KREUZWEG | Un film di Dietrich Brüggemann

kreuzweg_bruggemannKREUZWEG

Un film di Dietrich Brüggemann

di Pietro Valgoi

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Un’altra storia di bambini abusati dalle credenze religiose degli adulti, bambini plagiati fin dalla più tenera infanzia, cresciuti nella paura di un dio giudice, tormentati dal senso di colpa e dalla subdola chimera del peccato. Kreuzweg (letteralmente la via della croce o via crucis) racconta la triste storia di Maria, figlia di una coppia di psicopatici, due cattolici tradizionalisti legati alla cerchia di monsignor Lefebvre. Che si tratti di lefebvriani – ossia quella branca del cattolicesimo che non accettò le novità introdotte dal Concilio Vaticano II restando ancorata alla tradizione precedente – non è esplicitato, ma lo si desume chiaramente. Maria cresce nella rinuncia, nella privazione, nell’annullamento, assillata da una madre fanatica e da un padre silenziosamente complice. A Maria, nel nome di Dio, è stata prima negata un’infanzia e, ora che ha compiuto quattordici anni, le si impedisce anche di sperimentare una sana e serena adolescenza; Maria non può desiderare, non può assecondare gli slanci innocenti della sua legittima curiosità, non può stringere amicizie che non siano approvate dai genitori, non può pensare, Maria deve solo limitarsi a obbedire. Le viene proibito persino di cantare in un coro parrocchiale, poiché “Satana corrompe attraverso il rock, il soul e il gospel”. Il solo legame sano nel nucleo familiare è quello che ha intrecciato con il fratellino autistico, un bambino catatonico che talvolta le sorride, senza però emettere mai una sola parola. Il nemico di Maria non è il diavolo, ma sua madre. Il carnefice da una parte e la vittima dall’altra, e in mezzo il vuoto, l’impossibilità di gettare un ponte, di stabilire una mediazione: è su questa bipartizione che il regista tedesco Dietrich Brüggemann ha allineato le quattordici stazioni di Kreuzweg. Il tema centrale del film non è solo quello del fondamentalismo cristiano (la degenerazione della religione in ideologia) ma abbraccia anche, in modo molto sottile e intelligente, la questione del valore del sacrificio (quello compiuto dal singolo individuo in un contesto specifico). Come fece Gesù nel suo cammino verso il Golgota, così è chiamata a fare questa ragazzina in un lento e doloroso martirio.

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Sacrificare significa “fare sacro”, ed è questo che fa Maria di se stessa: se non può avere la sua vita – perché quella che sta vivendo non è una vita – allora tanto vale renderla a Dio, a quel Dio che le hanno inculcato i suoi genitori. Stanca di subire l’indottrinamento quotidiano impartitole da una madre sempre più rigida e spietata (che a tratti ricorda quella di Carrie, il celebre film del 1976 di Brian De Palma), Maria smette di mangiare e si lascia morire su un letto d’ospedale. Kreuzweg – girato tra Germania e Francia nel 2014, presentato al 64º Festival di Berlino (Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura, scritta da Anna Brüggemann, sorella del regista), distribuito da Satine Film ma arrivato in Italia solo nel novembre 2015 – nelle intenzioni del regista non intende profilarsi né come un film anticlericale e né come un film ateo. Il racconto si snoda in quattordici scansioni girate a inquadratura fissa; il montaggio, affidato a Vincent Assmann, è pressoché inesistente e procede per tableaux vivants. Tutto il film poggia su una sceneggiatura solida, efficace, concentrata entro cornici claustrofobiche, contraltare del soffocamento interiore vissuto dalla giovane protagonista. Il prologo, la prima stazione, inquadra una sorta di ultima cena: un prete lefebvriano fa catechesi a un gruppo di minori seduto intorno a un tavolo; la pressione psicologica è fortissima, le tecniche dialettiche di persuasione toccano le corde giuste, e Maria si sente in colpa persino nell’atto di mangiare un biscotto. L’indottrinamento religioso ha sempre arato agevolmente sul terreno morbido dell’infanzia (su quest’aspetto la condanna di Brüggemann è esplicita). Educata a subire, a chinare il capo, Maria è incapace di reagire. La sola via d’uscita la intravede nel sacrificio, in un martirio che altro non è se non il riflesso del suo abbruttimento. L’ultima umiliazione, l’ultimo abuso lo riceve sul letto di morte, quando il prete e la madre le somministrano l’ostia, incuranti dell’anoressia che da giorni ormai impedisce alla piccola di deglutire. Maria sputa l’ostia, nello scandalo di chiesa e famiglia, ed è questo il gesto nobile che la riscatta, che dà un senso profondo e civile alla sua breve vita. Muore alle tre del pomeriggio, come Cristo, e nello stesso istante il suo fratellino autistico parla per la prima volta e la chiama per nome. È il sacrificio a produrre il miracolo? O è lo shock della sorella morta a indurre il bambino a parlare? Molto abilmente Brüggemann dipinge la scena velandola di una sospesa biunivocità. Kreuzweg ci restituisce, stazione per stazione, tutto il disprezzo per la vita veicolato dai fondamentalismi religiosi, purtroppo vivi e operanti oggi più di ieri. Nell’ultimo tableau vivant Maria è già nella tomba, e una ruspa la sta ricoprendo di terra. L’inquadratura, prima di sfumare nei titoli di coda, si solleva su un cielo bigio e inespressivo.

Pietro Valgoi

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Cover Amedit n. 26 – Marzo 2016 “Sacré Cœur” di Iano, 2016

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 27 – Giugno 2016.

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