IL GENDER CHE NON C’È
La Teoria del Gender e altre menate delle cattodestre
di Elena De Santis
L’estate appena trascorsa passerà alla storia per la scoperta, da parte del popolo italico, di un nuovo termine, divenuto presto virale e sulla bocca di tutti. Il termine in questione è “gender” che altro non è se non la traduzione anglosassone del corrispettivo italiano “genere”. Su siti e social network sono apparsi slogan del tipo: “No al Gender nelle scuole!” Cosa significa? Gli italiani hanno forse deciso di rivoluzionare la propria grammatica stabilendo l’abolizione dei generi? Hanno finalmente deciso di eliminare il sesso delle parole? Di non riferirsi più ad esempio anche agli astri ricorrendo all’opposizione maschio/femmina come fanno con “Il Sole” e “La Luna”, così da imitare altre lingue, come l’inglese, che guardano meno per il sottile senza ostinarsi a voler dare un sesso a tutto? Vista così non sembrerebbe tanto un’idea cattiva. Non fosse che parallelamente si vada diffondendo, sempre in Italia, una ancor più pedante specificazione di tipo sessuale per riferirsi ai titoli: “Architetto/Architetta”, “Ministro/Ministra”… insomma, qualcosa non torna. O gli italiani stanno attuando uno svincolamento dai sessi, oppure il sesso ce l’hanno a tal punto radicato nel cervello che non riescono proprio a farne al meno, a prescindere che si riferiscano a persone e cose, ruoli e azioni. Delle due l’una.
Ma veniamo ai fatti, ossia a ciò che ha determinato questa nuova straordinaria acquisizione linguistica da parte dei “colti” italiani. Bisogna andare un po’ più indietro nel tempo, esattamente al febbraio 2014, quando l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale), insieme all’istituto Beck (associazione scientifica di psicologi e psicoterapeuti), propose l’introduzione negli istituti scolastici italiani di ogni ordine e grado del progetto “Educare alla diversità a scuola”, ovvero la diffusione di tre opuscoli informativi, destinati esclusivamente agli insegnanti, e che avrebbero potuto essere utilizzarli secondo le modalità ritenute più opportune in concerto con i genitori degli alunni. Lo scopo di tali opuscoli altro non era se non quello di far comprendere ai giovanissimi cos’è la diversità da un punto di vista scientifico, e insegnargli ad accettarla, al fine di contrastare l’increscioso fenomeno del bullismo omofobico e della discriminazione sessuale, già ampiamente documentato negli ambienti scolastici. I temi affrontati erano: l’omosessualità in rapporto alla religione e, naturalmente, l’omofobia; era inoltre riportato uno studio sull’incidenza di alcolismo e disturbi psichici tra gay e lesbiche in Paesi dove non esistono leggi specifiche atte a contrastare le violenze e le discriminazioni omofobiche. Si trattava solo di un primo, seppur tardivo, tentativo di educazione al rispetto delle diversità e all’inclusione, che si inseriva opportunamente nella fase di apprendimento, poiché compito precipuo della scuola non è soltanto quello di insegnare a leggere e a far di conto, ma anche quello di formare dei cittadini consapevoli, oltre che civili e rispettosi del prossimo.
Gli studi del settore hanno più volte dimostrato (e recentemente lo ha ribadito anche l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna) come omofobia, sessismo e pregiudizi di genere sono culturalmente appresi sin dalla prima infanzia e trasmessi tramite l’educazione, i media, le regole sociali, la comunicazione, le relazioni, etc. Questi risultati dimostrano quindi quanto sia utile e opportuno favorire una corretta e informata educazione alle diversità nelle scuole, che renda i giovani in grado di affrontare la complessità della persona nelle sue diverse sfaccettature. Ma il progetto naufragò sul nascere, grazie all’intervento della Chiesa e delle Associazioni dei Genitori; i “diabolici” opuscoletti vennero messi al bando nell’aprile dello stesso anno da un ministro dell’istruzione evidentemente a corto di strumenti e di argomenti in grado di controbattere all’offensiva e di difendere la lodevole iniziativa. Sventato il pericolo di questa “diabolica” minaccia, lo svolazzo delle sottane vaticane si è acquietato e, di conseguenza, anche i genitori hanno potuto dormire sonni tranquilli, sapendo i loro figlioletti al riparo dagli attacchi di quelle famigerate correnti ideologiche asservite al Diavolo.
Facciamo un balzo in avanti e arriviamo ai fatti di quest’estate. Nel mese di maggio scorso, con l’entrata in vigore della nuova riforma della scuola, è stato approvato alla Camera un decreto di legge con il quale si intende promuovere l’educazione alla parità di genere e la prevenzione alla violenza e a tutte le discriminazioni negli istituti scolastici. Negli otto articoli di cui si compone il testo, non è fatto alcuno riferimento né all’avvio di una vera e propria educazione sessuale (cosa peraltro auspicabile), né tantomeno a una presunta “Teoria Gender”, fatta oggetto, come vedremo, di un’agguerrita campagna di opposizione, scatenatasi fin dall’avvio delle prime discussioni di elaborazione. Al comma 8-bis, questo decreto recita testualmente “Il Piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità di genere, la prevenzione alla violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle relative tematiche”. Tutto qui. Ma inverosimilmente, apriti cielo! Queste poche righe hanno scatenato una nuova e più agguerrita alzata di scudi da parte della componente cattolica più oltranzista e conservatrice.
