“…e se rinascerò sarà senza mutande, in libertà”.
(Ornella Vanoni, Che vitalità, Meticci, 2013)
Ornella Vanoni lascia il mercato discografico, non il palcoscenico, con un disco dal titolo che sembra un capolinea artistico e culturale: Meticci, io mi fermo qui, parafrasando una cover dei Dik Dik interpretata magistralmente dalla stessa Vanoni nel 2001nell’album Un panino una birra e poi…
In una recente intervista ha spiegato:”Sì, poi mi fermo, ho impiegato un anno e mezzo per registrare queste canzoni. Non andavo in studio perché so benissimo che i dischi ormai non si vendono più. Nel 2007 ho pubblicato un album di cui sono orgogliosissima che però nessuno si è filato (Una bellissima ragazza), e da allora ho iniziato a capire che i tempi sono cambiati. Sono molto triste e delusa”.
Peccato, perché Meticci è un album notevole che non lascia trasparire neanche un minimo esaurimento creativo da parte di una delle più grandi interpreti, e autrici, del panorama musicale italiano. Un album piacevolmente disomogeneo che passa da un genere all’altro con grande leggerezza e padronanza del mestiere. La voce è rimasta inspiegabilmente immutata e i brani, tutti inediti, tranne un omaggio a Lucio Dalla (4 marzo ’43), hanno uno spessore indiscutibile. Prodotto da Mario Lavezzi, grande amico della cantante, e deus ex machina della musica leggera nazionale, per la realizzazione di Meticci la Vanoni si è avvalsa di collaboratori di tutto rispetto. Da Battiato in Aurora, a Nada che per la prima volta scrive un brano per altri: Il bambino sperduto, uno dei momenti migliori dell’intero lavoro. Tredici canzoni anticipate dal singolo Basta poco, in cui si respira un’atmosfera esotica grazie all’apporto del rapper senegalese Bandara Seck che collabora anche in un altro brano particolarmente ben riuscito: Terra nera. Dal clima africano di Basta poco si passa a quello brasiliano che pervade un altro dei brani più belli del disco: Costruzione, volutamente ispirata alla celebre Costrucao di Chico Barque.
“Meticci non sono solamente gli incroci di razze, lingue o culture – spiega Ornella Vanoni – Meticci sono coloro che si fermano a contare gli spicchi di luna in un cielo scuro. Chi si interroga sul perché delle cose senza stancarsi mai. Chi riesce a riconoscersi in mezzo ad una folla distratta. Chi vive ai margini. Chi si sente come avesse l’olfatto sopraffino di un randagio o gli artisti che riescono a creare mondi diversi in cui abitare. Chi nonostante gli anni che passano riesce ancora ad innamorarsi di tutto”. Otto dei tredici brani sono stati scritti a quattro mani dalla Vanoni e da Lorenzo Vizzini, il giovanissimo cantautore ragusano reduce da Area Sanremo e coltivato musicalmente da Mario Lavezzi. Per Vizzini la Vanoni nutre una grande stima da quando l’ha conosciuto, dopo un concerto a Milano, due anni fa. Lavezzi glielo ha presentato come un giovane talento e lei l’ha sfidato chiedendogli di comporre qualche brano per il nuovo disco. Vizzini ha eseguito ed è nata una vera passione reciproca, che costituisce un grande salto professionale per il giovane artista siciliano. Meticci è un disco completo e perfetto nella sua varietà di stili e sonorità, un disco da ascoltare con attenzione con brani di più facile ascolto ed altri, più raffinati, che richiedono un maggiore approfondimento: La donna dai capelli blu mare, Dalla tua vita e Non è questa casa mia sono dei classici in perfetto stile “Vanoni, la signora della canzone italiana”. Sarà davvero l’ultima fatica discografica? Per ora c’è in cantiere un cofanetto di grandi successi e un tour teatrale. Se fosse davvero un addio sarebbe una grande perdita, viste le qualità ancora eccellenti dell’artista milanese. Un’artista a trecentosessanta gradi che è passata dalla musica al cinema e al teatro con grande disinvoltura e che ha saputo amministrare con disordinata perfezione una lunga carriera abbinata a una vita decisamente spericolata e anticonformista.
Tutto inizia nel ’53, quando Ornella si iscrive all’Accademia di arte drammatica del Piccolo Teatro di Giorgio Strelher a Milano. “Avevo diciannove anni e non chiedermi cosa mi ha detto o cosa abbiamo fatto. Non me lo ricordo. Anzi sì. Mi ha baciata, ci siamo abbracciati e abbiamo fatto anche l’amore. Sono tornata a casa che ero in estasi. Lui mi ha telefonato eccitatissimo alle quattro del mattino… la mia vita non fu più la stessa”.
