CONTRO LA CULTURA DELL’OBLIO | Lo Stato contro Fritz Bauer | Un film di Lars Kraume

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Lo Stato contro Fritz Bauer | Un film di Lars Kraume

di Leone Maria Anselmi

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Tutt’altro che un dramma giuridico sui fantasmi del Terzo Reich. In Der Staat gegen Fritz Bauer il regista Lars Kraume (nativo di Chieti ma tedesco d’adozione) rende omaggio alla figura straordinaria di Fritz Bauer, procuratore generale dell’Assia, l’eroe civile che negli anni del dopoguerra si adoperò con tutto se stesso per garantire giustizia alle vittime del regime nazista. Fin dalle prime sequenze il film si mantiene in perfetto equilibrio tra lo storico-biografico (allargato al collettivo) e il drammatico (che senza insistenze, e senza allontanarsi troppo dal quadro generale, si sofferma sulle vicende personali del protagonista e di un suo collaboratore); la regia (che sfrutta abilmente certe dinamiche del genere investigativo) è lineare, disciplinata, a tratti forse rigida, ma poggiata su una sceneggiatura solida e efficace (scritta da Kraume insieme a Olivier Guez). Il film getta un ponte ideale tra due pellicole recenti: The Eichmann show di Paul Andrew Williams e Il labirinto del silenzio di Ugo Ricciarelli (entrambi recensiti sul precedente numero di Amedit, marzo 2016). Francoforte, 1957. Fritz Bauer – ebreo, socialdemocratico e omosessuale (magistralmente interpretato dall’attore berlinese Burghart Klaussner, molto somigliante anche nella fisionomia) – ha un solo obiettivo, una sola missione: battersi contro l’inammissibile impunità garantita ai signori del male, tutti quei criminali che non hanno pagato con un solo giorno di carcere le terribili atrocità commesse dentro e fuori i campi di sterminio; sa bene che non sarà un’impresa facile, che potenti forze intestine gli remeranno contro, che dovrà guardarsi le spalle in ogni momento. All’indomani della caduta di Hitler i gerarchi nazisti in fuga (i pesci grossi, ma anche quelli più piccoli) hanno potuto contare su una complessa rete di protezione internazionale. Con il cadavere del Führer il conto doveva considerarsi saldato una volta per tutte. Anche il nuovo governo del cancelliere Konrad Adenauer promuoveva un processo di affossamento del passato, una cultura dell’oblio da contrapporre alla rinascente Germania, scossa dal fremito del boom economico. Che voleva dunque questo giudice Bauer? Rigettare il paese nell’onta, riaprire la ferita e intralciare il piano di rinnovamento nazionale? Sì, era esattamente così. Bauer desiderava che il popolo tedesco guardasse dritto in faccia il suo passato, le colpe e le connivenze, che ripartire senza quel necessario e doveroso esame di coscienza non era moralmente e umanamente accettabile. Ma soprattutto Bauer desiderava catturare Adolf Eichmann, una delle menti più operose del regime, e processarlo in Germania.

«Oggi – dichiarò Bauer in una celebre intervista – la Germania va fiera del suo miracolo economico ed è orgogliosa di essere la patria di Beethoven e di Goethe. Ma la Germania è anche il paese di Hitler, di Eichmann e dei loro tanti seguaci e sostenitori. Così come ogni giornata comprende il giorno e la notte, anche la storia di ogni popolo ha le sue luci e le sue ombre.» Quando scopre, grazie a una rete di collaboratori, che Eichmann si nasconde sotto falso nome in Argentina, in un sobborgo di Buenos Aires, Bauer si illude inizialmente di poterlo catturare con l’aiuto delle autorità tedesche. Lo Stato gli volta la faccia, accusandolo di voler scatenare solo una “rabbiosa crociata”. Bauer è costretto così ad aprire gli occhi su una realtà sconcertante: se molti nazisti si nascondevano negli angoli più sperduti del pianeta, altri erano invece ben mimetizzati nella nuova macchina pubblica tedesca, una sorta di loggia di nostalgici, segretamente coesa e operativa. Lo Stato tenterà di colpirlo (e con lui anche il giovane magistrato suo collaboratore) insinuandosi tanto nella sfera professionale che in quella privata; colpire Bauer e collaboratore in quanto omosessuali (a quell’epoca la Germania perseguiva ancora il cosiddetto reato di omosessualità), qual miglior strategia per vanificare tutto e per delegittimarne le azioni di fronte all’opinione pubblica. Bauer aggirò il problema rivolgendosi al Mossad, i servizi segreti israeliani, un’azione che gli valse l’accusa di “alto tradimento”. Grazie al Mossad Eichmann venne catturato (la Germania guarda caso non chiese l’estradizione), poi processato a Gerusalemme e infine impiccato nel 1962.

Bauer muore sei anni dopo, e solo dopo la sua scomparsa venne chiarito il suo ruolo nella cattura dello spietato gerarca. Il suo contributo si rivelò dunque fondamentale per la cattura di Eichmann; va inoltre sottolineato che nel ’58 la class action da lui promossa contribuì ad aprire il processo di Francoforte sugli atroci crimini perpetrati ad Auschwitz. Con l’apporto di Gerhard Szczesny, Fritz Bauer fondò nel ’61 un’organizzazione in tutela dei diritti dell’uomo (la Humanistiche Union); risale al ’95 la fondazione del Fritz Bauer Institut (in memoria dell’Olocausto, ma anche mirata alla valorizzazione dei diritti civili). Con Lo stato contro Fritz Bauer Lars Kraume ha inteso «…rendere giustizia a un’importante pagina di storia», una storia che ancora oggi, in troppi, preferiscono dimenticare.

Leone Maria Anselmi

 


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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 27 – Giugno 2016.

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