UN ISTINTO INTELLIGENTE
Gli animali di Frans de Waal sfidano l’intelligenza umana
di Elena De Santis
Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali? È questa la domanda che fa da titolo al nuovo saggio dell’etologo Frans de Waal, edito da Raffaello Cortina Editore. Se questa domanda può a taluni risultare già di per sé insolita e destabilizzante, dopo averla letta e meditata attentamente, anche l’altra domanda riportata in quarta di copertina risulterà meno ovvia e rassicurante, e avrà il sapore di una sfida lanciata a molte nostre convinzioni: Che cosa distingue la nostra mente da quella di un animale?
In questo suo nuovo audace libro, Frans de Waal, tra i massimi esperti nel campo dell’etologia, attraverso un’appassionante esposizione dei risultati di molte ricerche su svariate specie, invita a riconsiderare certi assunti che ci inducono a credere di essere la specie più eminente del pianeta. Lo studio del comportamento animale è da sempre stato al centro dell’interesse dell’uomo, come via per comprendere il mondo circostante; ciò che però lo ha da sempre caratterizzato è stato un approccio antropocentrico, in cui, seguendo lo schema della scala naturae descritta da Aristotele, l’uomo si è sempre posto al gradino più alto rispetto alle altre specie viventi. Da questa prospettiva abbiamo valutato ogni altro animale in rapporto a noi stessi, assumendo noi come termine di paragone e considerando quindi tutti gli altri animali più o meno intelligenti in base a quanto ci somigliassero o rispondessero alle nostre aspettative. Questo approccio ci ha impedito per molto tempo di guardare il mondo con gli occhi stessi dell’animale, cercando di capire quali fossero le sue esigenze concrete rispetto all’ambiente in cui vive, quali sfide si trovi ad affrontare e gli strumenti che ha a disposizione per farlo; ci ha impedito di cogliere la complessità di certi suoi comportamenti che vanno ben al di là dei semplici istinti elementari, e soprattutto, ci ha precluso la facoltà di comprendere e apprezzare a pieno il suo linguaggio, fatto di un altro alfabeto, altri suoni, ma non per questo meno eloquente del nostro.
Quello fra gli uomini e gli altri animali è stato un lungo e faticoso processo di riconoscimento reciproco, iniziato quando i nostri antichi antenati da cacciatori-raccoglitori cominciarono a praticare l’agricoltura e a addomesticare gli animali per ricavarne cibo e forza lavoro. Abbiamo privato molti di questi esseri della loro libertà, li abbiamo resi dipendenti da noi, assoggettandoli alla nostra volontà o sopprimendoli. A volte ci soffermiamo a osservarli in natura, restando ammirati di abilità che noi non possediamo, il più delle volte però li mettiamo in condizioni di non poter fare altro se non ciò che vogliamo. Invocando libri “sacri” che stabiliscono il nostro dominio sulla natura, non abbiamo concesso loro nemmeno un dio, perché quel dio eravamo noi; non a caso Cartesio, da buon cristiano, riteneva che gli animali fossero privi di un’anima. Perfino i padri dell’etologia Tinbergen e Lorenz partirono dal presupposto che l’uomo fosse una creatura speciale, centro e termine di paragone per tutte le altre specie, e ancora in tempi recenti molti scienziati si sono dimostrati riluttanti nell’accettare il fatto di vedere ridimensionata la nostra presunta unicità.
Fortunatamente negli ultimi due decenni, grazie a un approccio sempre meno antropocentrico, qualcosa è cambiato. Oggi molti studiosi del comportamento animale non hanno difficoltà nell’usare la parola cognitivo, e di pagina in pagina Frans de Waal ci mostra quanto importante sia stato riuscire finalmente a parlare apertamente della facoltà cognitiva degli animali; un traguardo importante e rivoluzionario che apre a nuovi ed entusiasmanti scenari nella ricerca. Gli animal studies ci mostrano ora ampie prove di quanto vasta sia l’intelligenza delle altre specie che, per troppo tempo e scioccamente, abbiamo ritenuto inferiori a noi. Più si osserva il loro comportamento, con la mente sgombra da vecchie congetture, più ci rendiamo conto quanto di loro è in noi e quanto di noi è in loro. In Il lamento del pappagallo Eugene Linden scrive: «Mi interesso anche oggi dell’intelligenza animale. Continuo a credere – eventuali psichiatri ne prendano pure nota – che gli animali ci possano aiutare a capire chi siamo e da dove derivano le nostre abilità.»
Noi non siamo più intelligenti, lo siamo soltanto in modo diverso da loro, e questo perché ogni essere vivente è portatore di un’intelligenza universale, che in ciascuna specie, poi, crea delle specializzazioni in risposta alle specifiche esigenze. Possiamo finalmente affermare senza troppe reticenze che, esattamente come noi, gli animali posseggono intelligenza e cognizione, i due elementi che insieme costituiscono la mente; che il loro comportamento è frutto di un complesso processo di elaborazione, il quale, non solo prevede la comprensione di causa-effetto, ma anche intuizione e lungimiranza. Se qualcuno avesse ancora difficoltà a capire l’intelligenza degli animali, la lettura di questo libro potrà certamente risultargli utile, oltre che appassionante.
Elena De Santis
Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 30 – Marzo 2017.
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