IL SIGNORE DEGLI ENIGMI | Escher a Treviso | Complesso di Santa Caterina | Vista e recensita da Amedit

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di Massimiliano Sardina

pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 26 – Marzo 2016

Grande scardinatore delle bidimensionalità, Escher ha saputo cogliere e ridelineare la giana ambivalenza dell’immagine. La sua riflessione, razionale e al contempo immaginifica, ha indagato le connessioni più ardite insite nel mondo naturale, dalle più reali alle più improbabili, in un’unica soluzione di continuità. Attratto dalla complessità mutevole ch’è nocciolo d’ogni forma semplice, Escher ha fatto del suo occhio una portentosa lente d’ingrandimento curiosa di sondare le dimensioni slabbrate dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande. Con meticolosa perizia – come agendo nel tempo sospeso dell’amanuense o più ancora dello scriba egizio – ha ritagliato sottilissime linee di luce dal buio pesto aprendovi varchi, operando sfondamenti, portando alle estreme conseguenze il misterioso dialogo tra il bianco e il nero, tra la luce che chiara rivela e la tenebra che tutto occulta.

Maurits Cornelis Escher nasce nel 1898 a Leeuwarden, Paesi Bassi. Il suo talento nel disegno si rivela già in tenera età. Dal 1916 comincia a sperimentare le tecniche di incisione calcografica, dalla puntasecca all’acquaforte, e fino al ’22 studia presso la Scuola di Arti Grafiche di Haarlem; al ’22 risale anche la sua prima xilografia. Compie i primi viaggi in Italia e Spagna. A Granada rimane profondamente colpito dal complesso palaziale dell’Alhambra (e in generale dallo stile moresco del XIV secolo). Nel ’23 il giovane Escher organizza la sua prima personale a Siena, e l’anno successivo (dopo il matrimonio) si stabilisce in Italia. Visita il Lazio, l’Abruzzo, la Sicilia e la Calabria. Realizza la prima litografia nel ’29. La permanenza in Italia si protrae fino al ’35, successivamente soggiornerà in Svizzera e poi, nel ’37, in Belgio. In questi anni nella produzione xilografica e litografica escheriana prevalgono soggetti naturalistici e paesaggistici (scorci architettonici di ampio respiro, forme vegetali, insetti…). Nel ’32 realizza le xilo per il libro XXIV Emblemata…, con epigrammi di Drijfhout. Dal ’37 la sua ricerca si concentra sulla divisione periodica del piano (la tassellazione) e sulle forme impossibili. La divisione regolare del piano – con le diverse tassellazioni: monoedrica, biedrica, isoedrica o monomorfa – fu cruciale in tutta la sua ricerca. «Non so immaginare che cosa la mia vita sarebbe stata senza questo problema. Mi ci imbattei molto tempo fa, durante le mie peregrinazioni; vidi un alto muro e, come per la premonizione di un enigma, di qualcosa che esso potesse nascondere, lo scalai con qualche difficoltà. Dall’altro lato, però, mi ritrovai in una giungla; dopo essermi aperta la via con grande sforzo giunsi alla porta aperta della matematica, da cui si dipartivano cammini in ogni direzione. A volte penso di averli percorsi tutti, ammirandone le vedute; e poi improvvisamente scopro un nuovo cammino e sperimento una nuova delizia.»

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Le tassellature emergono dall’indefinito e si delineano attraverso la strutturazione progressiva del piano con figure geometriche regolari. Escher ne desume alcune dall’antica tradizione islamica, rielaborandole in tessiture complesse (speculari, in fieri o a mosaico di forme miste). «Nei miei quadri – scrive Escher – cerco di rendere testimonianza del fatto che viviamo in un mondo bello e ordinato, non in un caos senza regole come a volte può sembrare.» Così anche nelle tavole delle architetture impossibili, dove convessità e concavità, salite e discese, pieni e vuoti, sono tutti indizi di un ordine complesso, bello e perfetto, solo apparentemente caotico. Complici le riflessioni sulla cristallografia, Escher illustra un mondo dove tutto è intimamente connesso, dove ogni forma è il rovescio di un’altra nel doppio paradosso della tautologia. Tra ’39 e ’40 porta a compimento Metamorfosi II, forse la sua opera più celebre. Qui ogni forma ne genera un’altra: strutturazione e destrutturazione macinano in uno specchio fagocitante, cui non si sottrae nemmeno il linguaggio della parola scritta Metamorphose. Negli anni della guerra si trasferisce con la famiglia in Olanda meridionale. Nel ’46 comincia a sperimentare l’incisione a mezzatinta. L’interesse internazionale intorno alla sua opera culminerà nel ’54 in due importanti mostre ad Amsterdam e Washington. Nel ’58 pubblica il suo trattato sulla tassellazione, e nel ’59 esce il primo catalogo sulla sua opera grafica.

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Prodotta dalla Escher Foundation e da Arthemisia Group, la mostra è composta prevalentemente dalla collezione privata di Federico Giudiceandrea, uno dei massimi esperti europei in materia escheriana. Ben integrate nell’itinerario espositivo, oltre alle Carceri d’invenzione di Piranesi (sorta d’escheriana premonizione), sono le illusioni ottiche di Luca Patella (The Wrong & The Right Bed e Vasa Physiognomica) e di Oscar Reuterswärd (Tribarra impossibile); i giochi ottici e le postazioni interattive disseminati lungo il percorso espositivo, tutt’altro che accessori e didascalici, hanno il merito di svelare efficacemente i misteriosi meccanismi della percezione visiva.

Massimiliano Sardina


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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 26 – Marzo 2016.

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