainismo l’animale diventa oggetto di tutela e protezione assolute, ma dietro il divieto di macellazione delle vacche ci sono anche ovvie ragioni di ordine sociale ed economico. Primo fra tutti il notevole incremento della popolazione a fronte delle esigue disponibilità alimentari, che ha portato i governi a incentivare l’uso dei terreni all’agricoltura e al pascolo, preservando i capi bovini per la produzione di latte e burro. Di fatto la vacca elargisce generosamente i suoi prodotti tanto preziosi per la nutrizione, senza esigere dispendiose cure. Fatta qualche eccezione (in alcune zone come l’Arunachal Pradesh la popolazione si nutre di carne bovina), gli hindu più ligi alla propria fede considerano la vacca il più gentile tra gli animali e le riservano le migliori cure e attenzioni, lasciandola circolare libera e indisturbata ovunque. Loro non adorano la vacca in sé, quanto la divinità che alberga dentro di essa, ritenendola una sorta di tabernacolo o tempio vivente che incarna al tempo stesso la virtù della non-violenza induista. Nell’iconografia il suo corpo è cosparso di divinità, saggi e veggenti; il sole e la luna sono i suoi occhi, mentre sulle zampe sono riprodotti i principali rilievi montuosi dell’India. Ai suoi piedi è accovacciato un piccolo vitello a rappresentare il senso di protezione materno, infine è sovrastata dai busti delle tre principali divinità maschili: Brahma, Vishnu e Shiva. Più volte strumentalizzata anche a fini politici, la vacca è posta sotto tutela dalla costituzione indiana che ne vieta a tutti gli effetti l’uccisione.

Latte, cagliata, burro, nonché urina e escrementi; dalla mucca si prende tutto eccetto il suo corpo sacro. È così che l’urina viene utilizzata come disinfettante o come un componente essenziale nell’antica medicina ayurvedica; al pari lo sterco, anch’esso ritenuto un disinfettante, tanto che i pavimenti delle abitazioni ne venivano un tempo rivestiti a scopo antisettico, viene ancora oggi utilizzato negli usi più disparati: da combustibile a nutrimento per i campi. Un gruppo di ricercatori dell’Ahmedabad Research Center è stato tra i maggiori promotori dell’impiego di sterco e urina di vacca a uso alimentare, farmaceutico ed estetico. Secondo quanto sostengono: “Camminare sullo sterco di vacca fresco è molto sano. Si uccidono tutti i germi e batteri e si guariscono le ferite. Inoltre, lo sterco di mucca secco è come un grande scrub, che permette di sbarazzarsi della pelle morta e migliorare la circolazione del sangue”. Ma non finisce qui. Alcune industrie del Paese stanno immettendo sul mercato tutta una linea di prodotti che va dai saponi al dentifricio, dall’incenso alle bibite, il tutto a base di urina e feci di vacca. Tutto ciò a conferma di quale alta considerazione goda la vacca in India, come dispensatrice d’ogni dono atto a nutrire e guarire l’uomo. Oggi in India esistono oltre tremila Gaushalas, ovvero ricoveri gestiti da benefattori che si prendono cura delle mucche vecchie e ammalate.

Eppure, anche qui le cose stanno ultimamente cambiando. Paradossalmente l’India è oggi anche uno dei maggiori paesi esportatori di carne bovina, un business di grandi proporzioni che si regge sul traffico illegale gestito da indiani meno scrupolosi e riconoscenti verso la sacra Madre Vacca. Ma c’è anche un altro paradosso, uno di quelli che non ci si aspetterebbe in una cultura tanto pacifista e rispettosa verso tutte le forme di vita come quella hindu. L’india gode oggi di un triste e allarmante primato: ogni 15 minuti in questo Paese una donna è vittima di stupro. «Qui le donne valgono meno delle vacche sacre» È questa la provocatoria denuncia partita in questi giorni da un progetto del fotografo Sujatro Ghosh, che ha invitato alcune donne a posare nei luoghi più in vista di Delhi indossando sul capo una maschera che riproduce la testa di vacca. Non si sono fatte attendere le proteste da parte dei “vigilanti delle vacche”, i quali hanno invitato a sgozzare il giovane fotografo davanti alla moschea. In un’intervista Ghosh ha spiegato che in India «Una donna impiega più tempo ad ottenere giustizia se viene aggredita o violentata rispetto a una mucca, ne è la prova che i casi di violenza sulle donne vanno avanti per anni nei tribunali […] mentre quando una vacca viene macellata, subito gli estremisti hindu uccidono o picchiano chiunque sia sospettato dell’uccisione».

Maria Dente Attanasio

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