LA FINE DI OGNI CURA
Tutto ciò che ti appartiene | Un romanzo di Garth Greenwell (Mondadori, 2017)
di Leone Maria Anselmi
su Amedit n. 32 – Settembre 2017.
Con la prima parte del romanzo, pubblicata già come racconto nel 2011, Garth Greenwell si è aggiudicato il Miami University Press Novella Prize e una segnalazione all’Edmund White for Debut Fiction Prize. Tutto ciò che ti appartiene, lavoro d’esordio dello scrittore americano nato a Louisville (Kentucky, 1978) si offre quindi come una versione estesa e ampiamente rimaneggiata di questa prima prova narrativa.
È la storia di un legame interrotto e mai più ricucito, quello tra un padre e un figlio, divisi da un evento tanto imprevisto quanto inevitabile. Al senso d’appartenenza, amorevole e rassicurante, subentra un distacco cui nulla può porre rimedio. Il passato riaffiora nel presente e determina il futuro. Greenwell dà voce a questo figlio ripudiato, allontanato, letteralmente cancellato. Ne segue i passi, le scelte, il riaffiorare doloroso dei ricordi. Tutto era filato liscio fino alla prima adolescenza, quando nulla sembrava poter intaccare quella serenità, quella complicità, la certezza della protezione paterna. «Fino all’età di otto o nove anni godetti di un accesso alla sua presenza fisica privo di sospetti o dubbi, perfino quando cominciai a notare le differenze tra il suo corpo e il mio, a notarle e interessarmi, turbato e forse attratto da quel turbamento, così che i nostri vecchi giochi (la corsa verso il bagno dopo un lungo viaggio in macchina, pisciare nello spazio ristretto spalla a spalla) divennero momenti di crescente solennità e disagio, permeati di un mistero che non riuscivo a sciogliere.» Innocente, ma non privo d’intenzione – «…perché cos’altro poteva guidarmi se non un’intenzione, un’intenzione fisica, volevo toccarlo, non con un obiettivo ma con struggimento» – il ragazzino tenta un approccio col padre nella doccia.
L’episodio segna «la fine di ogni cura». Il padre, sconvolto, lo allontana con disgusto. Dov’era l’amore s’innestò il disprezzo, via via diluito in una fredda e ostentata indifferenza. «Si coprì in fretta e uscì dal bagno senza dire una parola, ma il suo sguardo mi entrò dentro e si depositò e non se n’è più andato, ha messo radici sotto la memoria ed è diventato concezione di me stesso, concezione e aspettativa. (…) Con sé mio padre portò via il senso di protezione, la certezza del legame che avevo con lui, il primo legame.» Perdendo suo padre il ragazzino perde anche qualcosa di sé stesso, la sua consistenza reale, il suo referente affettivo, la stabilità del presente. Vivrà la sua adolescenza in questo freddo, nel disagio e nella vergogna. Un paio d’anni dopo la situazione degenera ulteriormente. Il ragazzino, ormai quasi un ragazzo, confida a un diario la sua omosessualità, e queste pagine finiscono sotto gli occhi del padre. Alla «fine di ogni cura» subentra così il ripudio vero e proprio.
Greenwell non chiama mai per nome il protagonista, sottolineandone così l’acquisita condizione di inconsistenza. Ce lo presenta venticinquenne, trapiantato a Sofia come docente di lingua inglese. Il territorio bulgaro – con la sua inquietante edilizia popolare di blokove – si fa metafora di una desolazione interiore, mai pacificata. Il giovane insegnante è lì per dimenticare e ricominciare. L’occasione, a pochi giorni dal suo trasferimento, gliela offre Mitko, un prostituto di ventitré anni (originario di Varna, una città portuale sulla costa del Mar Nero) incontrato per caso nei bagni del Palazzo della Cultura di Sofia. Mitko ha il fascino pericoloso e dolce dello sbandato balcanico, con un incisivo scheggiato che dona al suo sorriso un ché di indifeso. Vive di espedienti e delle regalie dei suoi tanti priyatel, (termine bulgaro ambiguo per designare un amico o un cliente). Attraverso il rapporto distruttivo con quest’angelo di periferia il protagonista ricostruisce, per riflesso indotto, prima il suo passato doloroso (una vera e propria elaborazione del lutto) e poi il suo futuro (l’agognata guarigione, la stabilità emotiva, la volontà di intraprendere una relazione duratura con un nuovo compagno). Il voltafaccia del padre, ferita aperta e sanguinante, si cicatrizza attraverso la messa a fuoco di una nuova consapevolezza. Sul corpo di Mitko – che dà amore in cambio di una manciata di leva – il protagonista vive la passione e il martirio. Traslazione dolorosa del corpo perduto del padre, il corpo ipersessuale del bulgaro bello e mrusen (sporco) diventa gradualmente soglia del cambiamento.
Tutto è sviscerato dalla voce nuda e sincera della narrazione in prima persona, che dettagliatamente, con lucida analisi retrospettiva, ripercorre la sua via crucis. Sulla fisicità cristica di Mitko, già segnata dalle droghe e dall’alcol, si abbatte l’infezione della sifilide. Il protagonista, contagiato anche nel corpo da questo amore malato, ricorre alle cure di rito. Comincia qui l’affrancamento definitivo da quest’altra appartenenza impossibile. La doppia figura del padre-Mitko sfuma, ma il passaggio non è indolore. Tutto ciò che ti appartiene è la storia di una riappropriazione, quella della propria consistenza, della propria felicità nel mondo. Ottimo romanzo d’esordio per Greenwell, armato di una scrittura capace, efficace, che non inciampa nelle svenevolezze della confessione.
Leone Maria Anselmi
Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 32 – Settembre 2017.
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