IL DEMONE DI SIDONIA | La vita del sabato | Un romanzo di Radclyffe Hall

IL DEMONE DI SIDONIA

La vita del sabato | Un romanzo di Radclyffe Hall (Fandango, 2017)

di Massimiliano Sardina

Pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 33 – Dicembre 2017.

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Con La vita del sabato (A Saturday Life, 1925) Radclyffe Hall mette a segno il suo terzo romanzo. Una storia in bilico tra dimensione reale e fascinazione misterica, attraversata da una forte carica simbolica, coraggiosa nel tratteggiare (in anni dove di omosessualità femminile si parlava poco o nulla) un’inquietudine più identitaria che esistenziale. Vi è improntata l’architettura, in divenire e insieme pericolante, di una femminilità non allineata alla disperata ricerca di una legittimazione, di un senso, di una propria irrinunciabile felicità. Una fiera natura maschile imprigionata in un corpo femminile: questo fu innanzitutto Marguerite Radclyffe Hall, scrittrice inglese nata a Bournemounth (Hampshire) nel 1886 e morta a Londra nel 1943. Figura inquieta, ma coraggiosa e determinata, Radclyffe Hall ha saputo ritagliarsi un ruolo di tutto rispetto nella letteratura inglese del primo Novecento, sfidando le convenzioni di quella stessa società che pochi anni addietro aveva gettato nel fango Oscar Wilde, una società timorata e timorosa che continuava a perseguitare con le parole e con le azioni tutte quelle esistenze non allineate. A soli ventun anni “John”, questo uno dei suoi pseudonimi, entra in possesso di una cospicua eredità, comincia a viaggiare per il mondo (bardata perlopiù in eleganti abiti maschili) e pubblica a sue spese le prime raccolte di poesie. Nel 1907 si lega sentimentalmente alla cantante Mabel Veronica Label, ma il grande amore della sua vita sarà la scultrice Una Vincenzo (o Lady Troubridge, nota anche per aver tradotto in inglese l’opera di Colette). La coppia soggiornò a più riprese in Italia, nel 1937 si stabilì a Firenze, ma poco prima dell’inizio della guerra fece rientro in Inghilterra; una relazione alla luce del sole, vissuta coraggiosamente, modello d’ispirazione per tante altre coppie clandestine. Il nome di Radclyffe Hall è legato soprattutto al romanzo Il pozzo della solitudine, da molti salutato come il primo romanzo dichiaratamente lesbico della storia; edito nel 1928, tra lo scandalo e la disapprovazione pressoché generali, costò alla sua autrice un umiliante processo per oscenità (in sua difesa si mobilitarono, tra gli altri, Virginia Woolf, E. M. Forster e G. Bernard Shaw).

