di Salvo Arena
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 33 – Dicembre 2017.
Patty Pravo, eterna ragazza del Piper, pigramente signora, sceglie di affidare alle pagine di un’autobiografia il racconto della sua vita straordinaria. La cambio io la vita che… (Einaudi, 2017), realizzato con il contributo di Fabiano Massimi, si apre significativamente con un celebre aforisma di Oscar Wilde: «Vivere è una cosa troppo importante per poterne parlare seriamente.» E infatti, eludendo i toni della confessione, la narrazione si snoda con serena leggerezza, tra gustosi aneddoti e piccoli flash, qua e là puntellati da una pacificata nostalgia.
Nicoletta Strambelli nasce a Venezia il 9 aprile del 1948. Figlia di genitori giovanissimi, cresce per lo più sotto la custodia dei nonni paterni al civico 2125 di Dorsoduro (poco distante dalla Fondazione Guggenheim). Da bambina Nicoletta è una sorta di Patty Pravo in miniatura, già ribelle e refrattaria alle regole, creativa, sfrontata, curiosa, con un’accentuata indole artistica. «A me non è importato mai nulla delle regole. Non lo dico con orgoglio, più come una presa d’atto: ero fatta così, sono fatta così.» I nonni la lasciano crescere libera, assecondandola amorevolmente in ogni sua scelta e aspirazione (e di questa preziosa libertà Patty farà il leitmotiv di tutta la sua vita). All’età di tre anni arriva il primo incontro con la musica, le prime lezioni di piano con la maestra Mazzin Crovato. Seguiranno, dopo le elementari, gli anni di conservatorio al Benedetto Marcello. Allo studio della musica classica Nicoletta affianca presto anche l’ascolto di generi più contemporanei (il primo disco acquistato è un 33 giri di Nina Simone, «un disco che ho consumato, che mi ha influenzato durante tutta la carriera.»).Venezia si rivela presto stretta per un temperamento prorompente e irrequieto come il suo. Dopo la morte del nonno Nicoletta, ancora minorenne, parte per Londra con l’intenzione di studiare la lingua. Il soggiorno londinese, breve ma intenso, la vede stringere amicizie con musicisti d’orientamento beat e rock. L’urgenza di esprimersi attraverso la musica comincia a prender forma.
Siamo nella primavera del ’66, e per puro caso, seguendo in viaggio un gruppo di amici, Nicoletta si ritrova al Piper di Roma, il celebre locale beat aperto da Alberigo Crocetta in Via Tagliamento. «Mi scatenai a tal punto che finii per attirare l’attenzione di diverse persone in sala. Anche persone che contavano. Io allora non potevo saperlo, non avevo nemmeno idea di chi fossero. Ballavo il beat e basta. Non era calcolato. Non volevo far colpo su nessuno. Fu il caso a fare il resto. La fortuna, o il destino, se preferite.» I primi a notarla furono Arbore e Boncompagni. Tutto sembrava destinato a dover accadere molto velocemente. «Ero giovane, bella, e avevo il mondo in mano. E anche se nemmeno immaginavo la lunga strada che mi aspettava, sentivo dentro di me che sarebbe stato un viaggio divertente.» Un provino superato brillantemente, e via. Nasce così, dall’oggi al domani, l’emergente stella del beat italiano. Di lì a poco Nicoletta Strambelli, ribattezzata Patty Pravo – il cognome su ispirazione delle anime prave dantesche, il nome semplicemente perché “Patty” in quegli anni era molto in voga e suonava bene – avrebbe inciso il suo primo 45 giri. Ragazzo triste uscì per la Arc (del circuito RCA italiana) con la sotto-etichetta Piper-Records, e fu subito un successo. Un manifesto generazionale che, tanto nel sound quanto nel testo, seppe intercettare le tensioni di quegli anni. L’esordio televisivo arrivò nel novembre ’66 a Scala Reale. L’anno dopo Patty bissa il successo con Qui e là (lato B della meno fortunata Sto con te). La svolta melodica arriva lo stesso anno con Se perdo te. Il successo internazionale irrompe nel ’68 con La bambola (40 milioni di copie vendute nel mondo). Il resto è storia.
Dall’omonimo 33 giri d’esordio (1968) a Eccomi (2016) Patty Pravo ha messo a segno una trentina di emissioni tra album in studio e live (senza contare le decine di antologie). Un percorso discografico tutt’altro che lineare, segnato spesso da lunghi intervalli di riflessione, sempre aperto alla sperimentazione e alla ricerca di nuove sonorità. Nel ripercorrere gli eventi più salienti della sua vita – gli incontri (da Ezra Pound al cardinale Roncalli, da David Bowie a Mick Jagger, e poi ancora Lucio Fontana, Tano Festa, Mario Schifano), gli amori (i matrimoni, le relazioni) – Patty passa in rassegna tutta la sua discografia, soffermandosi sugli album più amati come Biafra del ’76 (contenente la bellissima Grand Hotel scritta da Renato Zero) e Ideogrammi del ’94 (frutto della lunga esperienza in Cina). Nell’autobiografia Patty si sofferma inoltre sul suo amore per i deserti, e sono queste forse le pagine più intense e sincere. In chiusura uno sguardo sul presente, sui progetti in cantiere, sulle amicizie più strette come quelle con Ornella Vanoni, Francesco De Gregori e Renato Zero (con quest’ultimo è in contatto quotidiano). L’ultimo pensiero va all’amata nonna: «Devo a lei la mia forza d’animo. Devo a lei, soprattutto, la passione per la musica e quella, anche più forte, per la libertà.»
Salvo Arena
Questo articolo è pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 33 – Dicembre 2017.
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