DITTATURA O LETTERATURA
La casa delle parole | Un romanzo di Cécile Coulon (Keller editore, 2016)
di Massimiliano Sardina
Nell’ambientazione – tanto cruda e asettica quanto sospesa e apocalittica, e più in generale nelle coordinate spazio-temporali indefinite e astoriche – di questo nuovo romanzo della scrittrice francese Cécile Coulon echeggiano certe atmosfere metafisiche di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury e de Il paese delle ultime cose di Paul Auster. La casa delle parole, favola nera sulle subdole pratiche di manipolazione e condizionamento culturale delle masse messe in atto da certi vertici del potere, è in primo luogo una dichiarazione d’amore verso la letteratura. 1075, questo il nome non-più-nome del protagonista, vive in un luogo non-più-luogo, un Paese governato da autorità dittatoriali che per garantire l’ordine sociale hanno individuato un metodo di controllo basato sulle letture pubbliche.
Non più alcol o sostanze stupefacenti, ma libri di genere (Libro-Brivido, Libro-Tristezza, Libro-Odio, Libro-Tenerezza, Libro-Risate a crepapelle) appositamente confezionati nelle tante “case delle parole” disseminate sul territorio, e destinati a lenire i bisogni esistenziali di una popolazione resa dipendente. Letture pubbliche di libri di genere negli stadi: il Lettore, venerato come una celebrità, legge al centro del palco, illuminato da un occhio di bue; la folla, adunata in quelle che il Servizio Nazionale denomina “Manifestazioni ad alto rischio”, ascolta in trepidante adorazione, incamerando emozioni talmente intense da provocare svenimenti, deliri e crisi isteriche, sensazioni comunque transitorie (destinate a estinguersi nel giro di un’ora, a lettura terminata). Figure mediane tra il Lettore e la folla sono quelle degli Agenti moderatori, e 1075 appartiene a questa ambitissima categoria. Gli Agenti vengono reclutati dal Grande (l’organo che tutto sovrintende), e pescati perlopiù tra la gente povera che popola le sperdute campagne intorno alle città. Superare il duro addestramento e diventare un Agente è il sogno di tutti i ragazzi di campagna, cresciuti nella miseria più nera e disposti a tutto pur di compiere il salto sociale; diventare un Agente significa conquistare agi, ricchezze e ogni sorta di privilegio, con l’obbligo di rispettare una sola clausola, venuta meno la quale scatta il licenziamento immediato e l’interdizione perpetua dal Servizio Nazionale.
La clausola è l’analfabetismo (requisito primario anche per accedere alle selezioni), cui si aggiunge il divieto assoluto di possedere o maneggiare libri (e finanche lacerti di pagine e qualsiasi forma di scrittura vergata nero su bianco). L’Agente (freddo, duro, inespressivo) deve incarnare il rovescio della persona comune, per sua natura incline al disordine delle passioni. Laddove l’Agente fallisce – e può succedere nel marasma delirante delle “Manifestazioni ad alto rischio” – ecco intervenire i “molossi”, cani addestrati ad azzannare quei fanatici che talvolta, agiti da un furore folle, tentano di valicare la cinta di sicurezza per gettarsi sul Lettore. All’Agente è richiesta inoltre la massima trasparenza; la sua abitazione, di un lusso estremo, è sorvegliata da decine di telecamere installate in ogni angolo, tranne però che in bagno. Quando hanno trasgredito, ed è accaduto già molte volte, gli Agenti lo hanno fatto proprio in bagno, ma non c’è libro o foglio che possa sfuggire al fiuto della “Squadra dei Perquisitori”. L’Agente che viene trovato in possesso di un libro è spacciato. Travolto dall’onta, viene immediatamente ricatapultato nella fangosa campagna natia. 1075 crede di non aver nulla da temere, tanto lucida e incorruttibile è la sua determinazione; è un esempio, un modello di perfezione per chiunque aspiri a coprire la sua mansione, è un uomo tutto d’un pezzo, senza grilli per la testa, incapace di leggere o tracciare una sola lettera dell’alfabeto. 1075 è il fiore all’occhiello del Servizio Nazionale. Mai un cedimento, mai una vibrazione. Più la folla si contorce in preda a estasi spasmodiche e più l’Agente rifulge nella sua inviolabile ieraticità.
Così va il mondo governato dalle “case delle parole”. Ma come è potuto accadere? Chi ha instaurato nella società questo assurdo programma di controllo? Tutto è partito da una terapia di gruppo sperimentata dalla dottoressa Lucie Nox su degli ex tossicodipendenti, una terapia per l’appunto a base di libri (contenitori di storie capaci di risvegliare emozioni sopite). Il Governo del Grande non ha fatto altro che appropriarsi di questo metodo e convertirlo in un processo di asservimento morale della popolazione. «… Tre anni dopo l’apertura delle Case delle Parole cominciarono le Manifestazioni ad Alto Rischio. I libri si vendevano a decine di migliaia; ogni momento libero era consacrato alla lettura di un Brivido o di un Risata a Crepapelle. […] Il consumo massiccio di racconti specifici procurò alle Case delle Parole utili che superavano l’immaginazione del Grande. I corridoi del Servizio Nazionale furono teatro di esplosioni di gioia: “siamo salvi”. Salvi da cosa? Non lo sapevano neanche loro.» Non c’è però sistema tanto perfetto che non riveli prima o poi un’incrinatura. Ricoverato in ospedale per il morso di un molosso 1075 si imbatte casualmente in una giovane donna intenta a spiegare l’alfabeto e i primi rudimenti a due bambini malati. Sa che non deve guardare, ma è più forte di lui. Ritornerà più volte, in gran segreto, a spiare quelle lezioni clandestine, e nel giro di poche settimane farà suo il grande mistero della lettura e della scrittura. Sta rischiando la sua posizione privilegiata d’Agente, ma non gli importa. La parola, più luminosa d’una folgorazione, ha deflorato la sua ignoranza, ha abbattuto l’idolo ebete del suo analfabetismo. La nuova dipendenza insorge, potente, rivelatrice. 1075 comincia così a rubare pagine laddove gli capita, per poi godersele nello spazio blindato del suo bagno. Legge, ma non prova nulla. Non c’è Libro-Brivido o Libro-Tristezza capace di accenderlo. «Ci sono altri Libri di cui ignora l’esistenza» gli dirà un giorno la dottoressa Nox, alludendo alla letteratura. E infatti, quando 1075 scoprì la letteratura finalmente poté, agito da una commozione totalizzante finora sconosciuta, assegnare una Casa alla Parola.
Massimiliano Sardina

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 26 – Marzo 2016.
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