WHAT EVER HAPPENED TO EMANUELA ORLANDI?
La verità sta in cielo | Un film di Roberto Faenza
di Leone Maria Anselmi
…Perché la verità è la verità, sempre la stessa, fino all’infinito.
William Shakespeare
Con La verità sta in cielo Roberto Faenza tenta di gettar luce su una delle pagine più oscure e vergognose del nostro Paese. Emanuela Orlandi: la scomparsa per eccellenza, l’incarnazione stessa del mistero rimasto insoluto, il ritratto (sfocato e lasciato sbiadire su uno scomodo manifesto) di un’Italia omertosa, corrotta dalle sacre cripte ai piani alti del potere governativo e finanziario.
Trarne un film non poteva che rivelarsi un’impresa tutt’altro che agevole, soprattutto vista la gran mole di dati (più o meno veri, più o meno verificabili) che si sono andati accumulando negli anni, trentatre anni di ricerche, di ipotesi, di ricostruzioni, di appelli televisivi, piste di volta in volta incuneatesi in vicoli ciechi e in porte sbarrate, indagini su indagini che, alla fine, hanno sollevato solo polvere. Tratto dal romanzo di Vito Bruschini La verità sul caso Orlandi (Newton Compton, 2016) il film di Faenza rinuncia alla rigidità del film-documentario; il regista sposa dichiaratamente una pista ma ne suggerisce al contempo anche altre (e va da sé che il titolo del film, di sapore shakespeariano, è fin troppo chiaro al riguardo). Il titolo si riallaccia inoltre alla frase sibillina sussurrata da Papa Bergoglio al fratello di Emanuela (Pietro Orlandi), ossia: «Manuela sta in cielo.» (per la serie chi vuole intendere intenda). Nei titoli di testa compare, emblematico incipit, l’aforisma di Oscar Wilde: «La verità è raramente pura e non è mai semplice.», una sorta di frase-scudo attraverso la quale il regista (anche sceneggiatore) prende le distanze da ogni posizione univoca.
La struttura narrativa del film si snoda dalla riapertura del caso Orlandi nel 2008, a seguito dell’indagine condotta dalla giornalista Raffaella Notariale. Mischiando personaggi reali a fittizi, Faenza tratteggia la figura di un capo redattore inglese che incarica una collega giornalista di indagare in Italia sul caso Orlandi (nell’ambito di un’indagine che, partendo dalla scomparsa di Emanuela, culmina negli intrighi di Mafia Capitale); la giornalista inglese entra in contatto con la Notariale, che le gira le videoregistrazioni delle interviste a Sabrina Minardi, compagna storica di Renatino De Pedis. Ecco svelata la pista investigativa sposata dal film, quella dove, con molta probabilità, si nasconde la verità sulla scomparsa di Emanuela. Una brutta storia di poteri forti in combutta su accordi loschi per grosse somme di denaro, con in mezzo una ragazzina probabilmente usata come mezzo di scambio, colpevole solo di essere una cittadina vaticana. Da un lato le eminenze grigie del Vaticano e dell’alta finanza – con personaggi sinistri come l’intoccabile monsignor Marcinkus, il presidente della Cei cardinal Poletti (che autorizzò la sepoltura di De Pedis nella cripta della Chiesa di Sant’Apollinare), don Vergari (altro figuro ambiguo, confessore del De Pedis), e il banchiere Calvi (suicidato nel 1982) – e dall’altro personaggi gravitanti intorno alla famigerata Banda della Magliana (in primis il boss Enrico De Pedis, meglio noto come Renatino). Nel film è la Minardi a rievocare quanto è accaduto alla povera ragazza, rapita e fatta poi scomparire dal De Pedis e dai suoi scagnozzi. Qualcosa, tenta di spiegare la Minardi, deve essere andato storto, e alla fine il corpo esanime della ragazza è stato occultato nel cemento di un palazzo in costruzione. La Minardi parla di eventi verificatisi trent’anni prima. Dirà il vero? Chi può stabilirlo? Non c’è nulla di concreto che possa comprovare le sue parole, e d’altra parte la salute mentale della donna è tale da minarne ogni pretesa di attendibilità.
Quel che è dato asserire con assoluta certezza è quanto segue: Emanuela Orlandi – quindici anni, cittadina vaticana, figlia di un messo pontificio – ha fatto perdere le sue tracce il 22 giugno 1983. Aveva da poco terminato il secondo anno del Liceo Scientifico al Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II; studentessa responsabile e diligente, da anni frequentava anche una scuola di musica in piazza Sant’Apollinare. Il giorno della scomparsa uscì dalla consueta lezione di musica alle 19.00; è accertato che telefonò a casa e che parlò con la sorella, accennandole di aver ricevuto una proposta di lavoro come promotrice di cosmetici, da svolgersi per poche ore e con un ottimo guadagno nell’atelier delle note Sorelle Fontana. Fu questo il suo ultimo contatto con la famiglia. Dopo la telefonata, stando alle testimonianze, raggiunse due amiche alla fermata d’autobus di Corso Rinascimento (e anche a queste riferisce dell’allettante proposta). Alle 19,30 le ragazze salgono sull’autobus, mentre Emanuela preferisce aspettare quello successivo. Di qui il buio totale. Un’altra testimonianza ritenuta attendibile riferisce di una BMW di colore scuro sulla quale sarebbe stata vista salire Emanuela. Anni di indagini, senza mai pervenire a nulla. Nel maggio 2016 la Cassazione ha confermato l’archiviazione dell’inchiesta; alla notizia Pietro Orlandi, che mai ha smesso di lottare per ritrovare la sorella, ha dichiarato: «Nessun potere, per quanto forte sia, potrà fermare la verità, anche se rimarrà una sola persona a difenderla e a pretenderla.» Faenza chiude significativamente il film con una scena girata nel Museo dell’Arte Classica della Sapienza di Roma, tra i calchi di originali perduti, come perduta è la povera Emanuela. L’inquadratura si ferma poi sulla Nike di Samotracia (il cui originale è al Louvre), la celebre statua ellenistica che scomparve misteriosamente dall’isola di Rodi per numerosi secoli, e che poi altrettanto misteriosamente riapparve il 15 aprile 1863.
Leone Maria Anselmi
Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 29 – Dicembre 2016.
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