7 MINUTI DI DIGNITÀ | 7 Minuti | Un film di Michele Placido

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7 Minuti | Un film di Michele Placido

di Claudio Zamboni

A cosa siamo disposti a rinunciare pur di mantenere il nostro posto di lavoro? È intorno a questa domanda che oggigiorno si gioca la partita tra “padroni” e dipendenti. La rinuncia è il denominatore comune di ogni contrattazione aziendale, un continuo gioco al ribasso che di volta in volta vede finire sul tappeto tutti i diritti acquisiti dai lavoratori. Lo smantellamento di questi diritti è il segno tangibile di un decadimento sociale che colpisce proprio chi dovrebbe rappresentare il nervo portante della società. Oggi questo nervo è scoperto, esposto agli attacchi delle sanguisughe di turno, lasciato solo a lottare in un gioco impari all’interno del quale non gode più di alcuna vera tutela. Sono sole le undici protagoniste operaie del film di Michele Placido, 7 minuti; sole nel chiuso di una grigia fabbrica italiana, mentre si sta celebrando al suo interno la cessione di importanti quote aziendali a un colosso estero. La nuova proprietà francese ha il volto sorridente e rassicurante di Madame Rochette (Anne Consigny), l’elegante signora venuta a formalizzare il subentro e che si intrattiene qualche istante prima con le operaie dispensandogli saluti e convenevoli. Si arriva frettolosamente al brindisi che suggella l’accordo con la vecchia proprietà italiana, simpaticona e accomodante; tutto sembra essere andato liscio e senza intoppi, ma qualcosa in quel clima di generale euforia non sembra convincere Bianca (Ottavia Piccolo), la portavoce delle operaie che rimane per tutto il tempo in silenzio, quasi pietrificata. Si avverte in lei un certo senso di sbigottimento e impotenza. Alla fine dei festeggiamenti le vengono consegnate undici buste, una per ciascuna componente del consiglio di fabbrica che lei rappresenta. Dentro quelle buste c’è l’unica condizione dettata dai nuovi proprietari per riconfermare tutte le trecento operaie mantenendo inalterati i loro contratti di lavoro. Le viene dato pochissimo tempo per riferire alle altre e per decidere se accettare o meno. Quell’urgenza, quel lacerto di tempo lasciato a loro per prendere la decisione dà la misura di una richiesta che è in fondo perentoria, relega le operaie al più infimo grado della gerarchia aziendale, le incita a una risposta immediata, d’istinto, bypassando ogni facoltà riflessiva o possibilità di discussione.

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Quando Bianca comunica alle altre che il posto di lavoro è salvo queste esultano, ed esultano anche tutte le altre operaie che attendono ansiose fuori, assediate da giornalisti. Ma l’espressione del volto di Bianca, il tono di voce con cui dà quella che dovrebbe essere una bella notizia tradiscono che c’è qualcos’altro, qualcosa su cui loro dovranno discutere attentamente e che si cela dentro quelle buste. Le aprono, leggono, qualcuna ride, qualcun’altra pensa sia solo uno scherzo. La condizione posta dalla nuova proprietà è la rinuncia da parte loro a 7 minuti della pausa pranzo. 7 minuti per salvare il proprio posto di lavoro: un’inezia, insomma, di fronte al ben più grave timore di essere lasciate a casa. Tutte alla fine sono propense ad accettare quella piccola postilla, ma per la decana Bianca quei 7 minuti sembrano comportare una rinuncia troppo gravosa. La musica si interrompe, d’ora in poi a far da colonna sonora del film sono solo le voci delle undici donne che discutono animatamente. Undici temperamenti e altrettante storie individuali che man mano emergono a rappresentare uno spaccato della società contemporanea. Alcune di loro sono straniere, provenienti da paesi a tutele zero, e quindi più inclini a svendersi pur di lavorare, altre sono troppo giovani per comprendere il valore di certi diritti acquisiti con dure lotte del passato e perciò più disposte a cederli senza pensarci troppo. Il confronto si polarizza tra la ratio e l’istinctus. Alla riflessiva Bianca fa da contraltare l’istintuale Angela (Maria Nazionale), che ragiona di pancia scagliandosi con veemenza contro chi vorrebbe concedersi un attimo per riflettere su una questione che riguarderà non solo loro, nell’oggi, ma anche le future generazioni di operai. Perché una concessione fatta oggi da loro crea un precedente per altre concessioni che dovranno fare altri dopo di loro. Da decana del gruppo, Bianca ricorda come la pausa si è andata nel tempo via via assottigliando sempre più; 7 minuti in meno per loro possono essere una sciocchezza ma moltiplicato per trecento operaie in un anno fanno 900 minuti di lavoro in più di cui l’azienda beneficia senza aver assunto nuove persone o addirittura potendo valutare in futuro eventuali esuberi tra loro. L’astuzia sta proprio qui, nell’aver avanzato una richiesta apparentemente ridicola, ma che in verità fa parte di un gioco tattico attraverso il quale l’azienda le sta mettendo alla prova per vedere fin dove può arrivare.

La storia delle tessitrici di Yssingeaux è paradigmatica di una situazione quanto mai diffusa e attuale. Già tradotta una prima volta per il teatro, su testo di Stefano Massini con la regia di Alessandro Gassmann, nel film di Placido trae forza dall’ottima resa attoriale delle protagoniste, che oltre alle già citate vede Cristiana Capotondi, Violante Placido, Clémence Poésy, Balkissa Maiga, Luisa Cattaneo, Erika D’Ambrosio e Sabine Timoteo. Menzione a parte meritano l’inedita Ambra Angiolini, nel ruolo di una boxeur borgatara, e Fiorella Mannoia nel suo ben riuscito esordio d’attrice.

Claudio Zamboni


cover_amedit_dicembre_2016_webQuesto articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 29 – Dicembre 2016.

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