Che cosa sia di preciso l’egoismo è complicato stabilirlo. È un difetto o per meglio dire un eccesso, un modo di essere, un atteggiamento, uno stile di rapportarsi con sé stessi e gli altri, lo sguardo cinico del presente. Per alcuni è un valore connaturato al desiderio di realizzare se stessi, a qualunque costo, ed è spesso visto come motore del successo personale. Secondo alcuni filosofi l’egoismo è insito nella natura umana e spetta alla società mitigarne gli effetti, mentre per altri la natura umana è naturalmente portata al bene, ed è la società corrotta che la deforma verso l’arrivismo e l’egoismo. Questi due modi di concepire la natura umana in netta antitesi, hanno caratterizzato la disputa “natura contro cultura”, e gran parte della filosofia del Sette e Ottocento. Se ipotizziamo che la natura sia egoista, questa dovrebbe essere a maggior ragione evidente nelle altre specie.
Durante gli studi universitari un corso considerato minore, come Etologia e Psicologia comparata, aprì interessanti interrogativi sull’egoismo nelle altre specie. Secondo la sociobiologia di Wilson tutte le specie esistenti, l’uomo compreso, hanno come scopo ultimo quello di tramandare i propri geni e, pertanto, di incrementare la propria fitness riproduttiva. Secondo questa teoria, gli individui di ogni specie sono in continua competizione e adottano le più disparate strategie che influenzano il loro comportamento sociale e sessuale al fine di perpetuare il proprio patrimonio genetico. Allora, come si spiegano le disinteressate manifestazioni di altruismo che moltissime specie, anche non eccessivamente evolute, manifestano? A tale proposito le teorie che riscuotono maggior credito sono principalmente due. La prima sostiene che tramite i comportamenti di altruismo si prediligono i membri con i quali l’individuo condivide il maggior numero di geni: cioè, si favoriscono i parenti e si tende a esser più altruisti con coloro che incrementano la probabilità di tramandare lo stesso patrimonio genetico. La seconda chiama in causa la Teoria dei giochi: la scelta tra un tipo di strategia egoistica o una altruistica dipende da ciò che farà la controparte. Quindi, è fondamentale prevedere come si comporterà chi abbiamo di fronte. Difatti, se a un atteggiamento altruistico non corrisponde un atteggiamento simile, la strategia è perdente, di conseguenza, l’altruista deve essere ricambiato con la stessa moneta altrimenti rischia di rimetterci. A questo punto sembra più conveniente utilizzare sempre e solo una strategia egoistica. Ma, anche questa strategia ha i suoi limiti, poiché un eccessivo antagonismo alla lunga porta a sostenere costi altissimi in termini di risorse individuali, come il ferimento o la morte, e rischioso per la stessa sopravvivenza della specie. Gli esseri umani sono tra le specie più complesse e complicate, o per lo meno pensano di esserlo. Che tipo di strategie adottiamo? E come ci comportiamo nella vita di tutti i giorni? In una recente teoria la psicologia sociale ci offre un’ipotesi più composita sui comportamenti altruistici ed egoistici. Secondo un eminente psicologo, il professor Paolicchi, gli esseri umani si dividono in quattro gruppi: intelligenti, furbi, sfortunati e stupidi. Che cosa caratterizza questa distinzione, che, si badi bene, non è legata né a caratteristiche innate tanto meno immutabili? Gli intelligenti sono quegli individui che con le loro azioni riescono ad ottenere un beneficio per se stessi e per gli altri. I furbi sono coloro che riescono ad ottenere dei benefici per se stessi a discapito degli altri. Gli sfortunati, invece, riescono ad ottenere con le loro azioni benefici per gli altri, ma, ahimè, non per se stessi. Infine gli stupidi non ottengono benefici né per se stessi né tantomeno per gli altri.