Dal famigerato Family Day, svoltosi a Roma il 20 giugno scorso, in poi è stato tutto un incalzare di iniziative atte a scongiurare questo ennesimo piano diabolico di “attacco alla famiglia tradizionale”, che sarebbe stato messo in atto da oscure “lobby gay”. Rimane per noi un mistero, dove, tra quelle righe che abbiamo appena letto, sia contemplato tale attacco, così come non si comprende da dove abbiano tratto ispirazione le fantomatiche voci messe in circolo circa l’introduzione di “corsi sulla masturbazione precoce” da zero a quattro anni, un non meglio specificato “abuso” dai sei ai nove anni, per poi finire nella propinazione di vera e propria pornografia dopo il quindicesimo anno di età; tutte quanti fasi, queste, di un vero e proprio piano sistematico che sarebbe stato concepito al fine di favorire la “conversione all’omosessualità” da parte dei nostri figli. C’è a dir poco da restare allibiti, ma tant’è. Una qualunque persona dotata di un minimo di buon senso avrebbe potuto smascherare l’inganno fin da principio, non avrebbe prestato la minima credibilità a simili voci e tutt’al più si sarebbe fatto due risate. Le risate infatti ci sono stante, e anche tante, perché una simile pantomima non poteva che suscitare l’ilarità di intellettuali, scienziati, giornalisti e semplici commentatori di mezzo mondo. Il Paese di Pulcinella ha insomma ancora una volta riconfermato la sua verve comica degna della migliore tradizione teatrale che va dalla Commedia dell’Arte al Teatro dell’assurdo.
Improvvisamente fa l’apparizione il mostro della “Teoria Gender” che incombe sull’universo angelico dei bambini, pronto a strappare con le sue orribili fauci le inermi creature dal mondo fatato in cui vivono e a trascinarle in un girone infernale di depravazione. Questo mostro, come ogni creatura fantastica che si rispetti, assume via via sembianze sempre più incredibili e inquietanti; tutti ne parlano, tutti ne descrivono la diabolica strategia, ma nessuno è in grado di definirlo per quello che realmente è. Nessuno può descriverlo perché nessuno in fondo lo ha mai visto veramente. Semplicemente il mostro non c’è. La “Teoria Gender” è una creatura fantastica, una pura invenzione, né più e né meno delle streghe del Medioevo o dei comunisti mangiabambini. Il sonno della ragione genera mostri. E là dove l’irrazionalità prende il sopravvento viene prima o poi in soccorso il lume della ragione che svela l’inganno e ristabilisce l’ordine di idee. Si spera. Scienziati e intellettuali delle più varie discipline e dai diversi orientamenti culturali, ma anche qualche illuminato teologo, hanno a più riprese smentito l’esistenza di una presunta “Teoria Gender”; esistono invece i “Gender Studies”, ovvero gli studi di genere, sviluppatisi a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso in seno al pensiero femminista, i quali hanno come obiettivo la lotta a ogni forma di discriminazione sulla base di ogni specifica differenza, sia essa di natura sessuale, razziale, etnica, etc. Questi studi, tanto ingiustamente vilipesi, non si sognano minimamente di smentire l’oggettiva distinzione biologica tra maschio e femmina ma, partendo dalla sacrosanta parità e dignità dei sessi, cercano scientemente di dimostrare come i ruoli che le società hanno nel tempo concepito attorno ai due sessi siano in realtà soltanto una complessa costruzione di natura prettamente culturale, e che in quanto tale, questa definizione di ruoli è destinata a trasformarsi e ad evolversi di pari passo all’evoluzione civile e culturale della società.
Ma evidentemente esistono ancora forti resistenze ad accettare queste mutate condizioni sociali, soprattutto da parte di una certa componente spiccatamente catto-fascista. Ogni iniziativa atta a contrastare qualunque forma di discriminazione e di disparità dovrebbe essere salutata con grande favore, e invece, incomprensibilmente, così non è. C’è da pensare che molti genitori siano stati strumentalmente soggiogati, carpiti nella loro buona fede, aizzati e usati per vili fini politici e di mero opportunismo. C’è stata ancora una volta una vile manipolazione delle informazioni, condotta con estrema malafede, senza scrupoli e senza alcun pudore, con la deliberata volontà di diffondere allarmismi inutili per mezzo della menzogna. Purtroppo il successo che questa campagna di disinformazione ha avuto presso ampie fasce di popolazione dimostra soltanto quanto siano ancora carenti il livello di istruzione e la facoltà di sapersi informare e documentare adeguatamente prima di lasciarsi andare in certe irrazionali reazioni. A rischio di riuscire spietati ci duole constatare come la falsità e la menzogna viaggino sui binari dell’ignoranza.
Elena De Santis
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 24 – Settembre 2015.
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