L’uomo di cui parla, nel suo libro Una bellissima ragazza, è ovviamente Giorgio Strehler. La ragazza ha talento e il maestro se ne accorge subito, facendola cantare le ballate della rivoluzione francese negli intervalli dei suoi spettacoli. La sua voce è ruvida, spigolosa e insolita. Al pubblico piace. Strelher, Dario Fo e un paio di altri amici inventano per lei un genere: “le canzoni della mala”. L’Italia del nord non ha una grande varietà di musica popolare, esistono ballate dialettali cosiddette “da cortile” che i giovani artisti rimaneggiano quando non le riscrivono totalmente e così nascono i primi successi della “cantante della mala”: Ma mi, Le mantellate, Hanno ammazzato il Mario, brani che si ricordano ancora oggi. Il sodalizio con Strelher dura fino al 1960. “Forse l’ho incontrato troppo presto. Ero come pongo nelle sue mani. Non sapevo che Giorgio fosse un erotomane, cominciai a capirlo quando andammo per la prima volta all’Elba. Scoprii che in quei giorni si era fatto una sveltina con la cameriera. Mi chiedevo: se sei innamorato di me perchè? Lo faceva per assecondare la libidine del momento. Mi ritrovai coinvolta in situazioni che non ero psicologicamente pronta ad affrontare. Incontri orgiastici, sfrenate partouze, meno male, mi sono detta col senno di poi, che non c’era l’aids”.
Così oggi Ornella Vanoni, che non ha mai avuto peli sulla lingua, commenta una delle sue più grandi passioni. “Non sono mai stata senza un compagno. Ho fatto, in compenso un sacco di stupidaggini. Per non restare soli ci si attacca a una storia che meriterebbe di durare tre settimane e tu invece la fai durare tre anni”.
Gli uomini. Croce e delizia, gli eterni nemici indispensabili. Tanti amori durati poco, tanta sofferenza e gioia che la Vanoni ha cantato per una vita. “Se li ignori sono sempre alla tua porta. Se li ami ti sfuggono. Loro non sono mai dove ti aspetti che siano. Un appuntamento quasi sempre mancato”. E proprio L’appuntamento la canzone che Ornella detesta di più e che non ama cantare, mentre Domani è un altro giorno è una delle sue predilette. Forse è proprio la frase iniziale del brano in questione: “è uno di quei giorni in cui ti prende la malinconia” che rispecchia meglio la sua vera identità. Un’identità fragile, perché dietro a una maschera spudorata, strafottente, a tratti antipatica e incontenibile, senz’altro una forza della natura, si nasconde ancora la ragazza timida, col complesso della cicatrice sul collo e un viso irregolare. Una ragazza che punta su un corpo esagerato, usato come scudo, strizzandosi in minishorts e colletti alti, guadagnandosi, all’inizio della carriera soprannomi del tipo “la negra”, “culo parlante” o “chiappe d’oro”. Una donna che ha affrontato il male di vivere, più volte, nel corso degli anni, dall’angoscia da palcoscenico al terrore della solitudine e delle malattie, a crisi depressive vere e proprie che hanno segnato in modo indelebile il suo modo di stare al mondo.
Ornella Vanoni ha inciso quarantasei album in studio, sei dal vivo, settantuno live e svariati quarantacinque giri. Una discografia immensa, che non ha paragoni se non con pochi altri artisti al mondo. Eppure nonostante la sua fama, enorme in Italia e all’estero, ancora oggi può essere considerata una cantante di nicchia. Famosa e amata, ma se diamo uno sguardo alle classifiche degli anni d’oro balzano all’occhio alcuni dati interessanti. Il suo quarantacinque giri che ha venduto di più è L’appuntamento piazzandosi solamente al diciassettesimo posto nelle classifiche di vendita del 1970. Sempre in quell’anno Eternità arriva alla posizione numero sessantuno (Mina stravince la hit parade con Non credere). L’anno prima, una delle sue canzoni più celebri, Una ragione di più, guadagna la quarantasettesima posizione. Senza fine, il brano che le ha dedicato Gino Paoli nel ’79 raggiunge il sessantaduesimo posto. Nel ’71 troviamo Battisti al numero uno con Pensieri e parole, Mina al secondo posto con Amor mio e la Vanoni al quarantaduesimo con Domani è un altro giorno. Dopo l’idillio con Strelher, la Vanoni non fatica a trovare nuovi pigmalioni o produttori desiderosi di catturare un personaggio così intrigante sotto molti punti di vista, e dagli anni ’60 ha inizio una carriera sfolgorante, segnata da brani che fanno parte della storia della musica leggera italiana. Una cantante d’élite, elegante e raffinata, che ha optato per un genere non troppo popolare o “leggero” puntando su una musica più di classe, a tratti intellettuale, anche quando tocca i temi più scabrosi senza mezzi termini, avvalendosi del meglio degli autori più gettonati.
Non un’artista da stadio quindi, ma una cantante che riempie i teatri. Ancora oggi i suoi concerti fanno il pieno e il suo è un pubblico raffinato e incline a una musica sì leggera, ma di grande spessore e qualità.
Un pubblico che non si rassegnerà facilmente a non ascoltare più brani inediti della sua cara “bellissima ragazza”.
Mauro Carosio

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 16 – Settembre 2013
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Complimenti Mauro! Mi hai emozionato parlando della timidezza di Ornella, artista generosa ed affettuosa coi suoi fans. Conservo gelosamente una sua mail in cui mi ringrazia con affetto per alcune parole che le avevo scritto. Un’artista, dici bene, a trecentosessanta gradi, una voce senza tempo e una carriera impeccabile, esemplare.