Nelle prime pagine de La vita del sabato la protagonista, la piccola Sidonia, irrompe nuda e danzante come un’indisciplinata fata silvestre. È un fiume in piena, un vento pazzo, il capriccio fatto determinazione. Ribelle a prescindere, enfant prodige di sé stessa, Sidonia è un concentrato d’energia che freme per esplodere; agìta da un demone irrefrenabile che la induce a immolarsi anima e corpo sugli altari dell’arte, la giovinetta si consuma nel fuoco dell’ispirazione e nel tormento dell’ambizione. Testarda, caparbia, pronta a tutto pur di averla vinta, Sidonia tiene in pugno sua madre (vedova di un egittologo), la sua governante, i suoi insegnanti e chiunque graviti nel suo raggio d’azione. Abile manipolatrice, sa arrogarsi il consenso con dolce autorità, complice una personalità inflessibile e un temperamento ingestibile. Mai ostacolare le decisioni di Sidonia, mai contraddirla. Tentare di porre freno alle sue passioni totalizzanti è una partita persa. Prima bambina, poi ragazza, poi giovane donna. Sidonia stilla la sua genialità nel vuoto. Graziata dalle Muse, eccelle in ogni disciplina: prima la danza, poi il pianoforte, a seguire la scultura, la teosofia e infine il canto; nessun medium espressivo attecchisce in via definitiva sul suo ego volubile, saturnino, incline più alla frustrazione che al compiacimento. Il sacrificio, lo studio, la dedizione corrono paralleli all’urgenza creativa. Sidonia è sola, tremendamente sola, introiettata nell’esercizio esclusivo della sua arte. Quando sente avvicinarsi la perfezione (o qualcosa che rassomiglia alla perfezione) è proprio allora che sente di doversene allontanare, improvvisamente preda di una oscura demotivazione. In Sidonia – spaesato féminin in precario equilibrio tra ‘800 e ‘900, creatura in fieri cui la modernità fatica a consegnare nuovi ruoli e identità sociali – Radclyffe Hall concentra potenza e vaghezza. Determinazione e smarrimento, finemente intrecciati, stentano a sciogliersi. Sidonia appartiene a un altro mondo. È nata per essere qualcos’altro. Qualcun’altra. L’arte le offre l’alibi perfetto, ma il gioco dura quel che dura. Troverà pace, alla fine, o si illuderà di trovarla, con il matrimonio e la maternità, posizionandosi nel presepio canonico.

Al fianco di Sidonia, oltre a una madre accondiscendente e svanita, c’è l’attempata Frances, un’amica di famiglia. Sorta di alter ego dell’autrice, Frances è innanzitutto una donna a cui non interessano gli uomini. Una donna che vive sola, legge molto e veste in modo sobrio ostentando uno spiccato allure maschile. L’identità e l’orientamento sessuale di Frances sono lasciati intendere ma mai esplicitati. Apostrofata ironicamente con l’epiteto di vecchio pellicano (allusivo alla sua omosessualità vera o presunta), Frances non fa nulla né per rivelarsi né per nascondersi, a suo agio in una pacificata neutralità. Saggia consigliera e angelo custode dell’inquieta Sidonia, Frances resta una figura sullo sfondo, un profilo che emerge solo tra le righe. Il malcelato lesbismo di Frances è consegnato a un che di impronunciabile, sorta di contraltare della vaghezza che avvolge Sidonia. Siamo nel 1925, nell’austera e rigida Inghilterra, dove certi argomenti li si poteva appena sfiorare. Le pagine più audaci e coraggiose del romanzo sono quelle del nono capitolo. Qui una Sidonia diciassettenne, schietta e senza peli sulla lingua, esclama: «…Se lei fosse un uomo la sposerei, Frances. Mi innamorerei di lei, se lei fosse un uomo.» Ma verso gli uomini Sidonia non aveva mai nutrito il ben che minimo interesse, neanche la più pallida curiosità (e sì che la madre si era tanto adoperata nell’invitare in casa tutti i giovani rampolli di Kensington e dintorni pur di distoglierla da quelle sue stranezze artistiche). Gelosa dell’amicizia di Frances con sua madre, una cordiale amicizia di lunga data, Sidonia ne rivendica sfacciatamente l’esclusività. «Mi baci, Frances. (…) so che lo desidera profondamente.» E ancora «Frances, perché lei non prova ad amarmi?» Sebbene affascinata e stregata dalla prorompente bellezza della sua giovane protetta – figura slanciata, occhi verdi e capelli color del rame: un’icona preraffaellita – Frances la respinge con garbo. La reciprocità è sottintesa ma trattenuta. Tra le due, nello spazio insondato di questa distanza, si consolida un legame di sincero affetto. Ma Frances (come la danza, il pianoforte, la scultura…) non tarderà a rivelarsi l’ennesima passione passeggera dell’inconsolabile e lunatica Sidonia, così repentina e imprevedibile negli slanci e nelle ritirate. Il fuoco divampa e poi si estingue, ma le ceneri crepitanti chiamano altra fiamma. Quando Sidonia lascia Londra per studiare scultura a Firenze (un altro dei suoi capricci), Frances decide di accompagnarla. Sinceramente preoccupata – Sidonia è un pericolo per sé stessa – ne diventa una specie di tutrice. La ragazza va spronata, incoraggiata, seguita. Sarebbe davvero un peccato se tutto quel talento andasse sprecato. Che almeno si focalizzasse su qualcosa di definitivo invece di saltare da un’aiuola all’altra. Ora toccava alla scultura, e qual miglior luogo se non Firenze, la culla del Rinascimento, per approfondirla in tutte le sue sfaccettature. Ma Sidonia fin dal primo giorno in terra toscana, a dispetto di tutto l’entusiasmo professato per Michelangelo, perde inspiegabilmente tutta l’ispirazione che l’aveva condotta sin lì. La frustrazione monta e così il senso di colpa per aver nuovamente disatteso le aspettative di sua madre, di Frances e di tutti quelli che avevano creduto in lei. Non sa darsi risposte, può solo accettare il mutamento. È il demone che la possiede a decidere per lei? Il suo destino è fatto solo di vicoli ciechi? Di opere incompiute? Di percorsi interrotti? C’è forse un incantesimo che tiene in scacco Sidonia, condannandola a riformularsi attraverso mille esperienze? Una risposta a questi dilemmi la fornirà un vecchio libro comprato da Frances in una libreria di via Ghibellina.

