PARADISE
Il nuovo ep di ANOHNI
di Mario Caruso
C’è ancora troppa confusione sull’identità di Anohni, l’artista britannica naturalizzata statunitense nota al grande pubblico fino a qualche anno fa come Antony Hegarty, voce e anima del gruppo Antony and the Johnsons. Attraverso un articolato comunicato stampa, nel febbraio 2015 l’artista ha messo nero su bianco la sua scelta di abbandonare la denominazione maschile divenendo per l’appunto, attraverso un percorso transgender, Anohni. Un passaggio lungamente meditato ed infine attuato, tutt’altro che indolore, improntato più su una consapevolezza etica che su una preoccupazione estetica. La prima emissione discografica firmata Anohni è l’album Hopelessness del maggio 2016. Ora, a distanza di un anno, è la volta dell’ep Paradise, sorta di compendio del lavoro precedente. In copertina campeggiano, divisi in riquadri, i ritratti delle performer che hanno accompagnato l’artista nell’ultimo tour mondiale (tra i volti fa capolino anche quello di Anohni). Il lavoro è coprodotto con Ross Birchard (aka Hudson Mohawke) e Daniel Lopatin (aka Oneohtrix Point Never). Anohni firma tutti i testi e le musiche. L’ep si compone di sei tracce: In my dreams, Paradise, Jesus will kill you, You are my enemy, Ricochet e She doesn’t mourn her loss. La bonus-track I never stopped loving you la si può ricevere gratuitamente per mail dalla stessa Anohni, che in cambio chiede solo le siano inviati dei pensieri personali, delle riflessioni sull’incognita del futuro; quest’esigenza di condivisione, questa necessità di imbastire un dialogo reale e responsabile con il pubblico, più di ogni altra cosa ci illumina sulle ragioni profonde alla base della sua poetica.
Paradise è un disco drammatico, tragico, dalle atmosfere stranianti e a più riprese respingenti. Gli arrangiamenti, caratterizzati da una ricerca elettronica sempre più esasperata, riprendono i toni del disco precedente; certe distorsioni del suono creano suggestivi sfondamenti nella trama dei brani, che pure mantengono lacerti melodici. Il pentagramma si fa luogo del conflitto, campo di battaglia tra il bene e il male, attraversato da tremende esplosioni cui fanno seguito disarmati silenzi. La Terra è in pericolo: Anohni lo urla affacciandosi da quel paradiso capovolto che è la contemporaneità. Punta l’indice contro l’uomo distruttore, sfruttatore, seminatore di morte. La musica si fa veicolo della speranza, antidoto alla disperazione, manifesto programmatico di denuncia e riscatto. Anohni ripone una fiducia tutta speciale nelle donne: Solo un intervento da parte delle donne di tutto il mondo, con la loro conoscenza innata di interdipendenza, ascolto profondo, empatia e spirito di sacrificio, potrebbe modificare la rotta disperata della nostra specie. Nelle canzoni il messaggio è orgogliosamente militante, politicizzato. L’apertura è affidata alla lirica In my dreams, un canto d’amore struggente e rassegnato: Nei miei sogni tu non mi ami, nei miei sogni tu mi fai male, nei miei sogni tu non desideri il meglio per me… C’è dolore nei miei sogni. La voce di Anohni è quella di un angelo lacrimevole, ferito al cuore. Il suo canto è un’invocazione, una richiesta d’aiuto, la preghiera di un naufrago. Nei testi tutto oscilla tra il personale e il corale, tra la propria dimensione privata e quella globale. Il brano Jesus will kill you, tra i più potenti e pregnanti del disco, parla di chi abusa del proprio potere in nome di Gesù. In You are my enemy il canto di Anohni si fa sofferto come una preghiera. In She doesn’t mourn her loss emerge la domanda: Chi si ricorderà della Terra se non i suoi figli, cioè noi? Più concessione alla melodia in Ricochet.
Del brano Paradise, che dà il titolo all’ep, è visibile sul web il videoclip diretto dal regista Colin Whitaker e interpretato dall’attrice Eliza Douglas. Nel testo, tra i più delicati e intensi del repertorio di Anohni, prende corpo una realtà sofferente e caleidoscopica, una crying life in balia degli eventi e degli umori del mondo. Paradise nel suo complesso è un disco impegnativo, non facile da metabolizzare. Impone una riflessione amara, l’acquisizione di una consapevolezza profonda. Nel suo insieme vuol fungere da monito, da grido d’allarme sul destino precario del pianeta (minacciato su più fronti dai nuovi signori della politica). Al contempo Paradise vuole lanciare un messaggio di speranza, invitare alla cooperazione e a comportamenti responsabili. Nelle note finali del disco è presente anche un accorato intervento dell’artista aborigena Ngalangka Nola Taylor: Ci chiediamo cosa sta accadendo al nostro pianeta, mentre tutto cambia ed è in mutamento. Riusciremo mai a porre fine a questa devastazione e iniziare a lavorare per migliorare il luogo dove tutti noi viviamo? Paradise (su etichetta Secretly Canadian) è disponibile in formato lp e cd.
Mario Caruso
Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 30 – Marzo 2017.
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