Che emozione davanti a una persona che si mostra per mezzo della sua arte semplice e autentica, come fa Mario Castelnuovo nel suo ultimo lavoro discografico. È una musica gentile e solida, mai aggressiva ma potente, lontana dallo stile corrente urlato ma decaffeinato, come dice l’autore, urlato perché ripete vacuità. L’incendio è tutto prima, nella vampata creativa appassionata che ha generato le canzoni: Castelnuovo racconta che due anni fa aveva pronti diversi brani da incidere quando sono arrivate queste nuove idee sulle quali si è concentrato, riconoscendovi una qualità diversa che lo rappresenta fino in fondo. Ci si sente a casa ascoltando vocaboli musicali e parole che colpiscono per unità e articolazione, spontaneità e facilità di accesso, le zone di mistero sono “companatico alla luce”. La musica è garbata e ben strutturata, eloquente dove serve, mai appariscente o dimostrativa. L’emozione sta nel riconoscere la necessità di parole e suoni organizzati in modo determinato e peculiare, magistrale trattamento del racconto in forma di canzone, espressione personale e universale com’è ogni vera arte. Annoto qualche suggestione personale che spero solletichi un ascolto diretto e, nel caso, sia piccola guida.
Annie l’amour: dopo il tuono spiazzante, l’inizio della musica è famigliare, la chitarra doppia la voce in scalette discendenti; il fuoco dov’è? Gli archi portano agitazione, è qui l’incendio? Si riannoda il filo col cantautore maestro, la rosa è simbolo rivelatore multiforme. Infine gli archi ripetono e ripetono la melodia semplice, come a dire che l’origine (la rosa? l’incendio?) è lì. I “devoti dell’eterno” ascolteranno sgomenti tutte le storie che l’autore sa raccontare. Mandami a dire: la musica scorrevole racconta che in amore la cura per l’altro è sempre disponibile, anche se le lettere ritornano sigillate. L’amore non è sempre reciproco, ricresce di notte come i denti ai bambini, pronto a rifiorire anche quando inizia la discesa. A Certaldo fa freddo: ricordo delle origini toscane dell’autore e della nostra cultura, l’ukulele dà un tocco esotico all’accompagnamento da canzone popolare. Il fantasma di Petrarca parla al suo amico Boccaccio e a tutti i poeti cagionevoli, lascia il suo cappotto in eredità perché l’anima è umida. La calda e sapiente voce del clarinetto sospinge il volo del poeta nella seconda parte dove parla la musica. Gli amanti: ascoltiamo il discorso dei due amanti infelici, sviluppato col sostegno arioso degli archi che dà profondità alle parole: “credimi, nella mia vita hai portato acqua e sete”, il peccato è l’amore non dato. L’amore è anche inganno, una “bugia smagliante” farà stare meglio, semmai. Gli innamorati dai capelli bianchi: amanti è diverso da innamorati? La più danzante delle canzoni, maracas e altre percussioni delicate, fisarmonica un po’ sudamericana. Li vediamo ballare leggeri questi innamorati canuti e sapienti che parlano e si allontanano per ritrovare “una frase speciale che fulmina il cuore”. Torna a casa Lassie: Johnny Di Tacco (alter-ego ironico dell’autore), reduce dai successi in tutte le Americhe, intona una ballata sgangherata che invita il suo cagnolino a tornare a casa, il ritorno non sarà felice. Geneviève: qui la voce ha risonanze affascinanti e minacciose, l’atmosfera da film noir è costruita dall’interloquire del sassofono e di un suono elettronico glissato. Canto della povera gente: ironia agrodolce e desiderio autentico di giustizia sociale consapevole della condizione immutabile della povertà dignitosa, il testo gioca su diverse declinazioni del “niente” in rima con gli avverbi. Torna la semplicità dell’ukulele che si arricchisce via via in un clima da banda, con tuba e flautino. Fessure di cielo: la canzone più poetica e spirituale, lode al corpo amato che è un pensiero di Dio e fa gridare alleluia, antica parola. Viene in mente il Cantico dei Cantici, che forse contiene tutte le parole sul corpo amato. Gli angeli: l’autore si descrive dialogando con l’ascoltatore: ultimo vulcano acceso in un tempo freddo, un po’ sgualcito e elegante, assente dalla lista dei dispersi, passato e rimasto. Lui è i suoi sogni e non quello che possiede, “tu dov’è che stai”? Non aspettiamo che la vita ci accada, ricordiamo quello che Mario ci dice. La musica ondeggia e sostiene delicata il ritratto che s’allontana sfumando, tanto gli angeli sognano. Santa Maria delle caramelle: una musica fresca che si ricorda al primo ascolto. Mi sento a casa: il mio fratello piccolo invocava un Gesù bambino della motoretta e una compagnuccia delle elementari scrisse delle tre caramelle di Cristoforo Colombo, coerente per tutto un dettato. È necessario conservare la prospettiva ingenua e profonda dei bambini, la meraviglia per il mondo naturale e umano. All’altra estremità, i vecchi sull’orlo del nulla eterno foscoliano. Trasteverina: la voce aperta della Jorona (Bianca Giovannini) riallaccia un filo con la canzone popolare di Giovanna Marini e del Folkstudio. Ricordi della Roma liberata dalla guerra (ma gli italiani sanno più che hanno perso?), spirito di speranza e libertà da ricordare per ricostruire l’oggi.
Non si può che essere grati, ammirati e consolati nel vedere una maturità artistica (umana) fresca, consapevole e sincera, senza rancori o rimpianti, spirituale e carnale, esempio e obiettivo per ciascuna persona che pensa e sente. I musicisti e l’autore dedicano il lavoro al loro maestro e amico Lilli Greco.
Giancarlo Zaffaroni
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 20 – Settembre 2014.
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