SCATOLE NERE | Perfetti sconosciuti | Un film di Paolo Genovese

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Perfetti sconosciuti | Un film di Paolo Genovese

di Pietro Valgoi

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Scatole nere. È tutto lì dentro. Le vite, ma soprattutto le doppie vite, le triple, le quadruple, tutto compresso nello spazio claustrofobico e asfittico di un Iphone ultrapiatto. Questi apparecchi di ultimissima generazione (per carità, non chiamateli più cellulari) per fette sempre più consistenti di società – dalle nuove generazioni digitali dei teen-emoticon alle fasce più agées (quelle che hanno saputo mantenere il passo con la tecnologia) – hanno assunto ormai valenza di protesi, un grottesco prolungamento della personalità e al contempo un filtro edulcorante, una maschera che a intermittenze fuorvia e rivela. C’erano una volta i diari segreti, assicurati da piccoli lucchetti dorati. Oggi i segreti, occultati da blindatissime (apparentemente inviolabili) password, viaggiano sulle fibre ottiche e sui fili invisibili delle condivisioni digitali, segreti evidentemente inconfessabili al di fuori dello spazio virtuale di una sim, sconfinate solitudini che cercano ristoro in una hot line o in una relazione clandestina (il tutto scrupolosamente tenuto a debita distanza dalla vita ordinaria, dal ritratto ufficiale esibito in famiglia, in ufficio, nella vita reale). Nella commedia amara di Paolo Genovese i perfetti sconosciuti sono quelli che credono di conoscersi e in realtà non si conoscono affatto, amici di vecchia data o coppie più o meno stabili di fidanzati, personaggi di un presepe che è tale solo quando le luci sono accese. La sceneggiatura (scritta a più mani da Filippo Bologna, Paolo Costella, Paolo Genovese, Paola Mammini e Rolando Ravello) poggia su una struttura di dichiarato impianto teatrale. Una tipica cena tra amici in un bell’appartamento di Roma nord. La fascia d’età è quella tra i trenta e i quaranta, o giù di lì. Tanto per rompere la routine, tra una pirofila e una bottiglia di vino, la padrona di casa (un po’ per noia e un po’ per sfida) propone uno strano gioco: tutti i telefonini in tavola, con l’obbligo di condividere tutte le telefonate in viva voce e tutti gli sms. Cosa si ha da temere se non si ha nulla da nascondere? Le espressioni di malcelato disagio si stemperano in una finta disinvoltura. Uno a uno gli invitati consegnano il proprio apparecchio (anche perché non farlo desterebbe sospetti, quindi meglio adeguarsi, e sperare di non ricevere telefonate compromettenti proprio in quel breve frangente). L’imbarazzo è palpabile. Senza Iphone ciascun personaggio è grottescamente vulnerabile. Dal primo squillo all’ultimo, passando per messaggi e immagini, il gioco vira in una sorta di roulette russa. La cena degenera. Quei rapporti che si credevano consolidati collassano l’uno sull’altro. Non si salva nessuno.

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Il regista estrae con astuta maestria uno scheletro da ogni armadio, ed ecco ricomporsi sulla scena tutt’un altro presepio. Quello che nessuno avrebbe mai voluto rivelare (tanto al partner quanto agli amici più stretti) emerge violentemente ridisegnando a tinte forti i ritratti reali. I rapporti sociali si rivelano per forza di cose incompatibili con le dimensioni strettamente private, e il ponte tra queste due vite passa emblematicamente attraverso l’Iphone, scatola nera e vaso di Pandora. I colpi di scena si inanellano, dai più prevedibili a quelli inaspettati, in un flusso di rivelazioni a getto continuo. Di volta in volta, in un crescendo ben congegnato, le suonerie fanno da rullo di tamburi introducendo sempre nuovi elementi stranianti. Non mancano gli equivoci, che a sorpresa fungono da materia prima per una piega inaspettata degli eventi. Ben coeso e affiatato il cast (ottime le interpretazione di Giuseppe Battiston e Valerio Mastrandrea). Un film molto godibile (e molto italiano), una disamina spietata e sincera di questo nostro tempo sempre più scandito a suon di touch, tra social network e second life, il tempo effimero delle relazioni digitali e delle identità multiple. Buona la regia, capace di mediare dramma e commedia con ritmo incalzante. Originale anche la sequenza finale (che non anticipiamo).

Paolo Genovese, classe 1966, ha curato insieme a Luca Miniero varie campagne pubblicitarie e alcune produzioni per la Rai; risalgono al ’99 i cortometraggi Scoperta di Walter e Piccole cose di valore non quantificabile (premiati in Italia e all’estero). La coppia Genovese-Miniero ha diretto il primo lungometraggio nel 2001: Incantesimo napoletano (rielaborazione di un corto girato anni prima). Seguono, sempre co-diretti con Miniero, Nessun messaggio in segreteria (2005) e Questa notte è ancora nostra (2008). Dirige poi da solo La banda dei babbi Natale (2010), Immaturi (2011), Immaturi. Il viaggio (2012), Una famiglia perfetta (2012), Tutta colpa di Freud (2014) e Sei mai stata sulla luna? (2015). Con Perfetti sconosciuti Genovese si è aggiudicato il David di Donatello per il miglior film e il David di Donatello per la migliore sceneggiatura (quest’ultima premiata anche al Tribeca Film Festival).

Pietro Valgoi

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Cover Amedit n. 26 – Marzo 2016 “Sacré Cœur” di Iano, 2016

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 27 – Giugno 2016.

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