Si può essere intelligenti, furbi o stupidi a seconda delle conseguenze “vantaggiose” delle nostre azioni, siano esse svolte volontariamente o involontariamente. Perché certamente gli stupidi desiderano ottenere dei vantaggi dalle loro azioni, ma si scontrano probabilmente con l’azione di qualche furbo. E gli sfortunati? Il loro comportamento è un eccesso di altruismo o hanno pianificato in modo superficiale e scorretto le loro azioni, o sono semplicemente guidati da degli schemi inconsapevoli che li rendono incapaci di trarre un qualche beneficio dalle loro azioni? Gli intelligenti sono il gruppo sicuramente più interessante per la nostra riflessione. Essi riescono a guidare in modo consapevole o inconsapevole le loro azioni verso risultati efficaci per se stessi e nel far bene a se stessi fanno bene agli altri, a chi gli sta vicino. Certamente ciascuno di noi ha potuto sperimentare, almeno una volta, nella propria vita i benefici effettivi dovuti a questi “comportamenti intelligenti” da parte del proprio partner o di un genitore, di un collega, di un amico, di un insegnante. L’azione altruistica in primo luogo rafforza la persona che la compie, dove l’altro non è l’antagonista, ma è qualcuno che ha la capacità di farti stare bene, ed è proprio da questo legame che deriva la forza di quello che molti chiamano gesto altruistico. Il gesto altruistico non è dunque rinunciare a se stessi, alle proprie aspirazioni per il bene degli altri, al contrario la propria realizzazione autentica come persona aiuta a far crescere coloro che ci stanno accanto. Erroneamente si pensa che il gesto altruistico debba comportare una rinuncia, ma neanche nel Vangelo si chiede tanto: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Attenzione questa frase è importante: non ama il prossimo più di te stesso o ama il prossimo, ma non troppo…. non si sa mai. Quante volte abbiamo ascoltato queste parole che sono profondamente altruistiche proprio perché non richiedono la rinuncia a se stessi. L’invito è ad amare prima di tutto te stesso, e amando te stesso amerai anche gli altri. A noi psicologi piace chiamare quest’atteggiamento sano egoismo, in realtà l’altruismo chiama in causa in primis l’amore verso se stessi e come conseguenza chi ama se stesso ama l’altro.
Sull’amore verso se stessi ci sarebbero molte cose da dire. Qui vorrei solo accennare che spesso si confonde l’amore verso se stessi con l’egoismo e l’individualismo più cieco. L’amore verso se stessi non è il risultato di una contrapposizione tra me e gli altri, come se l’altro non facesse anche parte di me. Ci sono situazioni in cui un gesto altruistico può nascondere in realtà una forma di egoismo strisciante. Persone insicure, che vogliono controllare l’altro perché non trovano il coraggio di essere se stessi e cercano di avere l’attenzione dell’altro tramite gesti apparentemente altruistici, in realtà, pensano semplicemente al loro tornaconto. Frasi come: “Dopo tutto quello che ho fatto per te!” dimostrano un altruismo di comodo che non condivide nulla con ciò di cui si è parlato. Ci sono coloro che rinunciano a loro stessi perché sono solo dipendenti dall’altro: la dipendenza è una condizione che non offre alcun momento di crescita e di confronto all’altro, il cui unico desiderio è di essere amati e accettati, e il cui fallimento termina nella recriminazione e nel vittimismo. Poi ci sono coloro che non fanno mistero del loro egoismo e che considerano naturale essere al centro dell’Universo e soddisfare i propri bisogni: il mondo coincide con il proprio mondo. L’altro è un mezzo per soddisfare le proprie necessità, esiste in funzione del proprio Io, e le relazioni hanno essenzialmente un uso strumentale, come può essere un televisore o il forno a microonde. Un atteggiamento discutibile, ma ben tollerato perché ritenuto collegato al successo personale. Così, i rapporti diventano il connubio tra due autentici egoismi, dove ognuno cerca di estorcere qualcosa all’altro per i propri scopi. Non dimentichiamo, l’individualismo ha anche i suoi svantaggi, senza considerare che forme estreme di egoismo sono legate a patologie di tipo narcisista tra le più diffuse negli ultimi anni, e tra le più trascurate.
Questa divagazione di fine estate sull’egoismo può aiutarci a riflettere su chi siamo (diventati?) e su chi vorremmo essere. Val la pena anche provare a riflettere a quale di questi gruppi ci sentiamo di appartenere. Sfortunati, furbi, intelligenti o stupidi?
Domenica Rossitto

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 16 – Settembre 2013
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