SULLE TRACCE DEGLI ANTENATI (Editoriale Scienza, 2017)
L’evoluzione umana spiegata ai più piccoli | Un testo di Telmo Pievani
di Cecily P. Flinn
Far comprendere l’avventurosa storia dell’umanità ai più piccoli: è questa la sfida che ha mosso la realizzazione di Sulle tracce degli antenati (Ed. Scienza, 2017), un testo di Telmo Pievani con illustrazioni di Adriano Gon e Katerina Kalc. Con un linguaggio semplice ed avvincente, senza tecnicismi da addetti ai lavori, e con un apparato iconografico semplificato in chiave ludica, tutti gli antenati di Homo sapiens fanno capolino dal grande cespuglio dell’evoluzione umana. Protagonista del viaggio è Luca, un intraprendente cucciolo di Homo sapiens, un ragazzino tremendamente curioso che vuol sapere tutto, ma proprio tutto dei suoi lontanissimi antenati.
Si parte con domande semplicissime: “Anche il nonno aveva un nonno? E prima ancora chi c’era? Siamo davvero parenti delle scimmie? E chi erano gli uomini delle caverne?…” Domande più che legittime. Luca troverà molte risposte intervistando strani parenti dai nomi impronunciabili come: Homo Neanderthalensis, Uomo di Denisova, Homo Floresiensis, Homo Erectus, Homo Ergaster, Paranthropus Boisei e tanti altri.
L’evoluzione ci ha resi speciali, un’assoluta rarità. Luca però imparerà che differiamo davvero di poco dai nostri parenti animali viventi più stretti, e che è in quel poco (una percentuale apparentemente irrilevante di DNA) che si è forgiata l’umanità. Siamo mammiferi (abbiamo il pelo e allattiamo) e apparteniamo all’ordine dei primati, un ordine che comprende le scimmie e le scimmie antropomorfe. Non abbiamo artigli ma unghie, mani prensili e pollici opponibili (caratteristiche tipiche dei primati, che mancano agli altri mammiferi). Tra i primati abbiamo caratteristiche che ci avvicinano più alle antropomorfe (ossia scimpanzé, gorilla, gibboni e oranghi) che alle scimmie. Bisogna andare indietro, molto indietro, per capire quello che è successo e quale ramificazione ci ha originati. Trenta milioni di anni fa si verificò il primo grande bivio in cui le antropomorfe si separarono definitivamente dalle scimmie africane e eurasiatiche; il processo evolutivo delle scimmie è proceduto in parallelo a quello delle antropomorfe fino ai giorni nostri, senza sostanziali innovazioni sul piano cognitivo-cerebrale. Circa venti milioni di anni fa dalle antropomorfe si separò il ramo dei gibboni, il cui DNA infatti differisce del 5% dal nostro e da quello delle altre antropomorfe. Il ramo della protoumanità si separò da quello degli scimpanzé circa sette milioni di anni fa, ed è in questa proverbiale congiuntura spazio temporale che l’uomo ancestrale ha cominciato a muovere i primi passi, dalla discesa dagli alberi alla conquista della postura eretta fino a quel prodigio della natura che risponde al nome di Homo sapiens. Nel gruppo delle antropomorfe le specie tuttora viventi più imparentate sono le due diverse tipologie di scimpanzé: lo scimpanzé comune e il bonobo (che vantano un DNA identico al 99,3%). Da bonobo e scimpanzé l’uomo diverge circa del 1,6%, mentre con il gorilla si sale al 2,3%. Detto in altre parole, condividiamo con gli scimpanzé ben il 98,4% del nostro DNA, e se ne deduce quindi che il parente più prossimo dello scimpanzé non è il gorilla ma siamo noi (un dato che fa riflettere).
Ragionando in meri termini di distanza genetica è più che lecito raggruppare uomo, scimpanzé e bonobo sotto un unico genere. L’uomo, stringi stringi, non è che una terza specie di scimpanzé. Dall’ultima grande biforcazione alla comparsa di Homo sapiens sono intercorsi milioni di anni, costellati qua e là da ulteriori diramazioni e rami spezzati, e non è stata certo un’amena e agevole passeggiata. Più volte ci siamo trovati sull’orlo dell’estinzione, discendiamo da un gruppo molto ristretto di parenti ancestrali e, con ogni evidenza, dobbiamo la nostra esistenza a una serie altamente improbabile di circostanze fortunate. Quell’intraprendenza che ci ha favoriti è la stessa che ora ci sta indirizzando alla sesta estinzione. I nostri lontanissimi antenati erano animali davvero insoliti, i primi a spingere la curiosità verso rudimentali soluzioni creative; i primi grossolani strumenti litici compaiono in Africa circa 2.500.000 anni fa. La permanenza in terra africana durò molto, molto a lungo. Un milione di anni fa i nostri antenati raggiunsero i territori più miti dell’Europa e dell’Asia, divenendo man mano la più diffusa tra le tre specie di scimpanzé. Intorno ai 100.000 anni fa la protoumanità, almeno quella neandertaliana, cominciò a utilizzare il fuoco e a sviluppare prime forme di socialità.
L’uomo moderno propriamente detto compare solo 60.000 anni fa, un uomo capace di elaborare prime forme di linguaggio, e prime forme d’arte e di tecnologia. Intorno a 10.000 anni fa, al termine dell’ultima era glaciale, la nostra ascesa accelerò. La diffusione dell’uomo nelle Americhe coincise con l’estinzione dei grandi mammiferi, e di lì a poco nacquero le prime forme di agricoltura e di addomesticazione ambientale. Non sappiamo cosa abbia causato questo improvviso balzo di grande progresso, quale scintilla abbia innescato la prodigiosa macchina di Homo sapiens; l’unico dato certo è, come abbiamo già osservato, che il nostro genoma differisce appena del 1,6% da quello dello scimpanzé. Telmo Pievani, divulgatore scientifico, è professore di Filosofia delle scienze biologiche presso l’Università degli studi di Padova. Da diversi anni dirige “Pikaia”, il portale italiano dell’evoluzione.
Cecily P. Flinn
Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 30 – Marzo 2017.
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