BEATRICE CENCI | La violenza di un padre, la vendetta di una figlia

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BEATRICE CENCI

La violenza di un padre, la vendetta di una figlia

 

di Giuseppe Maggiore

illustrazioni di Iano

(Su Amedit n. 28 – Settembre 2016) 

 

Nella Galleria nazionale d’arte antica di Roma è conservato un bel ritratto del 1600 circa attribuito a Guido Reni. L’opera ritrae una sibilla dal volto soave e melanconico. Secondo un’antica tradizione questo sarebbe il ritratto di Beatrice Cenci, nobildonna romana vissuta alla fine del Cinquecento. La leggenda narra che l’artista l’avrebbe immortalata pochi istanti prima della morte, avvenuta all’età di appena ventidue anni. Il volto languido della giovinetta ispira sentimenti di tenerezza, ma dietro c’è tutto il dramma di un destino ingrato, tutto il dolore di una virtù brutalmente oltraggiata. La bella Beatrice era stata in verità tutt’altro che una ragazza dal temperamento passivo e diede prova del suo carattere forte e determinato nel corso del controverso caso giudiziario che la vide protagonista nella Roma papalina di Clemente VIII. Le tormentate vicende che la condussero fino al tragico epilogo della sua breve esistenza le avevano guadagnato l’amore e l’ammirazione del popolo romano. Dopo la morte, la sua fama crebbe ancor di più, grazie a celebri artisti e scrittori che con le loro opere la immortalarono consegnandola per sempre alla leggenda. In breve Beatrice divenne un’eroina popolare, una vera e propria icona femminista ante litteram.

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Nata a Roma il 6 febbraio del 1577 da Francesco Cenci ed Ersilia Santacroce, Beatrice avrebbe potuto avere una vita agiata e felice poiché la sua era una delle famiglie più ricche e in vista della città. Finirà invece i suoi giorni nelle carceri di Corte Savella, sottoposta ad atroci torture, e infine giustiziata a ponte Sant’Angelo, l’11 settembre del 1599. Su di lei l’accusa di aver ordito il piano per l’uccisione del padre, barbaramente assassinato la notte del 9 settembre 1598. Vennero giustiziati in qualità di complici anche il fratello maggiore Giacomo e la matrigna Lucrezia Petroni; solo il fratello Bernardo ebbe salva la vita per riguardo alla sua giovane età. Il cadavere di don Francesco era stato rinvenuto tra i rami di un albero di sambuco, ai piedi della Rocca della Petrella (nei pressi di Rieti) col volto sfigurato e le gambe spezzate. In un primo momento si era pensato a una disgrazia, ma le successive indagini stabilirono trattarsi di omicidio. Beatrice si era servita di due sicari, Olimpio Calvetti (suo presunto amante, nonché castellano dei Cenci) e Marzio Catalano. I due assassinarono la vittima durante il sonno. Per inscenare la disgrazia, procedettero poi ad aprire uno squarcio tra le tavole del balcone che conduce al gabinetto, e da lì lo scaraventarono giù. A  nulla erano serviti gli indugi iniziali da parte dei due sicari, colti da sensi di colpa; Beatrice, animata da fredda determinazione, li costrinse ad attuare fino in fondo il piano stabilito. Recuperato il corpo si procedette subito alla sepoltura nella chiesetta di Santa Maria alla Petrella. Alle grame esequie non assistette nessuno dei familiari, che anzi si affrettarono a fare rientro a Roma insieme a Olimpio. Saranno  proprio questa improvvisa partenza e l’assenza ai funerali, ad attirare su di loro i primi sospetti, e a portare all’inchiesta che svelerà i retroscena di questa agghiacciante vicenda. A processo avviato, i due esecutori materiali del delitto morirono a breve distanza l’uno dall’altro: Olimpio, datosi alla macchia, venne assassinato a colpi di accetta in un agguato, mentre Marzio, reo confesso, morì in circostanze misteriose dentro la sua cella. Nel tentativo di discolparsi, i Cenci cercarono quindi di scaricare l’intera colpa su chi ormai non poteva più parlare, ma fu tutto invano. Sottoposti alle torture uno ad uno confessarono.

Perché tanta crudeltà? Cosa può aver spinto una figlia a nutrire tanto odio verso il padre? E perché tutta la famiglia si rese sua complice?

