Presentato con successo il 15 maggio u. s. al Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica di Roma nell’ambito del festival “Errare Humanum Est”, il disco e il progetto La Custodia del Fuoco (Headache Production), è il risultato dell’incontro del Majaria Trio (Lucrezio de Seta, batteria e percussioni; Primiano Di Biase, pianoforte e fisarmonica; Alessandro Patti, basso elettrico e contrabbasso) con la cantante siciliana Eleonora Bordonaro. L’album mette insieme il jazz con il folklore dei canti tradizionali, attingendo al repertorio di Rosa Balistreri (celebre “cantatrice” e cantastorie di Licata scomparsa a Palermo nel 1990, considerata da Otello Profazio la nostra Amália Rodrigues), alle raccolte ottocentesche di poesia popolare di Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone Marino, alle composizioni di Giovanni Meli, oltre che ai canti della tradizione contadina e sacra delle province siciliane, dando vita a un originale etno-jazz in dialetto, tra le operazioni più interessanti create quest’anno nell’ambito della musica italiana, popolare e “colta” al tempo stesso.
I tredici brani vanno da Terra ca nun senti (canto amaro e tormentato di denuncia sulla terra siciliana rielaborato da Alberto Piazza, non ammesso al Festival di Sanremo del 1973 e che in seguito diede anche il titolo a un grande concerto del 2008 per l’Etnafest in omaggio alla Balistreri (con la partecipazione di Rita Botto, Carmen Consoli, Patrizia Laquidara, Nada, Marina Rei, Etta Scollo, Tosca, Paola Turci e Ornella Vanoni) e ’A Pinnula (la pillola, sulla libertà sessuale delle donne catanesi), fino a Rosa canta e cunta (testo e musica della stessa Balistreri), Aja Mola (antico canto responsoriale di origine araba che accompagnava la pesca dei tonni) e Persuasiva Amurusa (su testo del poeta e drammaturgo del ‘700 Giovanni Meli), ’A Virrinedda (testo poetico di Luigi Capuana), ai canti sull’oppressione del lavoro come Cuntadinu sutta lu zappuni e agli inni sacri alla Madonna Maria di li Grazzi, in cui la voce della Bordonaro si sposa perfettamente agli arrangiamenti jazz del Majaria Trio, capace di splendidi assoli in Niura mi dicisti (forse il brano più rappresentativo dell’intero progetto) e anche di intermezzi strumentali Balkankan (di chiara origine macedone), per finire con le meravigliose tradizionali Lu focu di la pagghia, Si maritau Rosa e la nota ninna nanna siciliana ’A Siminzina, facendo propria la frase di
Gustav Mahler secondo cui la “tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco”. Merito di questo ambizioso lavoro (che con lo spettacolo La Conta dei Papaveri può avere anche una dimensione teatrale) è quello di andare a recuperare le radici più antiche e profonde della musica popolare siciliana attraverso il canto intenso e appassionato della Bordonaro (che collabora anche con l’Orchestra Popolare Italiana di Ambrogio Sparagna e i Cantastorie di Paternò, di cui è originaria) e “nobilitarle” musicalmente attraverso il raffinato linguaggio etno-jazz contemporaneo del trio Majarìa (termine siciliano che significa bellezza, sorpresa ed incantesimo, espressione del concetto più emotivo della parola “magia”).
Come ha scritto Ignazio Buttitta, il poeta di Bagheria che collaborò con Rosa Balistreri e le fu molto amico: “Un populu diventa poviru e servu quannu ci arrobbanu a lingua addutata di patri: è persu pi sempri”(da Lingua e dialettu, 1970) e ancora: “La voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva che venissero dalla terra arsa della Sicilia. […] Ogni volta che cercheremo le parole, i suoni sepolti nel profondo della nostra memoria, quando vorremo rileggere una pagina vera della nostra memoria, sarà la voce di Rosa che ritornerà a imporsi con la sua ferma disperazione, la sua tragica dolcezza …”.
Alessandro Sgritta

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 15 – Giugno 2013
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