UN CITTADINO DI NEWCASTLE | Io, Daniel Blake | Un film di Ken Loach, il cantore degli invisibili

io_daniel_blake_ken_loachUN CITTADINO DI NEWCASTLE

Io, Daniel Blake | Un film di Ken Loach, il cantore degli invisibili

di Mario Caruso

 

Se c’è un regista che ha fatto dell’impegno civile e della lotta contro le ingiustizie e le disuguaglianze il motore della sua ricerca espressiva, quello è sicuramente l’inglese Ken Loach. Classe 1936, con cinquant’anni di cinema alle spalle, Loach è ancora oggi capace di trarre ispirazione dalle storture della realtà e di dar voce al grido soffocato delle minoranze svantaggiate. Nella figura di Daniel Blake – un cinquantanovenne di Newcastle, di professione carpentiere – Loach stigmatizza l’archetipo del cittadino medio che invano cerca di stabilire un dialogo sensato con la diabolica-burocratica macchina statale. Daniel Blake ha sempre svolto onestamente il suo lavoro, uno di quei mestieri cosiddetti usuranti che con l’andare degli anni finiscono per informare il corpo di acciacchi e malesseri cronici, finché un giorno accade l’irreparabile: un infarto. Per fortuna viene soccorso in tempo, pericolo scampato, ma il medico gli consiglia di prendersi una lunga pausa dal lavoro in prospettiva di una completa guarigione. Ed è qui che comincia l’odissea di Daniel Blake. Improvvisamente la sua vita (la sua dignità di persona) viene fagocitata dalle burocrazie digitalizzate. All’inizio, con la schietta ingenuità che gli è propria, comunica allo sportello della previdenza sociale la sua situazione, certo di poterla risolvere con grande facilità; non potendo lavorare per problemi al cuore (così c’è scritto a chiare lettere sul suo certificato medico, controfirmato dal fisioterapista) ha bisogno di un’indennità di malattia, ossia di un assegno di mantenimento da qui al giorno in cui sarà dichiarato in grado di poter ritornare alle sue mansioni. E fin qui il discorso sembra non fare una piega. Si dà il caso però che la commissione preposta ad esaminare il suo caso gli riconosce solo 12 punti sui 15 necessari per ottenere l’agognato assegno. Per Blake è una tragedia: di che vivrà? È malato, non può lavorare, ma non è sufficientemente malato per poter incassare l’assegno. La vicenda è paradossale, ma sono storie che in Gran Bretagna (come altrove) si verificano all’ordine del giorno, storie che testimoniano quanto drammaticamente profondo sia il divario tra lo Stato sociale e i cittadini. Blake cerca invano nello Stato un interlocutore.

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Il film si apre con una conversazione telefonica tra Blake e una rappresentante dell’assistenza sanitaria, più che un dialogo un monologo, le richieste sensate di un cittadino in evidente difficoltà che vanno a rimbalzare su un muro di gomma. Molto significativamente Loach gira questa sequenza al buio, sullo scorrere dei titoli di testa. Lo stesso buio, freddo e inespressivo, lo ritroveremo nell’illuminazione al neon degli uffici pubblici, non-luoghi dell’indifferenza e della spicciola solidarietà di Stato. È in uno di questi asettici gironi che la strada di Daniel Blake si incrocia con quella di Katie, una giovane madre con due bambini al seguito, anche lei vittima di un aiuto mancato da parte della previdenza sociale. Tra i due si crea un legame di mutua solidarietà, un legame umano, genuino (contraltare di quell’omissione di soccorso legalizzata incarnata dallo Stato). Pur trovandosi in difficoltà Blake si fa in quattro per aiutare la donna, e non tarda a conquistarsi anche l’affetto dei figli. In questa famiglia sfortunata, ai margini, in coda anche per gli aiuti alimentari, Blake trova un’isola felice, uno scampolo d’umanità. Insieme tirano a campare, sotto lo sguardo pigro e sadico dell’ente di turno che gli rifila l’ennesimo modulo da compilare, rigorosamente online. Ecco l’altro demone che preme sul cuore malandato di Blake: la digitalizzazione. Non avendo dimestichezza con i computer l’uomo è doppiamente tagliato fuori, e ridicolizzato per questa sua incapacità (per molti della sua generazione la compilazione di un curriculum online o di qualsivoglia altra documentazione rappresenta un ostacolo insormontabile). L’impiegata allo sportello (il ritratto dell’emotività anestetizzata dalla burocrazia) gli indica l’ultima via percorribile: fare ricorso. I tempi tecnici si rivelano lunghi, e Blake nel frattempo è costretto a vendersi il mobilio. Quel poco che ha lo divide con Katie e i bambini. Con carta e penna, trasgredendo gli obblighi digitali, l’uomo (stanco, spossato, umiliato) scrive una lunga lettera con il proposito di leggerla davanti alla commissione esaminatrice. Il giorno della convocazione, prim’ancora di potersi sedere di fronte ai suoi giudici, verrà colto da un secondo infarto, questa volta fatale. Nella sua lettera Daniel Blake aveva scritto: «…Non sono un numero della previdenza sociale. Io sono un cittadino, niente di più niente di meno.»

La denuncia di Loach è netta: le politiche per il Welfare nella moderna e civile Gran Bretagna fanno acqua da tutte le parti, le tutele sono insufficienti e nella stragrande maggioranza dei casi si rivelano lesive della dignità umana. Daniel Blake si fa vittima sacrificale di una legge arrogante e truffaldina, invischiata nelle maglie di una burocrazia mostruosa e disumana. Loach si riconferma cantore degli invisibili, e ancora una volta lo fa con il suo inconfondibile linguaggio poetico, a tratti delicatamente melodrammatico, calato nella realtà con accorata militanza.

Mario Caruso


cover_amedit_dicembre_2016_webQuesto articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 29 – Dicembre 2016.

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