Francesco Cenci doveva la sua ricchezza alla vastissima fortuna ereditata dal padre Cristoforo; costui aveva accumulato l’ingente patrimonio soprattutto durante la sua carica di tesoriere della Camera apostolica, senza disdegnare mezzi illeciti quali l’usura e le malversazioni. La nobiltà dei Cenci era perciò figlia della corruzione e del malaffare. Lo stesso Francesco si era presto distinto per il suo temperamento turbolento che lo aveva più volte portato ad avere problemi con la giustizia. Rimasto vedovo da Ersilia di Santa Croce, e con un seguito di ben quattordici figli, tra legittimi e illegittimi, convolò subito dopo a nuove nozze con la vedova Lucrezia Petroni, madre a sua volta di altri sei figli. Uomo tanto ricco quanto avaro, Francesco si dimostrò incapace di nutrire il benché minimo affetto nei confronti dei suoi stessi figli; li detestava e si sottraeva anche ai più elementari doveri di padre. Spesso, per mantenersi, i figli erano costretti a sottrargli il denaro di nascosto e arrivarono a intentargli causa per ottenere gli alimenti. All’architetto cui aveva affidato la costruzione di una chiesetta con annessa cripta mortuaria, nel cortile del suo magnifico palazzo, aveva confidato con un ghigno malefico: «È là che spero di metterli tutti». Quando difatti i figli Cristoforo e Rocco vennero uccisi a un anno di distanza l’uno dall’altro, li fece seppellire lì senza sborsare un solo baiocco per le spese di chiesa e guardando compiaciuto i loro due corpi stesi in fondo alla cripta esclamò che sarebbe stato pienamente soddisfatto solo quando avrebbe visto tutti i figli ancora viventi deposti al loro fianco. Uomo di bell’aspetto, sanguigno e tracotante, era un essere oltremodo tirannico e dal carattere indicibilmente volgare, più volte denunciato per maltrattamenti dai suoi inservienti, che spesso bastonava selvaggiamente anche per futili motivi. La sua indole violenta non risparmiava i suoi stessi familiari, che anzi subivano più di tutti le sue vessazioni. Trattava moglie e figlie come schiave e godeva nell’umiliarle. Era stato protagonista di una delle vicende giudiziarie più torbide di Roma, quella dei “Balletti rosa”: convegni lussuriosi che avevano luogo ogni notte nel suo bel palazzo, con giovani maschi e femmine che reclutava per le vie della città, a cui pretendeva prendessero parte anche la moglie e la servitù. Le sue turpitudini si spinsero fino all’incesto. Tentò di abusare di sua figlia Beatrice, cercò più volte di coinvolgerla in quei “balletti rosa”, ma senza riuscirci. La povera Beatrice non era riuscita a sottrarsi però alle continue percosse, alle tante angherie, agli stenti che le fece patire per tutta la vita. L’unico periodo tranquillo della sua vita Beatrice lo visse tra le mura di un modestissimo monastero dove lui la tenne per otto anni insieme alla sorella Antonina. Rientrata in famiglia si aprì per lei un’altra prigione, quella di Rocca della Petrella, dove il padre-padrone la tenne segregata insieme alla moglie. Qui le due donne vivevano separate da tutto, prive d’ogni contatto con il mondo esterno e sottoposte a continue violenze. Questo, in breve, è il ritratto che si può tratteggiare di Francesco Cenci.

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La giovane Beatrice, a lungo brutalizzata, aveva visto cadere nel vuoto le sue tante richieste d’aiuto inoltrate per lettera ai parenti, e in cuor suo non intravedeva più alcuna via d’uscita. Non si lasciò però sopraffare dallo sconforto, scelse di reagire e lo fece con estrema fermezza e inaudito coraggio. Uccidere il padre le sembrò l’unica soluzione possibile per riconquistare la libertà. Beatrice si macchiò del sangue del proprio padre e alla fine pagò con la sua stessa vita questo terribile gesto. Il suo fu un atto insieme di coraggio e di disperazione. All’esecuzione assistette un’immensa e commossa folla, che reclamava la clemenza del Pontefice, ma questi pretese per lei una pena esemplare che servisse da monito al popolo, e alla fine incamerò tutti i beni della famiglia. Beatrice andò fiera al patibolo senza mostrare il benché minimo accenno di paura, come stesse andando incontro alla sua tanto agognata libertà. Il suo povero corpo venne sepolto nella chiesa di S. Pietro in Montorio, dove riposò fino al 1798, quando venne profanato e disperso. Secondo un’antica credenza popolare la notte tra il 10 e l’11 settembre di ogni anno appare sul ponte Sant’Angelo il fantasma di Beatrice Cenci. Forse un modo, questo, con cui la pietà del popolo romano vuole conservare il caro ricordo che ha di lei.

