MORRISSEY
Low in High School | Il nuovo album di Morrissey
di Lillo Portera
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 33 – Dicembre 2017.
Forte di una carriera solista ormai trentennale (l’album d’esordio dell’ex Smiths, Viva Hate, risale al 1988) Morrissey torna con Low in High School (étienne label / BMG), il suo undicesimo album in studio. In copertina campeggia un’immagine dichiaratamente antimonarchica che ha fatto molto discutere: un ragazzino armato di accetta staziona davanti ai cancelli di Buckingham Palace; alla sua sinistra svetta un cartello con la scritta “Axe the Monarchy”, di fatto un gioco di parole, ma nella sostanza il concetto rimarca il noto disprezzo di Moz per i reali inglesi. “I cimiteri sono pieni di idioti che hanno dato la loro vita per la monarchia” canta in I wish you lonely, seconda traccia dell’album.
Dedicato alla memoria di Dick Gregory (1932-2017), celebre attivista per i diritti civili, il disco è stato realizzato tra Italia e Francia e registrato nell’estate 2017 da Maxime Le Guil tra il Forum Music Village di Roma e La Fabrique di St-Remy. Alla produzione, come nel precedente World peace is none of your business del 2014, il geniale Joe Chiccarelli. Dei barriti d’allarme fanno da preludio a My love, I’do do anything for you, possente brano d’apertura giocato tra l’hard-punk e il rock, sovrabbondante di fiati e interventi orchestrali. Album in alcuni passaggi un tantino iper-prodotto e barocco, ma nel suo complesso accattivante. Le atmosfere virano dalle durezze del rock alle fluidità del sinfonico, mescolando a più riprese suggestioni gotiche e sonorità più acustiche, melodia e partiture stranianti. Morrissey è in perfetta sintonia con la collaudatissima band: Jesse Tobias e Boz Boorer alle chitarre, Mando Lopez al basso, Gustavo Manzur alle tastiere e Matthew Ira Walker alla batteria. Low in High School è stato anticipato dal singolo Spent the day in the bed, un brano anarchico di dura critica ai media: “…Ho trascorso la giornata a letto, mentre i lavoratori rimangono schiavi (…) E mi raccomando che tu smetta di guardare le news, perché le news ti spingono ad aver paura”. Nel video, (regia di Sophie Muller, con la partecipazione del performer David Hoyle) il fan storico Joey Barton spinge Morrissey su una sedia a rotelle all’interno dello storico Peckham Liberal Club. Secondo singolo estratto dall’album è Jacky’s only happy when she’s up on the stage, con arrangiamenti indie-pop in stile Smiths. Tra le perle del disco When you open your legs (con rimandi western) e la più melodica Home is a question mark. In Who will protect us from the police? sembra riecheggiare la recente disavventura di Morrissey con la polizia romana (in realtà poco più che un diverbio), conclusasi, salvo ripensamenti, con l’annullamento del previsto tour italiano. Un’ambigua chiave reazionaria fa da leit motiv a tutto l’album che, con toni provocatori, riflette sulla confusione politica e sociale del mondo contemporaneo. Nei testi, fedele al suo consolidato stile compositivo, Morrissey privilegia una scrittura aperta, deliberatamente vaga e non lineare, con giochi di parole e significati ambivalenti, sempre poetico ed evocativo, mai narrativo. L’impegno civile – la lotta contro le disuguaglianze, la difesa dei diritti degli animali… – fa il paio con un’ispirazione fertile, capace di attingere da ogni aspetto della vita.
The girl from Tel-Aviv who wouldn’t kneel, impreziosito dal violino di H.E.R., con atmosfere di flamenco e tango, è un delicato omaggio alla scrittrice morta ad Auschwitz Hetty Hillesum. Chiude il disco la struggente Israel, con dedica allo stato ebraico di Israele che, nel 2012, ha consegnato all’artista britannico le chiavi della città di Tel-Aviv.
Abbiamo chiesto a H.E.R. di raccontarci com’è nata questa collaborazione e di esprimere un suo parere su Low in High School.
H.E.R.: «È stato davvero un caso! Era un pomeriggio d’estate quando ricevetti una telefonata da un collega musicista, Diego Buongiorno. Cercava urgentemente un violino capace di improvvisare con un certo grado di empatia, ma non fece alcun cenno a Morrissey, mi parlò solo di Jesse Tobias. Incuriosita, accettai. Arrivai puntuale, e dopo tre minuti ero già alle prese con Israel. Il tutto è stato fluido ma impegnativo perché ero invasa da musica sconosciuta ma nel contempo familiare, visto che amo il lavoro di Morrissey da sempre. Mi lasciai andare all’emozione pura pensando solo a fare del mio meglio. Joe Chiccarelli, mostro sacro della musica mondiale, è una tra le persone più cordiali e meritocratiche che abbia mai conosciuto. Ha apprezzato tutta la passione che ho infuso nelle mie note. Ho suonato in ben cinque brani, ma penso che la produzione, in virtù dell’incidente diplomatico successo a Roma tra Moz e la polizia italiana, abbia anticipato la chiusura del lavoro. In quei brani registrati ricordo anche un po’ di leggerezza. Il taglio del disco nel complesso lo trovo molto grintoso, a tratti duro, influenzato anche dalle varie vicende accadute. Moz non si smentisce mai. Sono orgogliosa di essere entrata a far parte del suo meraviglioso mondo poetico.»
Lillo Portera
Questo articolo è pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 33 – Dicembre 2017.
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