L’ULTIMA MENZOGNA | INTERVISTA A GIOVANNI PANNACCI
a cura di Giancarlo Zaffaroni
BROWSABLE VERSION / VERSIONE SFOGLIABILE
Giovanni Pannacci ha scritto un libro insieme a Paolo Poli e due romanzi. L’ultima menzogna, appena pubblicato da Fernandel, racconta di Nikel che ha trent’anni e vive in Italia da quando era bambino, studia l’italiano con Attilio, un vecchio bibliotecario, e legge molto. La sua vita solitaria e spartana viene sconvolta dall’incontro con la scrittrice Olga Kersten e con Lyubim, il suo uomo precedente, un uzbeko che fa la guardia del corpo. Fra i tre nasce un rapporto forte e ambiguo che li condurrà su strade inaspettate ed estreme. Ne parliamo con l’autore.
Olga, Nikel e Attilio hanno un rapporto molto stretto con la parola scritta, mentre Lyubim rivendica di non leggere perché non crede ai libri, sembra a tratti più sapiente delle cose umane…
Lyubim è in effetti molto diverso dagli altri personaggi, per lui lettura e scrittura sono un’inutile perdita di tempo. La sua “conoscenza del mondo” viene dall’ambiente che frequenta, quello di certa politica torbida e disonesta dove contano solo il denaro e gli interessi personali. Non credo però che sia più sapiente, probabilmente solo molto più scaltro e cinico, e questo lo porta ad avere una visione più disincantata e spietata della realtà. Tuttavia nemmeno gli altri personaggi, nonostante l’amore per i libri, sono dispensati dal compiere varie nefandezze. La letteratura, insomma, non porta necessariamente alla redenzione.
Nikel travisa il patto narrativo sentendosi ingannato da Olga quando verifica che le vicende da lei narrate non sono autobiografiche: la conoscenza diretta dell’autore rovina la magia della letteratura?
Io seguo il consiglio di Proust il quale, quando fa incontrare al protagonista della Recherche l’amato scrittore Bergotte, dice che non si dovrebbero mai conoscere personalmente gli autori che amiamo. Esiste sempre uno scarto enorme fra la pagina scritta e la vita reale di uno scrittore, anche di quelli che praticano la così detta auto-fiction. Le aspettative che come lettori ci facciamo su uno scrittore non corrispondono quasi mai al vero.
Olga, Nikel e Lyubim hanno origini straniere un po’ complicate e sofferte, trovano in Italia uno spazio dove vivere. Crede che l’Italia, nonostante tutto, sia un paese accogliente?
Questo Paese è capace di straordinari slanci di solidarietà. Mi ostino a voler credere che gli italiani siano migliori dei politici che ci rappresentano. Ma è innegabile che molti – specie fra quelli con meno strumenti culturali – hanno finito per assorbire e accettare acriticamente il facile populismo delle destre in materia di immigrazione.
Lei dice che gli italiani usano una lingua sempre più scomposta e maltrattata. Nikel, al contrario, tramite studio e lettura ricerca un’identità linguistica e personale: gli stranieri salveranno la nostra lingua?
Il linguaggio serve a “dire” il mondo, oltre che se stessi. L’esclusione sociale comincia quando non si hanno parole per dare un nome alle cose o a ciò che sentiamo. Insegnando agli stranieri ho la continua conferma che l’apprendimento di una lingua, o semplicemente il suo rafforzamento, origina vere e proprie intuizioni cognitive, come se d’improvviso si accendessero delle luci che illuminano e amplificano zone del pensiero che fino a poco prima erano al buio. L’acquisizione di una lingua, per leggere, per pensare, è il primo vero strumento di emancipazione. Questo è ciò che fa Nikel nel romanzo.
Menzogna deriva da mentire, inventare, fingere. Il romanzo si confronta direttamente con i limiti del linguaggio come strumento di conoscenza ed espressione umana, autentiche nonostante tutto…
In una celebre e bellissima poesia Emily Dickinson scrive: “Dì tutta la verità ma dilla obliqua, la verità deve abbagliare gradualmente o tutti sarebbero ciechi.” Ecco, la scrittura è, in questo senso, il tentativo di deviare l’asse della verità, piegare il flusso degli eventi incanalandoli nella pagina scritta, dando così ordine al caos. Non tanto per mistificare la realtà, quanto per renderla osservabile e dunque accettabile. Nikel fa questa scoperta che lo libera dalla condanna e gli permette di guardare alla sua vita senza “accecarsi” di dolore.
Olga, Lyubim e Nikel sono culturalmente liberi di vivere il loro ménage à trois, d’inventarsi un equilibrio fra sentimenti e sesso. Effetto dell’estraneità alla religione, che mi pare non sia mai citata nel libro?
In effetti io non sono credente e riesco a pensare la religione solo come una millenaria, complessa e affascinante narrazione che gli uomini si sono inventati per consolarsi e soprattutto complicarsi l’esistenza. In questo senso i miei personaggi mi somigliano: vivono, sperimentano e rischiano in prima persona, senza sottostare a dogmi o condizionamenti morali imposti da un dio inesistente.
Infine: uno scrittore è più credibile nelle pagine del romanzo o quando risponde alle interviste?
Questo proprio non lo so. Quello che però posso dire è che quando scrivo un romanzo devo solo sforzarmi di farlo meglio che posso, mentre quando rispondo a un’intervista devo sforzarmi di sembrare intelligente. E questo è molto più difficile.
a cura di Giancarlo Zaffaroni

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 27 – Giugno 2016.
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