A rendere però davvero immortale Beatrice è l’essere stata una donna capace di reagire, sola contro tutti, sfidando l’autorità del padre oppressore e l’intera società del suo tempo. Ancora oggi, in tempi di femminicidi, la sua figura può dirsi davvero rivoluzionaria ed essere da modello per tante donne che stupidamente si immolano ai loro carnefici. Beatrice non era certamente tipo da “sindrome della crocerossina”, non aveva mai pensato che suo padre potesse cambiare, né tantomeno sperato di riuscire a farlo cambiare lei. Uccidere o essere uccisa; in casi come il suo non c’è altra via d’uscita. Perché, come Stephen King fece dire alla sua Dolores Claiborne: «Certe volte fare la carogna è tutto quello che resta a una donna».

Giuseppe Maggiore

LETTURE CONSIGLIATE DA AMEDIT:

OPERE SU BEATRICE CENCI:

LETTERATURA

The Cenci, tragedia di Percy Bysshe Shelley (Roma, 1819);

Les Cenci, racconto di Stendhal (Chroniques Italiennes, 1829);

Beatrix Cenci, tragedia di Astolphe de Custine (1833);

Beatrix Cenci, tragedia in versi del poeta polacco Juliusz Słowacki (1839);

Beatrice Cenci, racconto di Francesco Domenico Guerrazzi (1854);

Les crimes celebres: Les Borgia; La marquise de Ganges; Les Cenci, serie di racconti di Alexandre Dumas padre (1856);

Nemesis, tragedia di Alfred Nobel (1896);

Les Cenci, tragedia di Antonin Artaud (1935);

Beatrice Cenci, tragedia di Alberto Moravia (“Botteghe Oscure”, 1955);

A tale for midnight, novella di Fredrich Prokosch (1955);

Beatrice Cenci, tragedia storica in cinque atti di Umbero Liberatore. Milano, M. Gastaldi, 1957.

Si accende il giorno: la tragedia di Beatrice Cenci, racconto di Domenico Di Cesare (2006);

Il testamento di Nobel, romanzo poliziesco di Liza Marklund (2006).

MUSICA

Beatrice Cenci, opera in tre atti di Giuseppe Rota su libretto di Davide Rabbeno;

Beatrice Cenci. Tragedia in tre atti di Vittorio Viviani. Riduzione per canto e pianoforte di Renato Parodi. (Milano, Suvini Zerboni, 1942);

Beatrice Cenci, opera in tre atti di Luigi Sante Colonna. Prima Esecuzione 1948;

The Cenci, dramma musicale in otto scene di Havergal Brian del 1951-52, ispirato alla tragedia di Shelley.

Beatrix Cenci, opera in due atti di Alberto Ginastera, su libretto di William Shand e Alberto Girri. Prima esecuzione il 10 settembre 1971;

Beatrice Cenci, opera in tre atti di Berthold Goldschmidt, su libretto di Martin Esslin. Prima esecuzione il 30 agosto 1994;

Beatrice Chancy, opera da camera in due atti del 1999, composta da James Rolfe, su libretto di George Elliot Clarke. La vicenda, ispirata alla tragedia di Shelley, è ambientata nella Nuova Scozia del XIX secolo, negli ultimi giorni della schiavitù.

Beatrice Cenci, dramma musicale in due atti di Alessandro Londei e Brunella Caronti. Prima esecuzione a Roma nel 2006;

Beatrice Cenci, musical di Simone Martino e Giuseppe Cartellà, regia di Davide Lepore. (Roma , 2014-2015).

CINEMA

Beatrice Cenci, di Mario Caserini (1909)

Beatrice Cenci, di Ugo Falena (1910)

Beatrice Cenci, di Baldassarre Negroni (1913)

Beatrice Cenci, di Baldassarre Negroni (1926)

Beatrice Cenci, di Guido Brignone (1941)

Beatrice Cenci, di Riccardo Freda (1956)

Beatrice Cenci, di Lucio Fulci (1969)

Vittima degli eventi, di Claudio Di Biagio (2014), film basato sul fumetto italiano Dylan Dog. Beatrice compare come fantasma con la testa mozzata, e la protagonista femminile è la sua reincarnazione.

TELEVISIONE

Caravaggio miniserie RAI di Angelo Longoni (2007). Con riferimenti a Beatrice, interpretata da Maria Elena Vandone.


amedit_settembre_2016_preciousQuesto articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 28 – Settembre 2016.

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