L’INDUBITABILE
Che cos’è la verità? | Un saggio di Piergiorgio Odifreddi (Castelvecchi, 2016)
Datemi una maschera e vi dirò la verità
Oscar Wilde
di Cecily P. Flinn
BROWSABLE VERSION / VERSIONE SFOGLIABILE
In questo nuovo saggio, breve ma efficace, redatto con un linguaggio lucido e squisitamente razionale, il matematico impertinente Piergiorgio Odifreddi affronta uno degli interrogativi più cruciali del pensiero umano: il concetto di verità. Che cos’è la verità? John Keats scriveva che «La bellezza è verità, la verità è bellezza: questo è tutto ciò che voi sapete in terra e tutto ciò che vi occorre sapere.» In poesia e in letteratura la verità è spesso confinata in un ideale di perfezione irraggiungibile o, al contrario, è ammantata da una sorta di implicita ambiguità. È possibile inquadrare la verità in un concetto univoco? È possibile stabilire, al di là di ogni ragionevole dubbio, cosa è universalmente vero e cosa non lo è? La verità è un archetipo imbrigliato in un gioco di specchi o ha effettivamente una connotazione oggettiva razionalmente misurabile? La verità è una o ve ne sono molteplici? Odifreddi parte da un’indagine di archeologia linguistica. Individua un disinvolto utilizzo del concetto di verità nei diversi ambiti (matematica, scienza, filosofia, letteratura, politica, religione, storia…) che, pur usando la stessa parola fanno in realtà riferimento a cose molto diverse. Un concetto di verità, spiega Odifreddi, è rintracciabile già nell’Antico Egitto: Maat, la dea della verità, giudicava l’operato in vita del defunto (sul piatto della bilancia il peso del cuore non doveva superare quello di una piuma); gli antichi egizi contemplavano quindi l’idea che una determinata affermazione può sottintendere (o non sottintendere) un contenuto di verità. Ancor più chiara è la distinzione tra vero e falso nella tradizione greca. Ad Apollo, dio della verità, è contrapposto il fratellastro Mercurio, dio della falsità; l’etimologia del nome Apollo è riconducibile ad “a-pollon” (ossia “non molti”, “uno”). Ad Apollo è connessa la luce (contrapposta al buio) e la ragione (contrapposta all’ignoranza). Successivamente il cristianesimo (grande macinatore di tradizioni e miti preesistenti) ha travasato e rielaborato il tutto: Apollo diventa Gesù (la verità) e Mercurio diventa il diavolo (l’impostura, la falsità o la verità ingannevole). Nel mondo romano il concetto di veritas assume una connotazione completamente diversa; la veritas romana è una verità “giuridica”.
Nell’etimologia di veritas compare il prefisso di derivazione indoeuropea “ver” che sta per “barriera”, una divisione che, spiega Odifreddi «si erge diritta di fronte a noi e ci separa da quel che vi è dietro.» Il ver dictum è una “dichiarazione di verità” stabilita da un giudice dopo una serie di considerazioni. Come sintetizza bene Odifreddi, un conto è stabilire una verità in tribunale, un altro è sapere cosa sia successo oggettivamente; qui la verità non è proclamata da un essere sovrannaturale, ma è solo “umana”. Odifreddi distingue tre diverse concezioni di verità, tre grandi aree dai confini ben delimitati: la veritas giuridica, la verità matematica e la verità scientifica. La verità matematica è l’aletheia: ovvero la non-dimenticanza (perseguibile attraverso verifiche razionali); la verità scientifica è l’apokalypsis: ossia il disvelamento. «Questa idea di togliere il velo implica che ci si trovi di fronte a qualcosa che non si conosce e che è possibile scoprire pian piano; non si tratta, dunque, di qualcosa di indimenticabile come l’aletheia, che ciascuno ha già dentro di sé.» Ad aletheia si contrappone il concetto di doxa (opinione). La verità di fede (o giuridica) non si basa su dati oggettivi ma accetta passivamente un diktat imposto dall’esterno. L’unica verità indubitabile, spiega Odifreddi, è quella matematica (sempre determinabile attraverso precise dimostrazioni); la verità scientifica, che procede per esperimenti e ipotesi, non può garantire lo stesso grado di indubitabilità dell’aletheia. Tutte le altre verità (quella di fede, quella storica…) al confronto appaiono fragili e sovrapponibili. Il concetto di verità deve poi fare i conti con il linguaggio attraverso il quale tale verità è di volta in volta enunciata, e qui il quadro si complica. Nell’ultima parte del saggio Odifreddi (comparando gli studi di Tarski e Chomsky) guida il lettore nel linguaggio specifico della matematica, mettendolo di fronte a una verità pura, conquistata partendo da assiomi e giungendo a teoremi, dai calcoli più elementari alle operazioni più complesse. L’aletheia è «ciò che noi abbiamo e che possiamo verificare solo con la nostra testa, guardando dentro di noi», è la verità dell’intelletto, immanente, permanente e indubitabile. Che cos’è la verità? è edito da Castelvecchi nella collana Irruzioni, diretta da Cristina Guarnieri.
Cecily P. Flinn

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 27 – Giugno 2016.
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