In un capitolo di questo libro, un trattato sulle diverse teorie orientali in tema di reincarnazione, Frances rimane colpita dal seguente passaggio: “Secondo una tradizione orientale la cui origine si perde nei secoli, vi sono alcuni spiriti che sulla terra si incarnano sette volte. La settima incarnazione di questi spiriti è conosciuta come Il sentiero finale, ma quelli che in Occidente sostengono questa teoria, a volte la definiscono La vita del sabato. Si dice che le persone che vivono La vita del sabato non attraversino nessuna nuova esperienza, ma che trascorrano l’intera vita in una continua prova di esperienze precedentemente acquisite. Si dice che abbiano un notevole talento in ambiti anche molto diversi tra loro; ma visto che hanno molti ricordi da rivivere non riescono a concentrarsi, a lungo, su uno solo di questi. E tutto ciò vale anche per le loro relazioni umane (…) coloro che vivono La vita del sabato (…) possono concedere appena una stretta di mano perché poi devono procedere, andare oltre.” Frances era una donna troppo intelligente per credere a simili sciocchezze, ma per scrupolo decide di far leggere il passo incriminato alla sua protetta, se non altro per tentare di riscuoterla dal suo torpore. Sidonia ne resta affascinata e, pur intimorita, finisce per riconoscervisi. «Forse dobbiamo elaborare i nostri errori così da poter migliorare attraverso di essi per una qualche esistenza spirituale.» saranno le sue parole. Il ritorno a Londra, dopo mesi di permanenza a Firenze, coincide con un’altra svolta. L’ultima. Sidonia incontra il mediocre e pragmatico David, lo sposa e mette al mondo un figlio. Questa nuova dimensione la assorbe completamente, così come in precedenza l’avevano assorbita la danza, la musica, le arti in generale. In ossequio a un progressivo abbruttimento la virtuosa e tormentata Sidonia trova definitivamente il suo posto, il suo ruolo, il suo scopo. È moglie, è madre. «…Sono al mio settimo atto, Frances» dice alludendo al vecchio libro e indicando il bambino stretto al suo seno «Non può esserci nulla dopo di lui; lui è un fine in sé, lui è la fine.» Nel «Bene, contenta tu» che le restituisce Frances c’è tutto il pensiero rivoluzionario di Radclyffe Hall.

La vita del sabato (Fandango, 2017) è stato tradotto da Claudio Marrucci. Grazie alla Fandango Libri tutta l’opera di Radclyffe Hall è in fase di ripubblicazione.

Massimiliano Sardina

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