LE SORELLE DELLA BEATA PINZA
Le basabanchi | Un testo (e uno spettacolo teatrale) di Alessandro Fullin (MGS Press, 2017)
di Andrea Pardo
Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 33 – Dicembre 2017.
Trieste, 1943. Le truppe naziste invadono la città all’indomani dell’armistizio annunciato via radio dal maresciallo Badoglio. L’esercito italiano è disorientato e allo sbando, così i tedeschi ne approfittano per occupare la penisola. L’operazione Alarich era stata da tempo pianificata dalla Germania hitleriana in caso di uscita dell’alleato dall’Asse. Con l’Operationszone Adriatisches Kustenland Trieste, il Friuli e l’Istria vengono assorbite dal Terzo Reich. Dall’8 settembre del ’43 agli anni del Territorio Libero di Trieste: questo il quadro storico in cui si svolgono le vicende narrate nell’ultima fatica letteraria in lingua triestina di Alessandro Fullin, che con coraggiosa e divertita irriverenza osa sdrammatizzare un periodo così buio. «Fu un decennio molto difficile per la città, – scrive Fullin nella nota iniziale – i lettori mi perdonino quindi l’omissione di fatti che furono crudeli per gli uomini e le donne d’allora, ma che in questo contesto avrebbero tolto il sorriso a questo breve romanzo.» Una storia gustosa, leggera, scanzonata, un susseguirsi di situazioni paradossali e di battute sagaci capace di trascinare il lettore fin dalle prime righe.
Dopo il trittico dedicato a Sissi & Carlotta (Sissi a Miramar, Ritorno a Miramar e Oberdan, Amor mio!) e il romanzo giallo Giallo Trieste Rosso Capodistria (pubblicati per le edizioni MGS Press tra il 2013 e il 2016), Fullin torna a raccontare attraverso la lingua triestina, virando dalle atmosfere asburgiche a quelle di un piccolo convento triestino di via Biasoletto. Qui suor Palacinca, suor Camoma e la Madre Superiora, sorelle clarisse cappuccine della Beata Pinza e devote di Santa Tecla, tentano di sopravvivere e di «attraversare incolumi la Tempesta della Storia.» Le monighe, annoiate dai rigori della vita claustrale e provate dalle difficoltà dei tristi tempi de guera, accolgono di buon grado l’arrivo inaspettato di un bel forestiero, Furio Riboto, ufficiale del Regio Esercito Italiano, un toco de mulo in divisa militar. Ricercato dalle SS il bell’ufficiale fuggiasco ottiene asilo nel piccolo istituto religioso e, per non dar nell’occhio, si traveste da suora divenendo così suor Refada. L’uomo risveglia la femmina sopita in ogni moniga basabanchi, e da qui la pia pace del convento lascia il posto a un gran teatro di situazioni esilaranti.
Sotto le castigate vesti le allegre suore covano pruriti mondani d’ogni sorta, desideri e curiosità che poco o nulla hanno da spartire con la dimensione claustrale. La lampada di Santa Tecla, per tutto il tempo, arde a intermittenze lanciando segnali miracolosi. Altra figura maschile che varca a più riprese le sacre mura di via Biasoletto è quella del Comandante von Kiffel, a cui la superiora dà lezioni di grammatica triestina. Come si potrebbe tradurre “Heil Hitler” in triestino?, chiede il comandante. E la superiora risponde alzando de scatto el brazo destro: “Saludemo quel mona”! Il convento è inoltre visitato da Fedora Ciucion, assunta come maestra di canto, in realtà una nota prostituta che batte a l’angolo de via Cavana, dopo le undise de sera. Le monighe, tra un pasticcio e l’altro, preparano dei canti corali per omaggiare degnamente la visita annuale del Vescovo di Trieste. Le battute (e i doppi sensi) incalzano con fluidità, senza forzature, sorrette da una scrittura colta e ispirata, densa di richiami alla letteratura e al cinema.
A farla da padrone è il dialetto triestino, reso comprensibile e ben amalgamato all’italiano. Fullin lo padroneggia con accattivante disinvoltura, esaltandone sonorità e qualità intrinseche. La lingua triestina, con la sua potente sintesi espressiva, dà prova di sé anche in alcune irresistibili barzellette: Alora… Xe ora de zena al convento. Tute le suore le sta sentade con el piato svodo davanti, in trepidante atesa. Riva la Superiora e la anuncia: “Sorelle, stasera… carote!” Tutte le monighe urla de gioia, ma la Superiora agiungi sadica: “grattugiate!” Sullo sfondo, rievocata non solo attraverso l’uso sapiente e compiaciuto del dialetto, una Trieste attraversata dalla bora della storia. …qua a Trieste nele giornade de bora de soto la cotola vien su certi spiferi! Pur nella leggerezza, certo irriverente ma mai volgare, non mancano riflessioni profonde sulla drammatica situazione socio-politica dell’epoca. Con Le basabanchi Alessandro Fullin, scrittore prima che attore e comico, mette a segno un altro prezioso tassello della sua produzione. Il romanzo, edito da MGS Press, è anche un riuscitissimo spettacolo teatrale. Le basabanchi, prodotto da La Contrada, ha inaugurato la 35° stagione del Teatro Bobbio di Trieste. Attori: Alessandro Fullin (nel ruolo della Madre Superiora), Ariella Reggio, Marzia Postogna, Francesco Godina, Franko Korosec, Valentino Pagliei, Daniela Gattorno. La regia è di Alessandro Fullin e Tina Sosic.
Andrea Pardo
Questo articolo è pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 33 – Dicembre 2017.
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